martedì 29 marzo 2011

Con le ciaspole al Bivacco Gabler

Tragicomica avventura (notturna) in quello che avrebbe dovuto essere un bivacco.
Vedi le altre foto in Google Foto.
La Plose è la montagna di Bressanone-Brixen. Anche se è piena di impianti di sci e proprio in cima c'è il Rifugio Plose, rimane una meta ambita per gli amanti delle vedute a 360°. Senza contare che basta allontanarsi di poco lungo i percorsi di cresta per arrivare in luoghi più tranquilli. Il Monte Forca Grande-Grosser Gabler (m 2.575) è uno di questi, è la cima più alta del gruppo e la vetta erbosa è impreziosita da un grazioso bivacco in legno. E questa era la nostra meta. Per il resto, godetevi la versione di Gigi...

Uscita brumosa
Quando si va a cercarle...
L’amico Fausto mi dice di aver scoperto un bivacco sul Grosser Gabler m 2571 nel Lüsner Berge und Peitlerkofelgruppe, cioè i Gruppi Plose e Pùtia nel settore nord-occidentale delle Alpi dolomitiche.
Per la precisione si tratta del Gruppo della Plose che, come recita il testo sacro di A. Gadler “Guida alpinistica escursionistica dell’Alto Adige Orientale”, «… si pone tra le valli d’Isarco, di Éores e Lusón; è formato da rocce scistose e sfaldate, ricoperte da boschi e prati fino alle cime; s’affaccia alla conca di Bressanone (Brixen; N.d.A.) da dove per strade e impianti funiviari (neretto e corsivo sono miei; capirete dopo) si giunge presso le cime maggiori. Termina a sud al Passo di Éores, di fronte al piccolo gruppo delle Odle di Éores ».
Fausto mi assicura aver studiato un percorso che ci permetterà di raggiungere comodamente, con un percorso in cresta e alcuni saliscendi, il nostro bivacco; non più di trecento metri di dislivello. Bei panorami, poco fatica, insomma una pacchia!
Il sabato si parte tardi da Trento, alle 9,30 passate, per via di un mio impegno di lavoro. Raggiunta Brixen, Fausto, come il solito, sbaglia strada (il mio plurilaureato amico ha la strana capacità di riuscire a perdersi in una rotatoria con più di un’uscita; se dovesse affrontare il raccordo anulare di Roma senza un navigatore, non ci sarebbe speranza di ritrovarlo in vita). Rimesso sulla giusta strada, arriviamo al parcheggio, ci prepariamo e raggiungiamo l’impianto di risalita per scoprire che è riservato solo agli sciatori (Tipologia di bipedi che non amo punto; ora ancor meno). Mi viene da pensare che cominciamo male! Dopo un veloce consulto ci avviamo a piedi e tanti saluti al percorso comodo ecc.
Raggiungiamo la Rossalm, un bar-Ristorante con orchestrina tirolese incorporata, dove ci fermiamo quel tanto che basta per bere una birra e permettere al sottoscritto di soddisfare un bisogno fisiologico, urgente e di una certa importanza.
Ripartiamo lasciandoci alle spalle la zona sciistica e ci troviamo in un altro mondo, siamo soli (per fortuna l’homo sciisticus non si allontana mai troppo dalla sua strada ben curata; senza bar, sdraio, ristoranti, funivie, sciovie, seggiovie, cannoni da neve, biglietti giornalieri, materassi imbottiti, reti di protezione, musica ad alto volume che natura sarebbe, o perbacco!).
Ora possiamo vedere il nostro obiettivo: il pacioso Grosser Gabler/M. Forca Grande mentre alla nostra destra le Odle di Éores e le Odle la fanno da padrone. Il panorama è bello nonostante il tempo inizi a cambiare e brutti nuvoloni percorrono il cielo di buona lena.
Purtroppo siamo costretti a mettere le ciaspole, che si rivelano però di poco aiuto, infatti, la neve dura e crostosa in superficie sotto è “marcia”, così che spesso e volentieri troviamo tratti dove sprofondiamo (c’è ancora un buon metro di coltre bianca). Mi viene da pensare che sia una giornata un tantino negativa.
Tant’è procediamo impavidi (tanto o si torna indietro o si prende ciò che passa il convento) e riusciamo a superare un lungo traverso sul ripido fianco sud/ovest del Grosser Gabler, dove attraversiamo una piccola slavina, che si rivela essere il tratto più comodo per procedere.
Arriviamo cosi sulla dorsale sud/est del Gabler e iniziamo quella che si rivela ben presto una faticosa salita. Nonostante si cerchi di stare sulle tracce di precedenti escursionisti non c’è nulla da fare, ogni tanto ecco la ciaspola affondare e tramutarsi in un ostinato e brigoso intoppo. Come se non bastasse il tempo ormai è volto sicuramente al brutto e un vento gelido spazza la dorsale. Mi viene da pensare che fosse meglio starsene in casa.
Finalmente arriviamo in vista della croce di vetta (chissà perché i cattolici non riescono a godere della bellezza di una cima creata dal loro Dio, senza esimersi dal piazzar lì quel tremendo simbolo di morte) e del sottostante bivacco. Fausto si ferma mentre io raggiungo la cima, nonostante la stanchezza, per fare alcune foto e guardarmi intorno; il panorama a causa del tempo lascia molto a desiderare, ma pazienza.
Raggiungo il mio compagno d’avventura entrando nel bivacco e oplà! È con enorme piacere che scopro un piccolo locale con un tavolo e tre panche attaccate alle pareti e null’altro, maledizione!! Speravo in qualcosa di meglio, non dico un bel materasso con un soffice piumino, mi bastava una rete metallica. Mi viene da pensare di prender Fausto e buttarlo fuori al gelo e al vento; però sono troppo stanco.
Fausto, come me è stanchissimo, infreddolito e senza alcun appetito; io sono nelle stesse condizioni, a parte l’appetito che non è molto ma una birra e un panino con la mortadella lo butto giù.
E ancora presto ma non ci rimane che organizzarci per la notte. Dormire per terra è da escludere, non tanto per l’igiene, quanto per il freddo e l’umidità; non restano che le panche. A quel feral pensiero la mia schiena già si fece dolorante, mica mi capitava trent’anni fa!
Mi faccio due conti: la panca è larga quanto il mio didietro (il che non vuole dire che sia stretta, è il mio didietro che è largo), sicuramente sarò costretto a girarmi e rigirarmi tutta notte per cercare di evitare posture alla fine doloranti, imbozzolato nel sacco a pelo tutto ciò diventa arduo di per sé, ma anche a rischio ruzzoloni, che fare? Risolvo il problema, dopo il suggerimento dell’amico Fausto, piegando il tavolo di lato così il suo piano mi fa da sponda salvandomi da eventuali cadute.
La notte è lunghissima, un centinaio di ore credo, intervallate da dolori vari ed anche una fantozziana e tragica uscita notturna, dovuta all’improcrastinabile bisogno di vuotare la vescica. Freddo birbone, vento, e nevischio, credo bene che ho avuto problemi a trovare il mio pezzo anatomico sotto la cintola, mica voleva mettere la testa fuori!
La mattina dopo alle sei siamo pronti per il ritorno, fuori non si vede un ciufolo, nebbia uniforme, bella, umida e grigia nonostante il vento. Si era pensato di provare a scendere dal versante nord/ovest, più scabroso ma che ci permetterebbe un rientro più breve, ma con questa nebbia sarebbe un azzardo per cui gambe in spalla e via. Torniamo accompagnati da neve ghiacciata, ebbene sì la pioggia non ce la siamo permessa, non si può avere tutto. Mi viene da pensare che la nostra è stata proprio un’idea peregrina! Speriamo bene la prossima volta.

domenica 27 marzo 2011

Se il teleobiettivo non c'è ma servirebbe proprio...

...possiamo sempre simularlo come facevano i fotografi in camera oscura
quando alzavano la testa dell'ingranditore in fase di stampa, in modo che il cartoncino fotografico fosse investito solo da una parte del fotogramma. Oggi si dice "croppare", dall'inglese to crop (ritagliare), ma è la stessa cosa.
Si ritaglia una porzione dell'immagine rispettando le proporzioni base/altezza; ridurre della metà le misure lineari significa ridurre a un quarto i pixel contenuti nel crop, ridurre a un quarto le dimensioni lineari significa ridurre ad un sedicesimo la quantità di pixel, eccetera. Quindi il degrado dell'immagine è rapido. Però, se si parte da un file corposo (diciamo un 4000x3000 pixel) si può tranquillamente arrivare a un fattore 2x, specie se alla fine le immagini andranno stampate in dimensioni tipo "album di famiglia" o destinate allo schermo del computer.
► Un'ultima cosa: il ritaglio va ingrandito fino ad avere le dimensioni lineari del file di origine. Photoshop è in grado di farlo sgravando l'utente delle operazioni intermedie: basta dirgli ridemensiona immagine indicando (nel nostro caso di studio) 4000 pixel per 3000 pixel come dimensioni da ottenere.
L'immagine originale 4000x3000 pixel: il lago di Caldonazzo ripreso con un obiettivo di lunghezza focale normale (50 mm nel vecchio formato pellicola) a 100 ISO di sensibilità. Tempo 1/500 di secondo a diaframma f/10 (dati equivalenti, cioè tradotti nel vecchio formato pellicola 24x36). 

Ritaglio di 2000x1500 pixel, poi ricampionato da Photoshop a 4000x3000 pixel: l'inquadratura corrisponde a quella ottenibile con un piccolo teleobiettivo da 100 mm di focale. La qualità a schermo è discreta, potrebbe migliorare intervenendo con Photoshop, ma questo esula dal nostro argomento.

Ritaglio da 1000x750 pixel ricampionato da Photoshop a 4000x3000 pixel: l'inquadratura corrisponde a quella di un teleobiettivo da 200 mm, il che non è poco. La qualità a schermo è appena accettabile, certo non soddisfacente ed un ritocco anche pesante non risolverebbe.



giovedì 24 marzo 2011

Chi ha inventato i Parampampoli?

La bevanda incendiaria che ha reso famoso il Crucolo.
Il "Rifugio Crucolo" non è un rifugio ma una trattoria. E' situato
all'inizio della Val Campelle, presso Borgo Valsugana, ed è
frequentato dagli amanti delle cene rustiche e abbondanti. La sua
notorietà è dovuta ai Parampampoli, un digestivo a base di caffè
viene servito flambé e che si è conquistato un posto in Wikipedia.
La famiglia Purìn, che gestisce il Ristorante Rifugio Crucolo custodisce gelosamente il segreto della ricetta da più generazioni. Ma risalire oltre gli anni '50 del secolo scorso è difficile poichè le fonti scarseggiano.
Don G.B. Azzolini, autore del "Vocabolario vernacolo-italiano pei distretti roveretano e trentino" pubblicato postumo nel 1856, riteneva trattarsi semplicemente del sinonimo di "carampampolo" che viene così descritto "sorta di bevanda fatta di acquavite e zucchero bruciati insieme, di cui resta la quintessenza, sost. a cui non può corrispondere che carampampoli".
Mario Rigoni Stern ("I racconti di guerra", Einaudi, Torino, 2006, pag. 57) ne fa risalire la diffusione in Valsugana ai tempi della prima guerra mondiale quando, avanzando gli italiani in direzione di Trento, "Nelle osterie delle terre liberate gli alpini e i fanti impararono a bere una mistura infernale che gli ungheresi e i croati avevano importato dai loro paesi, dove l'avevano a loro volta appresa dai turchi. I valsuganotti la italianizzarono in 'parampampoli', storpiatura di chissà quale vocabolo balcanico: era composta da acquavite, rum, cannella, pepe, chiodi di garofano, caffè in polvere e zucchero mescolati insieme a fantasia e scaldata fino a ebollizione."

martedì 22 marzo 2011

La materia prima per i "Fagioli alla Ringo"

Lamon è un paese tagliato fuori dalle vie di traffico, che affida la sua identità al fagiolo (in attesa di una riscoperta?).
Il fagiolo di Lamon è un fagiolo borlotto, di quelli dal baccello chiaro e picchiettato di rosso, che deriva dal borlotto di Vigevano. Si raccoglie da agosto a settembre e presenta più varietà: lo Spagnol (ovoidale), lo Spagnolet (più piccolo), il Calonega (il più grande di tutti) e il Canalino, il quale ha un aroma molto caratteristico, ma è poco coltivato rispetto agli altri.
Comunque OK al barattolo di fagioli di Lamon della Coop (400 gr. - 250 sgocciolati).


Fagioli borlotti in umido "alla Ringo":
Semplici ingredienti e dosi per 2 persone:
250 grammi di fagioli borlotti (1barattolo sgocciolato)
► 1/2 cipolla tritata, ma non troppo fina
 sale a piacere (meglio se poco, sennò ammazza)
 conserva di pomodoro quanto basta cioè a piacere
 una tazzina di brodo (sì, se c'è è meglio)
 padella, olio e fuoco
Soffriggere in poco olio la cipolla; ad indoratura avvenuta aggiungere gli altri ingredienti cuocendo poi a fuoco lento fino a ridurre il liquido.
Ottimi con le catalogne lesse, come ho scoperto in tempi di Coronavirus.

lunedì 21 marzo 2011

Con due obiettivi nello zaino

Il formato Microquattroterzi sembra pensato per l'escursionista che non vuole rinunciare alle ottiche intercambiabili. 
Il gruppo di Brenta visto dal Monte Gazza. Il formato micro4/3 usa un sensore
più piccolo di quello APSC (Nikon e Canon) ma ancora di dimensioni accetta-
bili, molto più grande delle tascabili ad ottica fissa.
Si sa, chi fotografa in montagna è sempre alle prese con problemi di peso e ingombro ma ha comunque bisogno di un bel grandangolare altrimenti i panorami non "entrano" nella foto. Ho un piccolo e leggero zoom Olympus 18-36 mm equivalenti.
Se, oltre al paesaggio, si pensa anche agli animali, oppure si vuole documentare in dettaglio qualche cima, allora serve anche un teleobiettivo. Visto il peso contenuto e il prezzo abbordabile, mi sono procurato uno zoom Panasonic 90-400 mm equivalenti.
Assieme pesano solo 535 grammi.
Se anzichè una micro4/3 avessi scelto una reflex classica, tipo una piccola Nikon, il peso delle due lenti sarebbe salito a 460 + 745 = 1.205 grammi. Confronto fra i due corredi completi di corpo macchina:
906 grammi la Lumix G2.
1.710 grammi la Nikon D3100.

sabato 19 marzo 2011

Un anello non voluto attorno al Col Ombert

Della mania delle ferrate "atletiche" e di un incontro rasserenante.
In fondo alla Val San Nicolò, che si addentra nel gruppo dolomitico della Marmolada partendo da Pozza di Fassa, c'è il Passo di San Nicolò (m 2.338), valico che porta in Val Contrìn ed è sovrastato dal Col Ombert (m 2.670).
Gigi all'attacco della ferrata.
E' una cima secondaria ma molto panoramica. 
Il percorso dell'escursione ad anello attorno (e su) il Col Ombert.
In vetta chiacchieriamo con una strana coppia. Lui molto anziano ma dallo sguardo vivace, lei una giovane donna in perfetta forma. Ci raccontano che da qualche anno fanno coppia fissa perchè i rispettivi partner non amano la montagna.
👉Spiego che avremmo voluto salire dalla via ferrata ma che abbiamo rinunciato dopo i primi due-tre passaggi perchè troppo faticosi e impegnativi. Per questo siamo arrivati dalla via normale, più lunga ma più facile. Mi guarda e dice: "Sì, quella ferrata è riservata ai giovani, è veramente impegnativa!". Io mi guardo le unghie, Gigi fissa un punto vago sopra la mia testa.
La bella signora sgranocchia serena una delle sue noci. Dopo un po' si alzano e iniziano la discesa, lui con i bastoncini, lei senza e con uno zaino più pesante.
👉E' chiaro: il vecchio ci mette l'esperienza e la conoscenza del territorio, la giovane forza fisica e capacità di prestare aiuto. Questi due sì che hanno le palle, non c'è nulla di sconveniente nel loro rapporto, altro che Berlusconi e le sue Olgettine! Poi ci avviamo anche noi, incazzati per la ferrata ma contenti per l'incontro...

giovedì 17 marzo 2011

Il "nuovo" logo Unesco delle Dolomiti

A me sembra uguale a quello di prima.
Sì, certo, qualche microscopica differenza c'è, ma bisogna proprio cercarla col lanternino.


E quindi anche per questa seconda versione valgono le considerazioni già svolte per la prima.
E pensare chela bocciatura di quello precedente erano state tali e tante che chiunque avrebbe detto:"Oooops, scusate!".
E invece no, l'hanno praticamente confermato.

martedì 15 marzo 2011

Perchè taroccano i paesaggi

Nessuno spenderebbe dei soldi per passare una giornata in fila: 
La chiesetta di St. Wolfang a Redagno/Ra-
dein (Sudtirolo): un ritocco leggero che si
limita a togliere i piccoli elementi di distur-
bo indicati con la x.
Rifugio Federico Augusto al Sassopiatto
(gruppo del Sassolungo): sono sparite la
bandiera, l'ombra, la panchina, un pietro-
ne di troppo e anche il pannello solare.
prima al casello, poi al parcheggio, poi sugli impianti, sempre circondati da resti di cantiere, cartelli stradali, neve sporca, provvisorietà, cartelloni e insegne, resti abbandonati, cassonetti, piloni metallici, rumore e reti in plastica.
Ma se il depliant dell'agenzia turistica riportasse solo immagini ritoccate, tipo "mulino bianco"?

sabato 12 marzo 2011

Complimenti, Francesco!

Per l'anagrafe è solo un ragazzino delle elementari. Eppure, zitto zitto, con la sua tessera SAT in tasca, ha già messo assieme un discreto carnet di giri importanti, rifugi, pernottamenti di più giorni. Forse che il vecchio sacco a pelo superleggero in piuma che gli ho passato come testimonio abbia sortito qualche effetto?
Non sbaglia mai nel localizzare una foto, conosce nome e posizione di molti rifugi. Ogni tanto il babbo ci tiene informati con cose del tipo: Io e Francesco vi inviamo queste immagini. Abbiamo fatto 1800 metri di dislivello in due giorni, dormito al rifugio Sette Selle e vista tanta tanta neve.
E insieme alla mail questa volta c'erano anche tre foto. escursioni_invernali

venerdì 11 marzo 2011

C'è ancora un futuro per il classico bivacco a botte?

Bivacco Gervasutti (studio ark.
Gentilcore-Testa).
Il Bivacco Lampugnani-Grassi (tipo
a botte "Apollonio") è stato sostituito
con uno assolutamente identico.
Il bollettino del CAI "Lo Scarpone" riporta con ampio spazio che la progettazione del nuovo Bivacco Giusto Gervasutti in Val Ferret è terminata. arkitettura
Contemporaneamente "La Rivista" (sempre del CAI) informa che l'ormai degradato Bivacco Lampugnani-Grassi sul Pic Eccles è stato sostituito con una sua replica, identica ma nuova di zecca.
Entrambe le strutture sono situate nel massiccio del Monte Bianco.
Due approcci radicalmente diversi, l'uno discreto e conservativo, l'altro invadente ma intelligente.
Istintivamente portato a preferire le soluzioni collaudate e affidabili, vorrei tentare un paragone funzionale fra i due, cercando di sorvolare sul fatto che il Gervasutti (denominato Leap - Living Ecological Alpine Pod) nasce volutamente "sovradimensionato" e provocatorio.

 Struttura: classico bivacco a botte modello "Apollonio" il Lampugnani; quattro sezioni (unità soggiorno/pranzo, unità ingresso, unità letto e unità bagno) per il Gervasutti.
 Posti letto: sono 9 cuccette per il Lampugnani-Grassi, secondo il collaudato schema Apollonio che riserva un lato corto all'ingresso e distribuisce le brande lungo gli altri tre lati, in tre strati. Nel Gervasutti i posti sono 12 e sono collocati in uno dei tre moduli.
 Dimensioni: il Lampugnani ingombra poco più di uno scompartimento ferroviario (2x2,5 metri, altezza 2 metri) e pesa complessivamente 1800 chilogrammi. Ciascun modulo del Gervasutti è largo 3,75 metri,  lungo 2 metri, alto 2,80 metri e pesa 500 chilogrammi (presumo senza arredi). Una volta in situ, il Gervasutti sarà lungo 8 metri, largo 3,40 ed alto 2,80 e peserà circa 2.000 chili più gli arredi.
 Spazi: essendo un bivacco a botte, il Lampugnani ha spazi interni "da sommergibilista" e l'unica comodità è un tavolino pieghevole posto al centro. Per correttezza il confronto va fatto con la sola unità-letto del Gervasutti, che risulta 80 centimetri più alta e 1,25 metri più larga, mentre la lunghezza è la stessa: 2 metri.

martedì 8 marzo 2011

Le due Malghe Marcai a Passo Vezzena

Passeggiata fra le malghe dove si produce un celebre formaggio.
Il tracciato Garmin (cliccare per ingrandire)..
Salgo dalla Valsugana al Passo Vezzena, porta di ingresso trentina alla Piana di Vezzena, che fa parte del sistema di altipiani tra il Veneto al Trentino.
D'estate questa è zona di malghe, dove si produce un apprezzato formaggio tipico.
D'inverno sono ovviamente tutte chiuse main cambio offrono silenzio e tranquillità.

Forma di formaggio Vezzena.
E sono appunto due malghe - ora ammantate di neve - la meta di questa ciaspolata.
L'altro ieri sono caduti 30 centimetri di neve fresca, che rimane polverosa nel bosco ma è già marcia sotto il sole velato nelle zone aperte. escursioni_estive
L'orientamento non è affatto facile, e solo il GPS ci ha impedito di allungare il giro oltre il preventivato.

lunedì 7 marzo 2011

Le montagne di Franz Lenhart (Merano)

Le pitture murali lungo la Winter Promenade.
Winterpromenade Meran
Promemoria per chi passa da Merano: le vetrine sontuose delle macellerie sudtirolesi possiamo trovarle anche a Bolzano o a Bressanone, ma una ghiottoneria come questo gazebo liberty c'è solo qui, a fianco della passeggiata d'inverno lungo il torrente Passirio.
👉Il passaggio coperto é decorato da un ciclo di pitture a fresco di Franz Lenhart, polivalente e cosmopolita protagonista della scena culturale mitteleuropea, pittore e celebrato cartellonista, un vero mago del manifesto (a casa ho appeso una bella riproduzione incorniciata).
Passeggiata d'inverno
Conservo con cura un bel libro fotografico, un'edizione purtroppo fuori commercio probabilmente reperibile nelle biblioteche pubbliche: "I colori delle Dolomiti nei manifesti di Franz J. Lenhart", Ed. Banca di Trento e Bolzano, Trento, 2000. Da lì ho appreso che il ciclo di affreschi ospitato sotto il gazebone liberty del lungo-Passirio a Merano risale ai primi anni Sessanta. Per saperne di più su Lenhart vedi il post di Terre Alte.