lunedì 30 gennaio 2012

Autoscatto e foto notturne in montagna

Cerca e ricerca, finalmente l'ho trovato (nel web, ovviamente). Un cavalletto da taschino, piccolo e leggero ma perfettamente funzionante.
fotografare in montagna
Per capire come funziona questo oggettino c'è in
 YouTube un video dimostrativo.
Se il foro filettato sul fondello della fotocamera non è troppo decentrato, è in grado di reggere anche una reflex. Il rivestimento in gomma delle tre zampe impedisce di scivolare sulle superfici lisce. Il collegamento tra la base e le zampe non collassa sotto le fotocamere più pesanti.
Ho verificato che le tre zampe si adattano a rami, tubi, sporgenze e sono capaci di garantire l'orizzontalità semplicemente premendo sulla fotocamera, proprio perchè "si adattano". Ripiegato è alto 8 millimetri su un ingombro di 8x5 centimetri.

venerdì 27 gennaio 2012

I bivacchi "tipo Apollonio"

Per me il vero bivacco alpino è quello tipo Apollonio: nove posti su letti a castello nello spazio di uno scompartimento ferroviario "ante-frecciarossa".
Bivacco tipo Apollonio sulla vetta del Crozzon di Brenta (foto L. Faggiani).
Non che gli altri siano peggiori, anzi, quasi sempre sono più spaziosi, più belli e meglio attrezzati. Ma non c'è dubbio che l'Apollonio (chiamato anche "Fondazione Berti") porti con sé la garanzia che si tratta di un ricovero da alpinisti.
👉Questo modello è storicamente legato ad un periodo in cui il turismo di massa non ancora non esisteva.
Avevo cercato nel web qualche informazione, ma nessun sito diceva nulla del suo progettista ing. Apollonio, e poco si trovava anche sulla Fondazione Berti.
👉Finalmente  il Bollettino della SAT (nr. 4/2011) in una nota a piè pagina svela il (mio) mistero: l'ingegnere Annibale Apollonio "Nato a Cortina d'Ampezzo nel 1848 fu alpinista e dirigente della SAT. Impiegato in qualità di ingegnere presso il Municipio di Trento, progettò il primo impianto idroelettrico (Ponte Cornicchio, 1886-1890), grazie al quale Trento fu la prima città dell'impero asburgico ad essere illuminata elettricamente. Di Apollonio si ricordano anche due importanti spazi sociali: piazza Dante e i giardini di piazza Venezia. Si spense a Trento nel 1915. Suo figlio, Giulio, ideò un particolare modello di bivacco fisso e fu Presidente della SAT dal 1942 al 1944 e dal 1949 al 1950".

Il pane dell'inverno, quello che che fa crock

Questo sottile pane rotondosecco, duro, croccante e aromatico è nato dall’esigenza di dare al pane la massima durata possibile: per superare i lunghi inverni gli abitanti delle Alpi necessitavano di scorte alimentari abbondanti. Oggi in Sudtirolo viene servito da sgranocchiare durante l’aperitivo o per accompagnare un tagliere di speck e formaggi. Il suo profumo particolare è dovuto alla presenza di semi di finocchio, cumino e anice nell’impasto di farina di segale.


Si chiama Schüttelbrot: a tre quarti della lievitazione i pani vengono battuti e appiattiti fino a raggiungere lo spessore di un centimetro (in italiano sarebbe “pane scosso” perchè schütteln in tedesco = scuotere). Il vantaggio era che il pane schiacciato diventava secco subito dopo la cottura, evitando così di ammuffire. Il pane secco veniva poi conservato per mesi su speciali rastrelliere di legno in stanze arieggiate. Per essere mangiato, veniva spezzato con la cosiddetta "Brockengrommel" (vedi foto a lato).

giovedì 26 gennaio 2012

Il radicchio rosso di Verona con la senape

Post ispirato dalla mia attrazione per il rosso, per le insalate e per la bella foto trovata nel sito della Fiera del Radicchio Rosso di Verona, (elaborata con Photoshop ma l'originale è nel sito della fiera).
radicchio rosso
Il rosso inconfondibile del radicchio invernale a palla "veronese".
Questo radicchio "da insalata" deriva dal rosso di Treviso, dal quale si distingue perchè più corto e più tondo, praticamente a palla.
Le definizioni di precoce e tardivo derivano dal periodo in cui avviene la raccolta.
Il sapore tende all'amaro, e proprio per questo mi piace.
Tutte le spiegazioni del caso nel sito Alimentipedia.
In pratica, mi piace diluire un cucchiaio di senape con olio, aceto, sale e pepe, e poi condire il radicchio spezzettato ina ciotola conquesta salsa piccante, e questo è tutto.
radicchio rosso
Radicchio rosso di Verona con lesso di patate e di pesce, con qualche cappero e prezzemolo secco.

mercoledì 25 gennaio 2012

Festung Trient

www.archiviostorico.info.
Ossia "Fortezza Trento". E' il titolo del recente studio storico sulla cintura difensiva della città realizzata dall'Impero Autroungarico in vista della Prima Guerra Mondiale.
Il conflitto scoppiò quando alcune delle opere non erano nemmeno state ultimate. Il libro contiene una nutrita documentazione fotografica come in questo tipo di opere è di rigore.
Lo cito anche per dare qualcosa da rosicchiare ai topi di biblioteca eventualmente incuriositi dagli ultimi post sulle fortificazione dei monti di Trento (interamente confezionati con materie prime prodotte dall'amico Luigi Faggiani).
Le informazioni sul libro sono in questo sito web.

martedì 24 gennaio 2012

Le fortificazioni del Monte Calisio a Trento

La piatta cima del piccolo Monte Calisio si trova ad appena 1.096 metri di quota e s'affaccia da nord sulla conca della città di Trento. Costituisce l'estrema propaggine occidentale della lunga catena Lagorai-Cima d'Asta. escursioni_invernali
Restituzione planimetrica del terreno fatta con 3D-RTE Reader.
Ciò spiega perchè gli austroungarici ne fecero un pilastro della cintura di fortificazioni destinate alla difesa di Trento, allora situata all'estremo sud dell'Impero asburgico e quindi particolarmente esposta agli attacchi del Regno d'Italia in caso di guerra. escursioni_Trento
La guerra ci fu ma la cintura non entrò mai in azione perchè il fronte e le primee lineee si mantennero sempre, pur tra alterne vicende, relativamente lontani dal capoluogo trentino.
Planimetria fotografiaca prodotta con 3D-RTE Reader.
L'escursione che Gigi ci propone è modesta come dislivello (300 metri dal parcheggio alla cima) ma interessante per via dei reperti militari che si incontrano lungo il cammino. escursioni_invernali
Inoltre va ricordato che qui si viene anche per il panorama che offre la cima, piatta ed erbosa come un parco cittadino e certamente molto diversa da come doveva apparire ai tempi della prima guerra mondiale.
Per i tempi: dal parcheggio auto alla cima del Monte Calisio 1:00 ore; ritorno dalla cima al parcheggio 1:10 ore.






Descrizione del percorso e informazioni sulle fortificazioni:
Da Trento occorre salire a Martignano e quindi a Montevaccino. In pratica si segue la strada finché questa divenuta stretta, svolta a destra (segnavia), passa tra le case di Montevaccino di sopra, raggiunge la loccalità Loch dove, a un bivio, troviamo un ampio parcheggio alla nostra sinistra (segnavia SAT per il Lago di S. Colomba).
Lasciata l’auto, torniamo indietro e proseguiamo in salita, arrivando poco dopo a un secondo bivio; qui si sale a destra raggiungendo l’ex Forte Casara (non rimane altro che una spianata, un muro e una tabella informativa). Sulla destra seguiamo una sterrata che prende quota arrivando a circa 905 metri; noi giriamo a destra, abbandonando la stradina che procede dritto, arrivando a m 925 dove troviamo il terzo bivio. Ora prendiamo a sinistra, seguendo un sentiero un po’ scomodo dal fondo sassoso e che corre in un fossato, fino a sbucare nuovamente su una sterrata che sale dalla nostra sinistra (m 970).
Con più comodo, seguitiamo nel bosco, prendiamo a sinistra e giunti all’ennesimo bivio (m 985) raggiungiamo la loc. Prà del Dorigat. Il nostro sentiero, come dice il nome, attraversa un prato (esiguo in verità, il bosco avanza!), regalandoci così un anticipo del panorama che avremo dalla cima del Calisio. Da qui spaziamo verso nord: da sinistra ecco la Paganella, il Brenta con il sottogruppo della Campa, il Dosso alto e il Fausior con la sottostante Valle dell’Adige, l’imbocco della Val di Non con le Maddalene e via fino al Corno Bianco e Nero.
Attraversato il prato, perdendo un paio di metri, proseguiamo dapprima in costa poi affrontiamo il tratto più faticoso dell’escursione salendo un ripido pendio, dove troviamo alcuni scalini fatti con dei tronchi d’albero, poi una serie di tornanti, in seguito una vera e propria scalinata, sempre di tronchi, che ci conduce al bivio con il sent. 401; siamo agli “Stoi” a m 1.050 (tabella informativa sulle batterie in caverna).
Ora abbiamo due possibilità per salire alla cima:
  1. Seguire il sentiero. In questo caso costeggiamo, tenendoli alla nostra destra, gli ingressi di due “Stoi”, svoltiamo a destra e superiamo una paretina di roccia attrezzata (poca roba, circa 5 metri con cavo e quattro scalini metallici), infine seguiamo il sentierino sinuoso che, in dieci minuti circa, ci conduce sulla vetta del M. Calisio a 1.096 metri.
  2. Visitare le gallerie di guerra. In questo caso in alcuni tratti occorre una pila frontale. Avendo scelto le gallerie, il tempo necessario a sbucare in vetta dipende dalla vostra curiosità. Nel mio caso tra il tempo impiegato per le fotografie ed essendo, come i miei pelosi antenati, particolarmente curioso, ho impiegato circa un’ora.
Anche per il ritorno possiamo scegliere due alternative: ripercorrere l’itinerario di salita, oppure, scesi di nuovo ai 1.050 metri del bivio degli Stoi, proseguire con il sent. 401. In questo caso affronteremo un primo tratto ripido che, in seguito, diventa meglio percorribile e ci porta alla confluenza con una sterrata proveniente dalla nostra destra (si tratta della stradina che arriva dal bivio a m 985, quello che abbiamo trovato salendo al Calisio).
Continuiamo la discesa a valle, prima ripidamente, poi risaliamo di poco per riprendere a perdere quota e trovarci, infine, sul tornante di una comoda sterrata. Ora seguiamo quest’ultima che, con tornanti e lunghi traversi, ci conduce a q 821, nei pressi dell’ex rifugio Calisio, dove confluisce nella larga sterrata proveniente da Montevaccino. Da qui la strada, compiendo vari saliscendi, in circa mezz’ora di comoda passeggiata ci riporta al punto di partenza. 


Le quote:
Punto di partenza (Loc. Loch)          : m    793
1° Bivio                                            : m    810
Ex Forte Casara (2° bivio)                : m    892
3° Bivio                                            : m    905
4° Bivio                                            : m    925
5° Bivio                                            : m    970
6° Bivio                                            : m    985
Loc. Prà del Dorigat                         : m    990
7° Bivio 430/401 Stoi del Calisio       : m 1.050
M. Calisio                                         : m 1.096
8° Bivio 401/Quattro Strade              : m    821

Note: Sul M. Calisio troviamo i resti di fortificazioni, nel punto più alto un’inferriata protegge una stazione GPS del Servizio Geologico della Provincia Autonoma di Trento, un punto attrezzato per riti magici (croce e altare), delle tabelle informative e un ampio panorama a 360° che, partendo dalla Val d’Adige, spazia dal M. Bondone, alle Maddalene fino ai monti altoatesini, al Latemàr, al Lagorài, ai monti della Valsugana per concludersi con Marzola e Vigolana.
L’ex rifugio Calisio è ormai chiuso da tempo e versa in cattive condizioni. Una nota triste, almeno per me, per ricordi di momenti felici trascorsi qui con i miei genitori quando venivano a trovarmi da Genova la mia città natia. I tavoli all’aperto ormai malridotti, il campo da bocce ricoperto da erba e arbusti, dove mio padre ed io avevamo giocato, la cucina all’aperto sparita, le persiane mezze divelte, insomma confesso che mi è venuto il nodo alla gola.

lunedì 23 gennaio 2012

Le fortificazioni del Monte Soprasasso a Trento

Restituzione planimetrica del terreno fatta con 3D-RTE Reader.
Le opere militari sul Soprasasso furono costruite solo alla vigilia della Prima Guerra Mondiale (1914) e vennero terminate nei primi mesi del 1915, appena prima dell’ingresso in guerra del Regno d'Italia. Come tutte le altre imponenti e costose opere belliche che costituivano la “Fortezza di Trento", anche quelle del Soprasasso rimarranno completamente inutilizzate: il grande massacro avvenne su fronti lontani. escursioni_invernali
Planimetria fotografiaca prodotta con 3D-RTE Reader.
La fuciliera, insieme al sito del Pontesél, è uno dei “pezzi forti” di questa escursione. E' un manufatto a due piani, lungo una quarantina di metri. Appena dentro a destra, c’era il posto di guardia. Seguono undici postazioni per i fucilieri, rivolte verso Cadine e la “Poza dei Pini”, tutte dotate di feritoie e di una rientranza per le munizioni. testo, foto e descrizione sono di Luigi Faggiani: escursioni_Trento
Parcheggio : m 507    ►  Fucileria : m 715
►  Baita Laura : m 790  ►  Dislivello: +293 m
Descrizione dell'escursione:
Il paese di Cadine dista 5 km da Trento e si raggiunge prendendo la strada per il “Bus de Vela”, direzione Val dei Laghi. Usciti dalla lunga galleria del Bus de Vela, si gira a destra e alla seguente rotatoria ancora a destra. Superati un paio di tornanti, si raggiunge Cadine; qui, al semaforo, si gira ancora a destra seguendo l’indicazione per la zona sportiva, proseguendo poi dritti per una strada senza uscita che termina al parcheggio “fer de caval”: qui c’è un area attrezzata e un parcheggio.
Il percorso è un anello lungo circa 7 km, senza difficoltà e senza grosse pendenze in salita, mentre in discesa il sentiero seguito, che taglia alcuni tratti di strada sterrata, è più ripido. Dal parcheggio seguiamo a destra una strada asfaltata che, dopo breve, diventa sterrata e prende quota con vista sulla Paganella e il Canfedin alle nostre spalle.
Giunti a 602 metri, si incontra su un tornante un’indicazione che ci segnala la località dei “Ventitré Pini”. La località deve il suo nome ai lavori di disboscamento effettuato dagli austriaci nei lavori di fortificazione della zona del Soprasasso: solo 23 conifere si salvarono, ma solo perché servivano a mimetizzare alcune postazioni d’artiglieria e i depositi per le munizioni.
Continuando a salire nel bosco, si supera un quadrivio, non a caso siamo in località “Quattro Strade”, raggiungendo quindi un’ampia radura alla cosiddetta “Pozza dei Pini”, qui troviamo, oltre alle tracce di quello che fu un caposaldo in epoca bellica, anche la confluenza con il sentiero, contraddistinto dal segnavia n. 627, che sale dal sobborgo di Trento della Vela.
Proseguiamo in salita con la strada militare austriaca in ottime condizioni e, dopo cinque minuti, un cartello c’impone una leggera diversione a sinistra che ci porta a visitare la “fuciliera” austriaca, un manufatto molto interessante. Appena entrati a destra, in quello che era il posto di guardia, c’è un quaderno a disposizione dei visitatori, dove lasciare un segno, ovviamente civile, del proprio passaggio.
Visitata la fuciliera e tornati sulla strada militare, proseguiamo lungo la parete rocciosa del Sorasass che sovrasta a picco la Valle dell’Adige. I panorami che si aprono su Trento e dintorni sono splendidi, unico neo l’improvviso rumore che sale dalla cosiddetta “civiltà” del fondovalle.
Continuando la nostra escursione superiamo numerosi “Stoi”, ricoveri per la truppa o depositi di materiali e munizioni scavati nella viva roccia, arrivando, quasi improvvisamente alla “Baita Laura”. Quest’ultima non è altro che uno Stoll trasformato in una confortevole, anche se piccola, baita.
Proseguiamo passeggiando in piano e, subito prima d’arrivare al “Pontesel”, troviamo a sinistra una scala in pietra, ottimamente costruita a suo tempo come testimonia lo stato di conservazione, se volete, potete seguirla: porta a una trincea e a una postazione, una specie di torretta, proprio dietro la Baita Lucia di cui si vede il tetto.
Pochi passi ancora e arriviamo nel posto più importante del nostro giro, sia per il panorama, sia per la presenza significativa delle vecchie strutture militari. A monte della strada ci sono due manufatti rotondeggianti in cemento, i cosiddetti “rocchi”, cioè i basamenti dei pezzi d’artiglieria, poco distanti ci sono altri due ricoveri per i soldati della guarnigione presenti nel caposaldo. Uno di questi è stato recuperato e si presenta come era allora, attrezzato con stufa, brande di legno a castello e ricoperto con uno strato di “mattonelle” di sughero. Un ottimo lavoro, come quello della Fucileria ed altri, dovuto all’intervento dell’Azienda forestale di Trento-Sopramonte.
A valle della strada altre basse strutture (ricoveri) ci accompagnano verso lo spettacolare “Pontesel”, un vero e proprio nido d’aquila a picco sulla val dell’Adige; si raggiunge con un corto sentiero attrezzato, come il Pontesel, da cavi d’acciaio che proteggono dal baratro. Un tempo osservatorio militare, oggi è senza dubbio un posto da non perdere per scattare delle foto a “volo d’uccello”.
Tornati sui nostri passi, non si può fare a meno di notare un grande portone di legno, si tratta dell’ingresso alla caverna che, biforcandosi in due gallerie, ospitava postazione d’artiglieria di medio calibro.
Lasciato questo luogo, certamente il motivo più importante dell’escursione, saliamo di poco, con un paio di tornanti, e ci troviamo in una bella spianata dall’ampio panorama; da qui in poi iniziamo a scendere per il ritorno. Alla nostra sinistra c’è un’edicola con una targa di marmo la cui iscrizione dice: «La polsa (riposo) del Fausto»; ho scattato subito una foto per l’amico Fausto ovviamente che, suppongo, mi manderà a quel paese per scaramanzia.
Dopo un ultimo sguardo alla Paganella scendiamo dapprima con comodo, poi la pendenza aumenta e abbandoniamo la sterrata per seguire un sentiero che ci evita un giro ozioso, infine arriviamo alla bella località della “Poza de la Casara” a 710 metri, dove s’impone senza dubbio un momento di sosta. È questa una splendida radura, dotata di una tettoia con dei fornelli in pietra usata per feste campestri.
Ripreso il cammino, possiamo decidere se seguitare con la sterrata, che compie una serie di tornanti, riducendo con ciò la pendenza del percorso o seguire, alla nostra destra, un sentiero che dirige a valle in modo più deciso. In ambedue i casi ci troveremo a fianco dei resti di una “Calcara”, cioè una fossa per la fabbricazione della calce (pannello illustrativo) da dove, in circa mezz’ora di cammino comodo, torneremo al punto di partenza. Buon cammino!

domenica 22 gennaio 2012

Le fortificazioni del Monte Celva a Trento

Immagine prodotta con il software 3D-RTE Reader.
Il Monte Celva è posto sulla verticale dell'intaglio della Valsugana, a guardia dello stretto canyon d'accesso alla città. escursioni_Trento
Restituzione planimetrica del terreno fatta con 3D-RTE Reader.
Posizione strategica ben compresa dagli autroungarici che lo inserirono nella poderosa e articolata cintura difensiva che contornava la città dominandola dalle alture circostanti: Monte Bondone, Monte Soprasasso, Monte Calisio, Monte Celva, Monte Marzola. I "monti di Trento", appunto. La cintura era in realtà più estesa, giungendo fino a Romagnano e Mattarello a sud e comprendeva opere destinate a bloccare gli ingressi, come quello del Bus de Vela a ovest.
Le foto e la descrizione sono di Luigi Faggiani, che puntigliosamente annota dislivelli e tempi:
escursioni_invernali 
 Forte Roncogno – Monte Celva h 0:40
 Monte Celva – Forte Roncogno h 0:30
 Dislivello metri +193


Descrizione dell'escursione:
Raggiunto il Passo del Cimirlo, occorre svoltare seccamente a sinistra seguendo le indicazioni del sent. 419 e per il Parco del Cimirlo. Si giunge in breve davanti al Forte Roncogno; struttura restaurata e destinata a ospitare iniziative pubbliche. Poco oltre il Forte si trova un ampio parcheggio.
Tornati sui nostri passi, troveremo il segnavia del sent.419, proprio di fronte al vecchio Forte, che passa tra due case per poi svoltare a destra e cominciare a salire con tutto comodo. Poco dopo il sentiero aumenta la sua pendenza e conduce di fianco alla Fucileria; la struttura militare è fornita di quindici feritoie e controllava l’accesso al Passo del Cimirlo dalla Valsugana. L’opera è stata recuperata per quanto possibile e si presenta mancante della copertura.
Pochi metri sopra s’incontra il bivio segnalato del cosiddetto Sentiero dei 100 scalini che, perdendo pochi metri di quota, conduce in un paio di minuti all’ingresso della caverna che ospita due postazioni collegate tra loro e la galleria che conduce al pozzo un tempo ospitante un montacarichi in comunicazione con il soprastante Osservatorio.
Proseguendo il cammino, il sentiero compie dei tornanti e aumenta la sua pendenza. Al 4° tornante (destrorso) si trova una piccola freccia rossa che indica (a sinistra) la presenza di manufatti bellici. Se avete voglia e siete muniti di una pila, potete esplorare questi locali e se la vostra curiosità sarà come la mia, vi troverete a salire per delle scale semi ingombre di macerie che vi porteranno a sbucare direttamente in una trincea del soprastante Osservatorio. Se invece volete salire con più comodo, continuate lungo il sentiero e in breve

raggiungerete una bella spianata (tavolo e panche) dove troverete il bivio con il sent. 424 che precipita vero la Valsugana.
Siamo a q. 865 tutt’intorno a noi ci sono i resti delle opere militari (un forte seminterrato, una fucileria e delle trincee); vi consiglio di seguire le trincee che offrono un colpo d’occhio mica male su tutta la Valsugana e non solo. Non per niente siamo in un Osservatorio, da qui si poteva scambiare messaggi luminosi con l’Osservatorio posto sulla Cima del Pizzo di Levico o Cima Vezzena.
Seguendo il segnavia costeggiamo ancora le opere militari, quindi un profondo fossato per poi allontanarci seguendo un sentiero che si fa più stretto e prosegue lungo la dorsale SE del M. Celva regalandoci, vegetazione permettendo, dei bei panorami.
La pendenza del tracciato poi aumenta e troviamo due brevi cavi metallici che aiutano a superare un tratto altrimenti un poco faticoso. Lasciati i cavi alle spalle, si attraversa una breve spianata dove, alla nostra destra, troviamo un paio di cucine militari in calcestruzzo, o meglio ciò che ne rimane. Si tratta di due fori circolari con sottostante posto per fuoco di legna. Il diametro dei fori è ampio, se ne deduce che anche il parol (paiolo per la polenta e non solo) doveva avere buone dimensioni.
Lasciata l’area cucina, si continua la salita arrivando in breve sulla piatta cima del M. Celva dove troviamo: i resti di un basamento di una teleferica, alcune robuste panchine di legno e un profondo pozzo circondato da una recinzione di sicurezza. Siamo in pratica sul tetto del Forte di vetta ricavato in caverna proprio sotto i nostri piedi. Per visitarlo basterà seguire il segnavia 419 che scende accanto ad un grosso, e brutto, pannello metallico (un ripetitore o marchingenio similare) dove ci sono i due ingressi del Forte.
Il panorama dalla vetta non è male: si vede la Val d’Adige con la C. Marzola, la Vigolana, il M. Stivo, il M. Bondone, un tratto dell’Adamello-Presanella. Il gruppo della Paganella dietro di cui spuntano le guglie del Brenta, la Val di Non con le lontane Maddalene, le Cime di Vigo, il Calisio e il suo altopiano, il Lagorài dalla Val di Cembra alla Panarotta. Per essere in pratica un dosso più che un monte, il M. Celva ha dalla sua due assi nella manica: una bella posizione panoramica e la presenza delle opere di guerra. Due motivi sufficienti a rendere questa facile escursione appetibile, in special modo se non avete a disposizione tutta una giornata. Buon cammino!

Quote:
Forte Roncogno                                 : m 805
Fucileria                                             : m 845
Bivio sent. 100 scalini                         : m 850
Ingresso Postazione 100 scalini           : m 847
Osservatorio bivio sent. 419/424        : m 885
Cavi metallici                                      : m 930
Cucine militari                                     : m 980
M. Celva                                            : m 998

mercoledì 18 gennaio 2012

Questione di stile (e di etica)

Dicembre 2009, Val di Fassa: quattro uomini del soccorso alpino (volontari) muoiono nel tentativo
di salvare due idioti che volevano fare il fuori pista come avevano visto in qualche televisione commerciale.

I nomi (ricordiamoceli!): Diego Perathoner, 42 anni, Ervin Ritz, 32 anni, Luca Prinoth, 43 anni, Alessandro Dantone 39 anni.
Qualcuno dice che sono stati stronzi, perchè i due meritavano di essere abbandonati alla loro idiozia. Ovviamente vero.
Eppure un qualcosa mi porta a rispettare questi quattro che di sicuro non volevano diventare eroi. Le loro facce non ci parlano di astuzie antisociali ma piuttosto dell'orgoglio di saper vivere a testa alta. Sempre, un giorno dopo l'altro.



Gennaio 2012, Isola del Giglio: per compiacere gli amici il comandante Schettino porta la sua nave

da crociera contro gli scogli. Invece di organizzare i soccorsi scappa con un barchino. Sui media viene difeso dal suo collega partenopeo. Entrambi in organico alla Costa Crociere. La sede è a Genova ma la vicenda è interamente "mediterranea". Ben pagati, attenti alla carriera, alla famiglia e certo non volontari. I fatti, i precedenti, la dinamica, le omissioni., il background, gli stessi argomenti che il "comandante" e i suoi sodali usano a propria difesa, la reticenza della compagnia armatrice, ci parlano di un mondo marcio, irresponsabile e pericoloso che dobbiamo imparare a riconoscere e a respingere per il bene del paese e di noi stessi.

lunedì 16 gennaio 2012

Sui due rifugi SAT alla Bocca di Brenta

Da non perdere l'articolo di Riccardo Decarli sul bollettino della SAT 4/2011 che ricostruisce, con documentazione inedita, i modi e i tempi del conflitto tra i due club alpinistici dell'epoca: la SAT trentina e il DuÖAV austrotedesco.
L'aspetto originario del Rif. Tosa (Riproduzione dal Bollettino SAT 4/2011).
Fu una lite senza esclusione di colpi che si concluse in tribunale e vide infine prevalere il sodalizio trentino. Il testo dell'articolo sarà disponibile a breve nel sito della SAT. Qui mi limito a ricordare l'aspetto attuale del doppio rifugio Tosa e "T. Pedrotti" confrontandolo con il modesto aspetto che l'allora neonato Rifugio Tosa aveva nel 1902, quando venne inaugurato.
Quelle vicende interessarono l'intero ambiente alpinistico europeo, come testimoniano le citazioni del Decarli:
I due edifici del Rif. Tosa (in basso) e del Rif. Pedrotti (in alto) evidenziati su sfondo
sfondo bianco-nero nel loro aspetto attuale.
Scriveva Douglas William Freshfield sul periodico dell'Alpine Club inglese:
"The thanks of explorers of the Trentino Alps are due the society for the erection of a solid hut near the Bocca di Brenta. We cannot help thinking small mountain inns woul be a greater benefit to travellers. The châlets in this region already supply a night shelter near enough to the peaks for most mountaineers, and the discomforts of a hut and châlets are nearly bilance". (The Alpine Journal, Vol. X,  feb. 1882, p. 411)
● Anche il pittore e alpinista Edward Theodor Compton ebbe parole di ammirazione:
"One more word in praise of the hut near the Bocca di Brenta, the most complete and confortable I ever slept in, saving, perhaps, the Knorrűtte on the Zugspitze. Indeed, I venture to think that Mr. Freshfield, when he visit it,, will allow that this, like the two others built by the young Trentino Club, makes a worthy exception to this remarks" (E.T.Compton, "Expedition in the Brenta Group", The Alpine Journal, Vol. XI, nov. 1883, p. 323)

sabato 14 gennaio 2012

"io non capisco la gente che non ci piacciono i crauti"

Per dirla con Monica Vitti, ma anche con Francesco Guccini, che diede inizio al tormentone col suo pezzo "I fichi".
mangiare in montagna
Crauti e luganeghe trentine fresche, un superclassico.
mangiare in montagna
Una coltivazione di cavoli cappuccio da campo in Val Martello. Questi veri amici
dell'uomo vengono generalmente cucinati assieme a carne di maiale, speck, pan-
cetta o würstel; in questo modo, cuocendo assieme, i crauti vengono insaporiti
dai liquidi sprigionati durante la cottura (si veda ad esempio la ricetta dei crauti
trentini).
Il ruolo alimentare dei crauti è rimasto saldo nel tempo, ancora oggi nei paesi dell'Est se ne mangiano le foglie crude dopo aver esagerato con la vodka.
▌Per secoli hanno rappresentato uno degli alimenti principali degli equipaggi delle navi, sia per la loro conservabilità in barile che per le proprietà antiscorbuto. Anche la flotta di Roma antica usava rinforzare con i crauti il magro regime alimentare durante i lunghi viaggi in mare.
▌La parola "crauti" deriva dall'alsaziano "sûrkrût" o "sürkrüt" (composta da "sûr" che significa aspro e da "krut" che significa erba) e si tradurrebbe quindi con "erba aspra".
mangiare in montagna
Il cappuccio di campo va tagliato a fette sottili con la "slitta da crauti" e condito
con bacche di ginepro.Verrà incassato in mastelli di legno e lasciato maturare a
lungo. Questa tecnica di conservazione degli alimenti era nota fin dai tempi del-
l'impero romano, che lautilizzavano per gli equipaggi delle loro navi in funzione
anti-scorbuto.
▌Nell'Europa centrale arrivarono solo nel 1240 al seguito dei Mongoli e dai Tartari partiti alla conquista dell'ovest. Nel XVI° secolo in Alsazia si fa riferimento a questi cavoli, che secondo i testi erano presenti sulle tavole dei monasteri.
Il Mariani nella sua opera "Trento con il Sacro Concilio 1673" afferma che: "Di questi Cavoli si fanno i Crauti, Cibo, che vi s'usa molto, e più in Terra Tedesca, dove entra nelle mense a segno, che senza Crauti non si fa quasi Pasto in tutto l'anno."
▌L'esploratore inglese James Cook navigò per più di tre anni senza mai registrare un solo caso di scorbuto tra i suoi marinai.
crauti
I Crauti Zuccato sono prodotti dal 1898 nello stabilimento di un piccolo paese
collinare della provincia di Vicenza: Chiuppano. La ditta produce i crauti in tre
versioni: al naturale (barattolo bianco), cotti nel brodo (barattolo color sabbia)
e freschi (grosso secchiello bianco di plastica).
La cosa fu resa possibile dalla presenza dei crauti nella dieta della ciurma, grazie al fatto che potevano essere facilmente conservati a bordo in barili.
Per prevenire lo scorbuto, una malattia spesso mortale prodotta dalla mancanza di vitamine, Cook imbarcava un grande numero di barili di crauti acidi, di galloni di malto, di succhi di arancio e di limone, quintali di estratti di carne, infuso di sassofrasso, senape e aceto a damigiane, piselli secchi e farina di avena.
mangiare in montagna
Un rapido passaggio in padella con un trito di cipolla e carote (e bacche di ginepro) e sono pronti a far da contorno ai piatti di carne.
mangiare in montagna
Qui i crauti si dividono il piatto con le ciughe del Banale, salsicce povere di carne e rape.
mangiare in montagna
Crauti con polenta gialla e luganeghe trentine, un vero piatto da baita o da rifugio.
mangiare in montagna
Crauti, luganeghe e cus-cus: esperimento casalingo che svela una inedita capacità di adattamento "interetnico".
mangiare in montagna
In Carnia, in Friuli e in Slovenia si mangiano minestre a base di crauti che si chiamano jota.
mangiare in montagna
Costine di maiale al forno con crauti e polenta: è un altro classico da baita.
mangiare in montagna
Würstel Servelade bolliti in acqua e impiattati con crauti e senape.

giovedì 12 gennaio 2012

Crauti e luganeghe trentine al modo classico

Il termine "crauti", sempre usato al plurale, deriva dal tedesco Kraut, che significa "erba, erbaggio". E "luganega" significa "salsiccia".
mangiare in montagna
I crauti e i salsicciotti chiamati luganeghe vanno messi a sobbollire in una pentola assieme a poca acqua o vino bianco, qualche foglia di alloro e qualche bacca di ginepro. Niente sale perché sia i crauti che le salsicce ne contengono più che abbastanza.
mangiare in montagna
Messi in barile col sale e pressati con un grosso sasso sul coperchio: così i cavoli
dell'orto si trasformavano in crauti. Era un basilare metodo di conservazione degli
alimenti. Un tempo era usati come alimento di base nella dieta quotidiana dei con-
tadini di montagna. Oltre ad esserne grandi consumatori, li preparavano in casa in
grandi quantità per far fronte all'inverno: costituivano una "riserva strategica.
In tedesco tutti gli ortaggi a foglia e persino alcune spezie sono considerati Kräuter, l'italiano crauti corrisponde piuttosto a Sauerkräuter, ovvero ai cavoli acidi.
mangiare in montagna
I crauti e la luganega trentina fresca cotti e portati in tavola assieme.
👉Il cavolo cappuccio viene tagliato sottile, messo in botte alternandolo con sale grosso e fatto fermentare a temperatura ambiente per una settimana, poi al fresco di una cantina per almeno 3 o 4 settimane coperti da una stoffa ed un coperchio di legno, sormontato da una pietra.
Questo tipo di tecnica era in uso presso i cinesi migliaia di anni fa, in Europa appartiene alla tradizione nordica/tedesca.
👉Nella preparazione dei crauti non vengono aggiunti alimenti calorici e quindi i crauti hanno gli stessi valori nutrizionali del cavolo, maggiorati dal fatto che durante la fermentazione perdono acqua (assorbita dal sale) e quindi vengono concentrati, un po' come se fossero cotti. Alla fine il valore nutritivo aumenta di molto poco, infatti i crauti hanno circa 25 kcal/etto contro le 19 del cappuccio crudo.
E' un alimento ricco di vitamine e sali minerali che aiuta la digestione poiché rinforza la flora intestinale allontanando così batteri e virus.

mercoledì 11 gennaio 2012

Ma come parlano?

"Snow park con area jib e jump, un boardercross ed un super pipe lungo 100 mt".
Giuro, è solo un copia e incolla preso dai banner di laRepubblica.it che invitano al capodanno in montagna. Ma attenzione, non siamo nel Montana e neanche a Dubai dove le frenesie modaiole fanno parte del genius loci, ma a Garniga, posto ben noto ai trentini. Per brevità diciamo che
Garniga:Trento=Zagarolo:Roma
E' qui che - incollo ancora - si vivrebbe "un' atmosfera di magia, quella magia della natura ormai sempre più rara". Ma guarda te, ce l'ho sull'uscio di casa e non me n'ero mai accorto...

domenica 8 gennaio 2012

Ultima corsa ore 15,45

Il presidente della PAT, Dellai.
E' concepibile un bus o un metrò che chiuda prima delle quattro del pomeriggio? In Trentino sì, ma per capire perchè ci si deve rivolgere al nostro Presidente della Giunta Provinciale, Lorenzo Dellai.
Chi infatti ha presentato il nuovo impianto sciistico Pinzolo-Campiglio come nuova forma di mobilità alternativa atta a ridurre il traffico veicolare e l'inquinamento? Chi ha rivestito con i panni dell'ambientalismo una "normale" operazione lobbistica?
Faccia di bronzo, certo, ma anche, come si dice con amabile ipocrisia, "motivi tecnici": questa balla della mobilità alternativa è stata confezionata perchè solo così era possibile gonfiare il regalo fino quota 80 (ottanta per cento dei costi coperti da soldi pubblici). Alla faccia dell'Europa e della decenza!

sabato 7 gennaio 2012

La neve s'è sciolta per strada?

E' passato il ponte dell'8 dicembre, sono passati Santa Lucia e St. Klaus, è passato Natale, è passato Capodanno, è passata la Befana e la neve in valle ancora latita. Ed ora due notizie:
Quella buona: nonostante il comitato d'affari fosse riuscito ad arruolare anche il rettore dell'Università
di Trento, l'idea di sprecare 20 milioni di euro pubblici nei cantieri del traballante progetto "Universiadi invernali" ha fatto flop. Le Universiadi erano in realtà solo il primo step di un progetto ben più preoccupante (portare in Trentino le Olimpiadi invernali, come se la fallimentare esperienza torinese di qualche anno fa non avesse insegnato niente). Per una volta una sola fava ha preso due piccioni?

Quella cattiva: la stessa cifra (ma vah?) sarà invece gettata in quel pozzo senza fondo che è la
Panarotta, praticamente col bilancio in rosso da quando è nata. Questa volta i soldi pubblici saranno spesi in primis per fare un serbatoio d'acqua da 30.000 metri cubi per nuovi cannoni da neve che andranno ad impreziosire il paesaggio. Il global-warming avanza ma, si sa, basta tirare avanti qualche stagione e poi, come in passato, altri soldi pubblici arriveranno...

giovedì 5 gennaio 2012

Rothaler Weinstube a Merano-Meran

rothaler stube
L'insegna sotto i portici si trova a poca
distanza dal Duomo di Merano.
Sotto i portici al nr. 41 sopravvive un'antica osteria, mi auguro sottoposta a qualche forma di tutela storico-artistica.
Più precisamente, sopravvive soltanto la saletta interna, raggiungibile anche dal porticato medioevale affrescato che la collega ai portici.
Il locale che invece dà direttamente sui portici è stato rifatto anni fa ed ora esibisce un anonimo aspetto da baretto di periferia.
Per individuarlo basta cercare l'insegna della foto a sinistra.
Tenere presente che qui non si viene per per la qualità delle bevande o del servizio, ma per ficcare il naso nell'antica saletta.
osteria locanda rothaler
Gli arredi d'epoca della Weinstube meranese. Notare il caratteristico lampadario a corna di caprone, un tempo diffusissimo nelle osterie sudtirolesi. A destra in basso si vede invece il portico di ingresso da Via Portici (scusate il bisticcio...).

martedì 3 gennaio 2012

Malga Zonta, così difficile da raccontare!

All’alba del 12 agosto 1944, nel corso di un rastrellamento a tenaglia che i nazifascisti condussero sull'altipiano salendo dalla Valdastico, dalla Valsugana e da Trento, avvenne la strage dei 17 di Malga Zonta.
Malga Zonta
Il primo da sinistra è il casaro Domenico Bauce, morto nel 1971. Accanto a lui
 Antonio  Fabrello, detto Toni Rosso, morto nel 2002. Il ragazzo con il cappello
 e la camicia bianchi, invece, è Bruno Fabrello.
Nell'estate del 1944 i partigiani vicentini della Brigata Geremi vi avevano fatto base, come del resto in altre malghe dell'altipiano. Nella stessa estate Domenico Bauce, casaro, otteneva dal Comune di Folgaria il permesso di pascolare in Zonta dopo la prima settimana di agosto perchè in Valbona, dove era prima, di erba ce n'era troppo poca. Però Bauce e i suoi non trovarono la malga vuota.
Era già occupata da un gruppo di rifugiati e partigiani capeggiati da Bruno Viola, nome di battaglia "Marinaio". Tra  lui e Bauce i rapporti si fecero sin da subito molto tesi. Il casaro a rivendicare il diritto di usare la malga per lavorare, il "Marinaio" a opporre ragioni di ordine militare. Le grandi ragioni della Resistenza e le ragioni del piccolo mondo contadino si scontravano. Alla fine si giunse ad un precario compromesso e così i partigiani si sistemarono al primo piano della casara.
Ma a notte fonda, un reparto di tedeschi accerchiò le malghe di Passo Coe. I nazisti si muovevano con sicurezza e velocità. Un ufficiale tentò di entrare nell'edifico di Malga Zonta, ma venne freddato sulle scale. Alla fine il "Marinaio" e i suoi non poterono altro che uscire con le mani alzate. Tutti i presenti, partigiani, malgari e lavoranti vennero allineati sotto la tettoia della porcilaia. Vennero messi al muro anche quelli portati nel frattempo dalle malghe vicine, tra cui Domenico Frabello di Malga Piovernetta (classe 1887). E' lui, l'anziano malgaro, ad alzarsi contro i tedeschi, mostrando i pantaloni sporchi di letame e le sgàlmere, gli zoccoli in legno buoni per la stalla ma non per la lotta partigiana. I tedeschi si fanno convinti, lo spostano lui e i suoi. Poi le raffiche. Inspiegabilmente tre malgari non erano stati allontanati e restano sul terreno assieme ai quattordici partigiani.

Sullo sfondo c'è il Trentino provincia del Reich, scorporato dalla
La copertina del libro fotografico uscito nel 1975.
Repubblica di Salò e governato in prima persona dai nazisti, attraversato da tentazioni collaborazioniste, ambiguità e connivenze, delazioni fratricide come quella di Fiore Lutterotti, spia nazista che consegnò alla Gestapo il capo dei resistenti trentini, Gianantonio Manci.
Una porcheria così assoluta da spingere addirittura il vescovo di Trento a condannarla pubblicamente in Duomo, anche a rischio di rappresaglie naziste. Ma la pancia profonda dei trentini stava probabilmente con un personaggio che oggi la prospettiva storica ci permette di vedere con più chiarezza: l'avvocato Adolfo de Bertolini, nominato dal Gauleiter nazista Franz Hofer Commissario Prefetto. Il suo localismo esasperato e la sua chiusura mentale sono ben noti agli occupanti che l'anno nominato. Grazie a lui la parola "trentino" o di "origine trentina" diventano un lasciapassare e un titolo di merito "a prescindere". Mette sul piatto dei nazisti la creazione del Corpo di Sicurezza Trentino (CST, polizia indigena poi impiegata anche nei rastrellamenti antipartigiani) e garantisce che così la Resistenza non sarà un grande problema, perchè - diciamo così - qui da noi chi ce l'ha con voi non andrà più in montagna, ma nel CST! Il falso mito del "collaborazionismo buono" viene alimentato dai democristiani del dopoguerra e dura nel tempo fino al craxismo di Malossini.

La Guerra fredda giunse sull'altipiano agli inizi degli anni Sessanta;
Base Tuono
Targa commemorativa alla ex-base NATO di Passo Coe.
proprio a Malga Zonta fu realizzata una  base missilistica alpina della NATO, dotata di ogive atomiche puntate verso le linee del blocco militare del Patto di Varsavia e dell'Unione Sovietica. Per far posto alla base americana Malga Zonta venne abbattuta. Rimase solo, qualche metro discosto dal recinto della base, l'edificio della porcilaia. Per anni gli americani hanno guardato con condiscendenza alle cerimonie di celebrazioni della strage nazista. E che i nostri democristiani non vedessero di buon occhio il fenomeno resistenziale divenne chiaro sin dal primissimo dopoguerra: particolarmente odioso è l'episodio dei due vescovi di Trento e di Vicenza che nel 1949 si rifiutarono di partecipare alla commemorazione ufficiale, un segno chiaro del ruolo politico che le gerarchie ecclesiastiche svolgevano negli anni del dopoguerra. Ancora oggi queste (ed altre) imbarazzanti ambiguità e reticenze sopravvivono a sè stesse.