sabato 31 marzo 2012

Scemi o simoniaci?

La domanda ci stà tutta, quando si pensa a cosa spinge i nostri piccoli sindaci dei nostri piccoli comuni a cedere alla piccola speculazione edilizia.
La corruzione, certo, ma c'è qualcosa che va oltre la semplice disonestà personale. Lo mette bene in luce un instant-book di Massimo Malvestio, che definirei "veneto critico".
Critico verso un modello di sviluppo che, a boom finito, si è lasciato alle spalle un territorio devastato e senza più identità. Le sue impietose considerazioni sorprendono per la loro semplicità ed apparente ovvietà, e colpiscono nel segno.
Dovrebbero leggerselo anche i nostri amministratori, quelli che incitano a "non accontentarsi" mentre firmano concessioni edilizie e scaldano le betoniere. Se proprio preferiamo il modello veneto potremmo anche dirlo chiaro, o no?

venerdì 30 marzo 2012

Kaminwurzen e Landjäger, quei due sudtirolesi "da zaino"

Sono fatti apposta per far coppia col pane di segale sul tagliere, ma vanno altrettanto bene se messi nello zaino (poco unti, sporcano poco).
mangiare in montagna
Erano entrambi affumicati "a freddo", procedura che aveva inizio nel camino di ca-
sa per poi terminare con la l'essiccazione all'aria aperta. Questo processo conferiva
loro un tipico odore che ricorda quello dello Speck e che li rende anche molto sec-
chi (come accade con la suha klobasa slovena, sua parente orientale).
Il Kaminwurz: è un salametto da taglio che viene fatto con  carne e pancetta di suino o di cervo (più raramente di pecora, capretto, agnello) insaporite da spezie come cumino ed aglio.
Si può mangiare fresco, lievemente affumicato oppure ben stagionato.
Nell’ultimo caso è molto asciutto, quasi secco, di forma irregolare e di colore scuro.
Si accompagna molto bene al diffusissimo pane di segale, che viene prodotto anche oggi in tutto il Sudtirolo.

Il Landjäger: (che vuol dire "cacciatore") è un salametto da taglio ottenuto con carne di manzo e di maiale con rapporto di 3:1, sale ed aromi naturali, zucchero e vino rosso.
La carne viene macinata a grana molto sottile, impastata con l'aggiunta degli ingredienti e poi amalgamata con vino rosso.
Viene insaccata in budello di origine animale e infine pressata. Rimane sotto la pressa per circa quindici giorni a temperatura costante, cosa che  gli fornirà una forma compatta e di aspetto squadrato, quasi da taschino, qualcosa di assolutamente unico.

mercoledì 28 marzo 2012

Il bivacco Fiamme Gialle e il Cimon della Pala

Trovare un bivacco a quota 3.000 nelle Dolomiti non è facile. Qui c'è, ma non dobbiamo pensare che sia proprio in vetta, come quelli che stanno sulla vicina Pala di San Martino o sul Crozzon di Brenta.
Questo è meno alpinistico. Si trova in un ampio anfiteatro sassoso, quasi una larga cengia, sui tremila metri. Ci si può arrivare da due parti: dalla ferrata (bella, lunga, un po' tecnica) Bolver-Lugli, e vale il viaggio. Oppure, più comodamente, con un lungo "trasloco" che dall'arrivo della funivia Rosetta perde dapprima un po' di quota e poi risale lungamente la valle dei Cantoni fino all'alto Passo del Travignolo. E da qui, finalmente, per roccette traverse, al bivacco.
bivacchi a botte tipo Apollonio
La ripresa con il lungo teleobiettivo da Fiera di Primiero svela il mistero del corno. Da questa prospettiva si vede chiaramente che il corno è molto più basso della vetta e che la vetta è in realtà una lunga cresta rocciosa.
E' uno dei più belli delle Dolomiti. Classico, a botte tipo Apollonio, senza fronzoli. Base perfetta (ma senz'acqua) per la salita al Cimon. Che non va presa sottogamba: è alpinistica, richiede almeno fermezza di piede e assenza assoluta di vertigini. La vetta del Cimon è lunga, orizzontale, stretta, sabbiosa, facile ed infida. Ti prende in giro, come fa il Cimon con chi lo osserva dal basso, perchè quel corno roccioso, nossignori, non è la vetta, ma solo ciò che si vede da Passo Rolle (e dintorni).
Il fotogramma a destra mostra l'ingannevole aspetto del Cimon della Pala come appare dai prati attorno a Passo Rolle.
Il grande corno roccioso nasconde la vera cima e conferisce al Cimon un aspetto decisamente più ardito.

domenica 25 marzo 2012

Bivacco dei Loff (dei Lupi)

Questo strano bivacco affacciato sulla pianura di Treviso si può raggiungere con facilità partendo dal Passo San Boldo, storico passaggio che scavalca le prealpi trevigiane e bellunesi mettendo in comunicazione la Val Belluna a nord con la Valmareno a sud.
Ha l'aspetto di una baracca militare della WW1. Si affaccia sulla pianura trevigiana. Il bivacco (privato) ha una sua particolare personalità; è rustico, curato spartanamente ma con attenzione e dotato di tavolo, sedie, caminetto e stufa e anche  qualche stoviglia. Nel sottotetto è stato ricavato un tavolato privo di materassi che può ospitare  8-10 persone.

Vedi le altre foto in Google Foto.


Il valico di San Boldo (m 710), già conosciuto in epoca romana e utilizzato anche nei secoli successivi, venne reso carrozzabile dagli austroungarici durante la WW1 con la costruzione della "Strada dei 100 giorni" che sale dalla pianura.
👉Io invece arrivo da nord, salendo in auto da Trichiana. Dal passo si diparte sulla destra una stretta stradina asfaltata con segnavia CAI 991 (più avanti cementata) che si inerpica tra casette di vacanza, prati e bosco ceduo fino ad un piazzale erboso dove lasciare l'auto (m 900).
Il tracciato in Google Earth.

Il percorso: si scende per pochi metri fino al pascolo delle ex-Casere Favalessa (m 890), ora ristoro nel periodo estivo. Si prende il sentiero che porta a destra, tralasciando quello più ripido sulla sinistra, detto "la scaletta" e da usare semmai per il ritorno. Sempre evidente e ben tracciato s'inerpica dapprima nel bosco per poi sbucare all'aperto nei pressi di un'asta con bandiera visibile anche dal basso. Da qui procede in falsopiano con difficoltà elementari ma spesso molto esposto. La vista spazia sulla pianura. Sempre procedendo con inavvertibili saliscendi si giunge alla selletta soprastante il bivacco (m 1.124) il cui edificio in pietra si trova qualche metro più in basso, incastonato nella parete rocciosa che scende dal ripido Crodon del Gevero (=lepre).
La brevità del percorso e la vicinanza ai centri abitati di pianura raccomandano di frequentarlo nei soli giorni infrasettimanli. L'acqua (piovana) è raccolta in una cisterna metallica.
La mancanza di acqua deve farci pensare a panini e barrette varie, più che a piatti cucinati in bivacco. Il radicchio rosso di Treviso (qui nella sua versione primaverile) è perfetto per costruire un sostanzioso panino di segale imbottito con salame e salsa di rafano.


venerdì 23 marzo 2012

Aspettando l'insalata dell'orto: wűrstel con piselli

Wűrstel bolliti + piselli in scatola + senape in tubetto.
Tutto solo e assolutamente industriale.
Rigorosamento da supermercato (magari discount), roba da far accapponare la pelle a Slow Food.

Suona più o meno così: wűrstel wuberoni industriali + piselli bonduelle precotti molto verdi + senape tubo gigante family!

giovedì 22 marzo 2012

Piccoli tunnel in plastica

Esperimento riuscito: seminare appena prima dell'inverno e coprire con questi piccoli tunnel in plastica, contando sull'effetto serra.
A San Giuseppe, giorno della fiera dell'agricoltura trentina, l'insalatina da taglio è già spuntata e stà crescendo bene.

martedì 20 marzo 2012

Il locale invernale del Rif. Pedrotti alla Rosetta

Non è molto lontano dalla Busa di Manna, il polo alpino del freddo, e perciò va affrontato con un sacco a pelo degno di questo nome.
Il nuovo locale invernale del rifugio dispone di dieci posti letto.
E' il locale invernale del vecchio Rifugio "Giovanni Pedrotti" alla Rosetta (ma oggi la SAT lo chiama Rifugio Rosetta-"G. Pedrotti", e sarebbe ora di mettersi d'accordo, visto che il sito del gestore si chiama solo rifugiorosetta.it).
Comunqueè sempre quello, piazzato più o meno al centro dell'altopiano delle Pale, e quindi al centro del freddo. E con lui c'è il locale invernale.
 Ricordo perfettamente la consistenza della bottiglietta in plastica piena d'acqua alla mattina presto: porfido. Ma rimango dell'idea che una notte sull'altopiano sia una delle cose più belle da fare d'inverno, specie ora  che nel nuovo locale ci sono materassi e coperte.
Oggi va di lusso, perchè dopo la ristrutturazione è diventato un bell'edificio in robusta pietra, ma fino a qualche anno fa ci si doveva accontentare di una precaria baracca in legno.

domenica 18 marzo 2012

Ancora sul software cartografico 3D-RTE

Mi ero preso l'impegno di riparlarne dopo una prova "su strada".
Si può aprire solo uno scenario per volta.
E dunque: ho comperato il plug-in chiamato Track View (sorvolo sul fatto che la Montura di Isera non ha riscontrato la mia richiesta e-mail: l'ho bypassata andando alla Montura di Bassano). Dopo aver installato lo scenario Trentino (gratuito, ma l'avevo dovuto ricordare alla commessa) ho verificato che:
La Val delle Seghe sopra Molveno sulla cartografia tecnica della
PAT: in evidenza il sentiero SAT 319 versione 2010.
● lo scenario si porta dietro un link automatico al portale cartografico nazionale con le foto a risoluzione maggiore di quella di GEarth, nonchè un link alla carta tecnica provinciale 1:10.000. Il comando è semplice sia da identificare che da usare. Gli stessi dati si troverebbero anche nel web (nel sito della PAT nonchè in quello del Portale nazionale) ma lì sono di "maneggio" ben più ostico. E questo è senz'altro un plus.
● lo scenario "Trentino" ospita un database dei toponimi veramente ampio ed utile, anche se un po' invadente sul piano grafico. Il database è interrogabile per localizzare un toponimo, è non è poco, quindi un altro plus.
L'interfaccia del plug-in Track Draw, deputato a gestire
waypoints e tracce create dall'utente.
Tutto il resto, purtroppo, non regge il confronto con quanto si può già fare in GEarth. Il set di comandi dell'editor Track View (pochi e farraginosi) e l'interfaccia utente (decisamente poco intuitiva) sono lontani dalla agilità di GEarth, che vince a mani basse. In più va detto che quando viene importato più di un un file (KMZ o altro) la gestione di waypoints e tracce diventa veramente troppo complicata.

In sintesi: un'ottima idea che però abbiso- gna di un radicale ripensamento dell'inter- faccia-utente e della comunicazione grafica.

sabato 17 marzo 2012

Vedute austroungariche dal Pizzo di Levico

Questo forte-osservatorio è un nido d'aquila costruito dagli imperiali ai tempi della WW1: scavarono direttamente nella roccia di vetta.
Era collegato con la ferrovia della Valsugana da un sistema di teleferiche e dalla ardita strada d'arroccamento "Kaiserjäger Weg", oggi conosciuta col nome di "strada del menador" e percorribile in auto da Levico Terme fino al Passo di Vezzena. Il vecchio percorso aperto dagli austroungarici è stato modificato negli anni Ottanta provocando trent'anni di frane, smottamenti e cementificazioni successive.
Notizie sul forte e descrizione dell'itinerario:
Per la sua posizione strategica era chiamato l'occhio degli altipiani. Era infatti un forte-osservatorio d'artiglieria. Controllava il versante sud verso Asiago ed il versante nord della Valsugana fino alla tenaglia del Forte di Tenna e di Col delle Benne che chiudevano l'accesso a Trento. Situato sulla sommità del Pizzo di Levico o Cima Vezzena, sul bordo di un precipizio, fu costruito dal 1907 al 1915 armato con artiglieria leggera e mitragliatrici per la propria difesa. Era collegato telefonicamente con Monterovere, sede del Comando Militare. escursioni_estive
Fin dai primi giorni di guerra fu soggetto a furiosi ed impressionanti bombardamenti.
Acquistato dal Comune di Levico nel 1933, attualmente riveste notevole interesse soprattutto per la sua posizione ardita e per il panorama che si gode dalla sua sommità. Sul tetto negli anni '50 la SAT di Levico ha posto una croce metallica, ben visibile anche dalla vallata.
E' un'opera in calcestruzzo e cemento armato originariamente disposta su tre piani, dotata di cunicoli sotterranei e celle stagne per le munizioni. E' circondato da un fossato ricavato nella roccia che disegna un ferro di cavallo sul terreno profondo circa 5 m. e largo fino a 8. Aveva una pianta trapezioidale inserita in una gola artificiale di roccia protetta da fitte fasce di reticolati.
 (dal sito Laviadelbrenta.it)

Si parte dal Passo di Vezzena (m 1.404), raggiungibile in auto da Lavarone lungo la "strada della Fricca" oppure da Caldonazzo e Levico lungo la "strada del Menador". In prossimità dell'albergo del passo parte la strada, asfaltata ma chiusa al traffico, che in circa mezz'ora raggiunge comodamente il Forte di Busa Verle. Il percorso prosegue, sempre su strada asfaltata (possibilità di tagliare per i prati) fino a raggiungere, sulla sinistra, il bivio in cui il sentiero n° 405 sale ripido nel bosco per raggiungere la sommità del Pizzo. Noi abbiamo seguito invece la strada asfaltata, che più avanti curva a sinistra (tralasciare la strada forestale per Malga Marcai di sotto che si stacca sulla destra) e poco dopo curva a destra. In prossimità di tale curva, sulla sinistra parte la strada militare che raggiunge il Pizzo di Levico, pertanto si abbandona la strada asfaltata per seguire tale strada che progressivamente guadagna quota fino a raggiungere i ruderi del Forte di Cima Vezzena (1h 30' dal Forte di Busa Verle).
Dai ruderi del Forte in pochi minuti si può raggiungere la sommità del Pizzo di Levico (Cima Vezzena, m 1.908) su cui è posta una croce metallica e da cui si può godere un'eccellente panorama sulle montagne circostanti con una superba vista sui sottostanti laghi di Caldonazzo e di Levico. Prestare tuttavia la massima attenzione perché sulla cima il Pizzo è strapiombante sulla Valsugana ed una semplice disattenzione si può rivelare fatale. 
Il ritorno può avvenire lungo lo stesso itinerario, oppure (come abbiamo fatto noi) scendendo per i prati lungo un percorso non segnato e raggiungendo la Malga Marcai di sopra, da cui si segue in discesa la strada asfaltata che riporta al Forte Busa Verle e quindi al Passo di Vezzena. (notizie e foto di Gigi & Paolo)

venerdì 16 marzo 2012

Sentiero attrezzato "G. Bertotti" e "Stoi del Chegul" (Marzola)

Il "sentiero attrezzato Giordano Bertotti" si inerpica sulla cima del Chegùl, piccola anticima della Marzola, una modesta vetta che chiude la conca di Trento ad oriente.
La salita lungo il sentiero attrezzato "Giordano Bertotti" al Chegul non manca di sorprendere. Si tratta di una semplice e divertente ferrata, adatta a tutti, che non presenta particolari difficoltà. Il percorso è in realtà piuttosto semplice, anche se i meno esperti ed i genitori con bambini faranno bene a imbragarsi. Nulla di trascendentale, sia chiaro; resta il fatto che con la dovuta sicurezza, si gode del percorso in modo più spensierato.
Molto caratteristica la scala presente lungo il tracciato ed il ponticello su una fenditura della roccia.
La città di Trento rimane sempre ben visibile durante tutta la salita. Nei pressi della cima e lungo tutta la discesa si trovano i resti delle opere realizzate durante la Prima Guerra Mondiale. Particolare la località Stoi del Chegul.   (testi e foto di Paolo)
Come arrivare e descrizione del percorso:
Per chi arriva da Trento: abbandonare la strada statale della Valsugana seguendo le indicazioni per Cognola, inizialmente e poi Povo. Si passa presso il centro del paese e si prosegue in salita in direzione del passo Cimirlo (m 733). Al passo girare a destra (indicazioni) e percorrere la strada per Maranza. Circa 1 km dopo il passo si incontra, dove la strada spiana, un parcheggio a sinistra (loc. Colmo, m 812). Si può parcheggiare qui oppure percorrere altri 150 metri e parcheggiare negli spazi a destra della strada nei pressi del bivio col sentiero Sat 427 (cartello).
dal bivio col sentiero Sat nr. 427 si continua diritto in direzione del rifugio Maranza per un centinaio di metri fino al cartello che indica l’inizio del sentiero nr. 418.
Girare a sinistra ed iniziare la ripida salita nel bosco. Dopo circa 50 mt di salita si incontra un altro incrocio, proseguire diritto (segni Sat).
La salita prosegue tra gradoni e massi sempre ripida fin sotto le pareti che discendono dalla croce del Chegul.

Località e quote:
Strada Maranza Loc. Colmo (m 812), bivio sentiero nr. 418 (m 812), Croce del Chegul (m 1.263), Spiaz de le Patate (m 1.310), Stoi del Chegul (m 1.330), bivio sentiero 411 e 427, Strada Maranza Loc. Colmo (m 812).
Arrivati sotto una parete rocciosa, appoggiata, si risale alla sua destra il pendio con alcuni tornanti ravvicinati. Si piega a sinistra e si attraversa, con una cengia, l’intera parete in direzione del pinnacolo posta sulla cresta.
Raggiunta la cresta girare a destra e salire lungo la stessa fin dove il percorso si allontana, spostandosi a sinistra, dalla cresta ed entrando nuovamente in area boscata permette di arrivare al libro delle firme.
Superato il libro si entra in un canalone boscoso e lo si risale fino in cima. Si gira a destra e con altro tratto boscoso si arriva ad un passaggio obbligato tra due rocce.
Breve tratto di sentiero su cengia panoramica e nuovamente nel bosco si sale fino ad arrivare alla base di una parete rocciosa.
Seguire il cavo metallico che con 30m circa di salita attrezzata con staffe porta alla base della scala metallica alta circa 12-15m.
Superata la scala si prosegue lungo un tratto con fune metallica e successivamente nel bosco fino alla Croce del Chegul (1263m); spettacolare balcone sulla città.
Dalla croce si prosegue in direzione Est e dopo pochio metri si arriva al pittoresco ponte sulla spaccatura della roccia con targa alla memoria di uno studente che perse la vita in questo punto.
Oltrepassato il ponte il sentiero scende in un avvallamento per poi risalire nel bosco di faggio fino ad un cartello Sat posto su una stradina di esbosco. Girare a sinistra sempre in salita.
Si percorre la stradina ed in breve si arriva al bivio in loc. Spiaz de le Patate (1310m). Proseguire in salita verso destra.
La stradina porta alla località Stoi del Chegul, caratteristico gruppo di case ricavate dalle vecchie postazioni di guerra scavate nella roccia e posta sotto la cima del Chegul.
Sulla destra della parete rocciosa si trova una scala in legno, salire e proseguire diritto una volta in cima fino al punto panoramico su Pergine e la Valle dei Mocheni (panchina e postazione di guerra).
Ritornati in cima alla scala, scendere e riprendere la strada percorsa in salita ritornando al bivio in loc. Spiaz de le Patate (1310m). Continuare diritto in discesa per Prà de Stelar (nr 411 SAT)
 Il sentiero di discesa scende con numerosi tornanti fino ad arrivare ad una radura (cartello) da dove entra da destra una stradina sterrata che scende diritta. Andare diritto in discesa.
Dopo circa 100m si trova un altro bivio, nei pressi di un prato ed una postazione di guerra (bunker). Girare a sinistra ed abbandonare la strada.
Il sentiero scende ripido costeggiando una serie di manufatti della I Guerra Mondiale e dopo una curva a destra si trova il cartello, nei pressi di una piccola vasca di acquedotto e di una bella fontanella, che indica l’inizio del sentiero nr. 427.
Girare a sinistra. Dopo un primo tratto pianeggiante il sentiero inizia a salire e poi nuovamente in discesa per un tratto molto ripido e scivoloso se bagnato.
Al termine del tratto ripido si incontra un sentiero che proviene dal p.so Cimirlo e diretto al rif. Maranza. Proseguire diritto in discesa e dopo pochi minuti si arriva alla strada per Maranza, nei pressi della macchina.

mercoledì 14 marzo 2012

La passeggiata di Sant'Osvaldo a Bolzano

Noi trentini non sappiamo cosa siano le Promenade austroungariche, le tranquille passeggiate poste a corona delle città: forse la Controriforma e otto secoli di governo vescovile hanno fatto velo al nostro piacere di vivere.
Resta il fatto che questi comodi e curati percorsi pubblici voluti (e spesso pagati) dalla borghesia ottocentesca della Mitteleuropa li troviamo solo a Merano e a Bolzano.
Non che la passeggiata del Guncina o quella di Sant'Osvaldo possano reggere il confronto con la Tappeiner Promenade meranese, così favorita dalla location, ma é sicuro che anche qui vale senz'altro la pena... insomma, non c'è dubbio!
In questo inverno noioso e secco sono tornato sulla Sant'Osvaldo anche se la stagione giusta sarebbe la piena primavera, a piante già risvegliate, o l'autunno, quando sul colle di Sankta Magdalena le vigne virano al giallo.

sabato 10 marzo 2012

Michael Gaismayr eroe contadino cancellato

Michael Gaismayr,  ignorato di qua e di là di Salorno. Un caso di rimozione collettiva gestita da "clero, nobili e terzo stato" (direbbe Guccini).
Josef Macek, "Michael Gaismayr", Edizioni UCT, Trento, 1991. Oggi
si può rintracciare solo nelle biblioteche pubbliche oppure, forse, pres-
Non chiedete a Durnwaldner e Dellai (sono i due governatori locali, a Bolzano e Trento) chi era Michael Gaismayr. Sono troppo vicini alle idiosincrasie delle gerarchie ecclesiastiche e troppo lontani da una visione laica dello Stato per parlarne.
👉E invece vale proprio la pena di rintracciare in biblioteca questo poco conosciuto studio storico sulla figura di Gaismayr edito nel lontano 1991 da Sergio Bernardi, l'animatore della rivista "Uomo, città, territorio" di Trento, e fortemente voluto da un sindacalista molto conosciuto, Fabio Caumo.
Lo riprendo in mano mentre a Trento si tiene la manifestazione "a difesa dell'autonomia minacciata".
Non ci vado perchè so che si tratterà di una manifestazione molto mal frequentata, dove le sacrosante ragioni di chi sottolinea con orgoglio le radici solidaristiche, mutualistiche e cooperative di un popolo di montagna legato alla sua terra e alle sue tradizioni saranno cavalcate da personaggi in bilico fra folklore reazionario e chiagni e fotti localista. Gente che si rifiuta di spiegare perchè Durnwaldner (Sudtirolo) debba guadagnare più di Obama  (Stati Uniti d'America), ed è solo un esempio.

giovedì 8 marzo 2012

Baite Campedel a Fai della Paganella

Oscurato dalla notorietà turistica della dirimpettaia e più alta Paganella, il Monte Fausior, con i suoi due rilievi del Dosso Alto (m 1.554) e del Dosso della Tia (m 1.357) viene frequentato solo dagli amanti della tranquillità. escursioni_invernali
GPS baite campedel
Il Monte Fausior, propaggine settentrionale della dorsale Gazza-Paganella, si
estende fra il Passo Santél e la Gola della Rocchetta e sovrasta da ovest il
terrazzamento di Fai della Paganella e la sottostante Piana Rotaliana.
D'inverno, poi, non c'è nessuno, ed è un ottimo motivo per dargli un'occhiata.
Si parte dalla località Campél (m 1.033) presso Fai della Paganella in direzione Andalo. Ci si lascia alle spalle la bruttura dei grandi parcheggi degli sciatori, si sale lungo la strada forestale sulla destra, che poi si abbandona per prendere il sentiero che sale tra i pini (tabella). Sempre nel bosco si prosegue senza difficoltà fino ai 1.260 metri della località Mozzane Alte (tabella).
Prendendo a destra si giunge in poco più di mezz'ora allo spiazzo erboso che ospita due costruzioni poste a 1.360 metri, una della SAT di Mezzolombardo e l'altra privata, entrambe chiuse. Siamo arrivati. Per chi vuole c'è la possibilità di accendere il fuoco nel caminetto addossato alla costruzione privata (stò dando un'indicazione scorretta?).

Il ritorno è stato fatto ad anello, per poter transitare dal Belvedere di Fai, unico punto panoramico aperto sulla sottostante Val d'Adige. La discesa che torna al Campel si tramuta ben presto da stradella boschiva in sentiero molto ripido, stretto ed esposto. Pericoloso con neve perchè nasconde insidiose lastre ghiacciate in tratti molto esposti e scivolosi. Per il resto nessun problema. Si rientra al Pradel dal limitare nord del paese (località Cortalta, m 1.050, tabella) seguendo un piacevole sentiero orizzontale che bypassa la sottostante strada asfaltata.

martedì 6 marzo 2012

Fortunato Depero tra genziane e mucche roteanti

Gran brutto affare quando gli immaginifici si danno alla politica.
Fortunato Depero: "Flora alpestre e rupestre", palazzo
della Provincia Autonoma di Trento, 1955 (particolare).
D'annunzio e Marinetti innanzi a tutti ma anche il roveretano Fortunato Depero, che fu tra i dieci estensori del manifesto futurista del 1909.
👉Una fra le più importanti piattaforme ideologiche della destra guerrafondaia e fanatica che soffiò sull'incendio della grande guerra mondiale (prima) e del fascismo (poi) porta infatti la sua firma.
Oggi ricordare queste cose crea imbarazzo e si preferisce sorvolare, lasciarle sullo sfondo. Ma le responsabilità di Depero, in quanto uomo pubblico, rimangono grandi. Stiamo quindi sul leggero...
La genziana di Koch.
👉Depero frequentava, in quanto trentino, i monti, e dunque la domanda sorge spontanea. Chi mai si legherebbe in cordata con uno che parlava così: Flora trasparente e fauna metallica. Paesaggi liquidi e illuminazioni costruite. Insetti lunari o partoriti dai torni e dalle dinamo, luci, automi, oggetti ed ordigni d'una stupenda inutilità drammatica formale. Fuoco dagli occhi, vampe dai pugni e dai cuori. Riflessi accuminati dai cristalli e dalle acque. Montagne capovolte e mucche e case roteanti nei gorghi e nelle spirali del vento." Da parte mia apprezzo di più il Depero illustratore, cartellonista, artista pubblicitario.

lunedì 5 marzo 2012

Ma che gli dice il cervello?

Aveva cominciato dicendo: "Porteremo il parco delle Viote fino in città" ma ha
finito con queste belle strisce urbanoidi alle Viote (e il resto è molto peggio).
Le amministrazioni comunali di Cimone, Lasino, Calavino, Cavedine, Garniga Terme e Trento. Sono loro che hanno dato vita ad un patto territoriale che funziona bene quando si tratta di portare l'asfalto in quota ma non sa mettere qualche semplice cartello indicatore.
«Per la direzione dell'ente pensiamo a una struttura leggera che non manchi di serietà, passione e professionalità».
(A. Pacher, 14/09/08)

sabato 3 marzo 2012

Si chiamava Rifugio Calisio

Era stato costruito nel 1971 dalla Cooperativa Monte Calisio. La licenza edilizia rilasciata dal Comune di Trento fissava l'obbligo di adibire la costruzione esclusivamente a «rifugio alpino».
E chiuso da quasi trent'anni, ed é situato a circa due chilometri da Montevaccino, una finestra incredibile sulla città e la valle di Trento (sì, sul Monte Calisio, ovvio). A babbo morto i ciarlieri parenti che spiegano "come si sarebbe dovuto fare" sono ormai una folla...

Passando mi ero chiesto come mai fosse chiuso e abbandonato come
un rottame del Bronx. Ora lo so: é proprio "una piccola storia ignobile".
Nello stesso anno il Comune stipulò con la Cooperativa un contratto di comodato della durata di venti anni. Nel 1991 il Comune rinnovò il contratto per altri 30 anni.
Ma due anni più tardi la Provincia emanò nuove norme per i «Rifugi alpini» e sulle particolarità necessarie per essere classificati e riconosciuti tali (la quota, essere raggiungibile solo a piedi, ossia i turisti-clienti non possono raggiungerlo con alcun tipo di veicolo, essere attrezzati per ospitare le persone anche di notte, avere nei pressi spazi aperti sufficienti a garantire l'intervento dei mezzi di soccorso).
👉Inizia un tira e molla che è ancora in corso. Da ultimo, il 29 giugno scorso 2011, la Circoscrizione Argentario ha dato parere contrario alla chiusura agli automezzi della strada bianca che arriva al rifugio da Montevaccino. E la Cooperativa non può declassare l'edificio a bar, buffet, locanda, cantina, pub o qualcos'altro perchè nel contratto del '71 c'era scritto "rifugio alpino": é la tempesta burocratica perfetta, perfetto intreccio di norme cavillose e resistenze occulte. Un mix a metà fra l'Azzeccagarbugli manzoniano e la teoria degli stakeholders del liberismo in salsa liberal.
👉Il Comune non vuole abbatterlo (da quanto si capisce la proprietà è sua, la coop. è lì come ospite). Una baruffa ventennale che vede direttamente interessati alti dirigenti della PAT, padri di uomini politici, parlamentari locali, coop-sociali, circoscrizioni, eccetera.