giovedì 6 giugno 2013

Le "fortezze dolomitiche" del rev. Sanger-Davies

Lo schizzo proviene da un piccolo volume, illustrato dall'autore, pubblicato in Inghilterra nel 1894.
La copia anastatica del volume originale si
 può consultare nel  sito www.archive.org.
L'autore è il reverendo J. Sanger-Davies, del Queen’s College di Oxford e membro dell'Alpine Club britannico.
Di piacevole lettura, riferisce delle sue ascensioni estive "of the Croda di Lago, the Little and Great Zinnen, the Cinque Torri, the Fünffingerspitze, and the Langkofel".
In qualche maniera ho tradotto dall'inglese la parte che ri-guarda il passaggio-chiave sulla Cima Piccola di Lavaredo (la Kleine Zinne, in tedesco).
«Sulla "Little Zinne traverse", la sporgenza mi era sembrata lunga 100 metri all'andata e 50 metri al ritorno. Verso l'alto la parete era leggermente sporgente e, in effetti, protegge-va lo stretto passaggio orizzontale. Il precipizio oltre il bordo era assolutamente verticale, di circa 2.000 metri.
Della larghezza sono più che certo, in media andava dai nove ai quindici pollici. Questo, naturalmente, sarebbe sei pollici in più di quanto servirebbe ad uno scalatore, se ci fosse stato qualche appiglio.
Ma non c'era assolutamente nessun sicuro appiglio da un capo all'altro. Gli agenti atmosferici avevano consumato le sporgenze che erano generalmente piatte e anche concave, con le superfici lisce e arrotondate.
In due punti la roccia strapiombante scendeva così in basso
che ci si doveva chinare per evitarla.
L'evidenza del percorso, così chiaramente segnato, lo rendeva all'apparenza così semplice che solo dopo un'attento esame la difficoltà di questa lunga cengia poteva essere pienamente compresa; molti potrebbero passare senza pensarsi in pericolo, fino al momento del triste risveglio.
Zsigmondy lo ha descritto come una "stretto davanzale di roccia" (Felsgesimse), e ha riferito che "la parete interna si alzava orribilmente liscia e perpendicolare, mentre qua e là nella spaccatura della rupe c'erano grumi di ghiaccio." Ma mi sembra che egli non abbia descritto la vera differenza fra pericolo e difficoltà, come invece l'alpinismo richiederebbe.
La caratteristica principale del luogo non era tanto nelle difficoltà del passaggio, nè nel rischio dovuto all'esposizione prolungata e continua e nemmeno nel pericolo di caduta. Tutti pericoli che non potevano essere contrastati con l'uso della corda.
La cengia non poteva essere superata strisciandoci sopra, era troppo lunga, e in certi punti troppo stretta per lasciar passare le spalle.
La sua lunghezza precludeva la possibilità di utilizzare il ripiano come un appoggio cui sostenersi con i gomiti e le braccia mentre il corpo rimaneva appeso al bordo.
Peggio di tutto, la levigatezza era ininterrotta lungo tutto il percorso cosicchè nessuno spazio ["firma loca", letteralmente "impresa folle", N.d.T.] poteva essere scelto come punto di sosta per le manovre di corda.
Così ci siamo voltati col torace verso la roccia, e spingendo in fuori le braccia verso l'esterno, sentivamo sì la strada da seguire, ma senza essere in grado di afferrare qualcosa. Questo è stato molto di più di quanto mi ero aspettato. In tutta la mia esperienza sulle Dolomiti questo è l'unico passaggio che non sarei disposto a provare di nuovo. I gusti sono tanti, ma mi sembrava che in un posto così nessun uomo sarebbe in grado di aiutare nemmeno suo fratello. Il migliore tra i rocciatori potrebbe magari tentare mantenendo l'equilibrio, se non avesse nulla da perdere; un piede che scivola, o un giramento di testa, o un occhio incerto, potrebbero essere definitivi per lui e per i suoi compagni , se legati a lui con la corda.
C'è una sola cosa che può portare questo traverso nell'ambito dell'alpinismo vero (cioè sicuro) e cioè una lunga corda o un cavo-corrimano fissato con bulloni di acciaio nella solida roccia.»
Nel 1894, con scarsa preveggenza, il reverendo concludeva che "[...] this, however, is a kind of device from wich, unlike the Matterhorn, Meije, Dru, etc., the Dolomites are happily free." e cioè che "[...] questo, tuttavia, è un tipo di attrezzatura di cui, a differenza del Cervino, della Meije, del Dru, etc., le Dolomiti sono felicemente esenti".

Tratto da: J. Sanger-Davies, "Dolomite Strongholds: the last untrodden peaks - an account of
ascents of the Croda di Lago, the Little and Great Zinnen, the Cinque Torri, the Fünffinger-
 spitze, and the Langkofel ", George Bell and Sons ed., Londra, 1896, pag. 52 e seguenti.

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