giovedì 27 novembre 2014

Ilmenspitze e indigeni fracassoni

Non sono le cime più importanti che rimangono nella memoria. A lasciare il segno sono piuttosto piccoli episodi, momenti minori che si fanno ricordare anche dopo anni.

Il Bivacco Val si trova nelle Maddalene, sul versante noneso della Cima dei Olmi,
che sarebbe poi la tedesca Ilmenspitze. La sera prima della salita, mentre fumiamo
tabacco Amphora davanti al fuoco.
Ci ripenso dopo aver ricevuto una mail che parla del Bivacco Val, nelle Maddalene. Dice che ora, dopo la ristrutturazione del 2008, non c'è più la stufa, quella che faceva compagnia nelle serate invernali...
Della stufa non ho memoria, ricordo invece il camino dove abbiamo passato una notte invernale fumando la pipa.
Ciaspando nell'archivio ritrovo una vecchia foto scattata proprio davanti a quel camino. Ricordo distintamente il fuoco,  la luce, gli odori e tutto il resto, compresa
la brutta sorpresa del pomeriggio successivo.
Su questi episodi che restano impigliati nella memoria Gigi ha costruito una piccola antologia di racconti, "Racconti minimi", ormai introvabile, dalla quale ho ripescato quello che riguarda proprio il Bivacco Val. Eccolo:

"Con l’amico Fausto arriviamo a Provés nell’alta Val di Non, un lindo ed ordinato paesino tirolese
in provincia di Bolzano. Per la nostra escursione abbiamo scelto il gruppo delle Maddalene. Sono queste delle montagne meno conosciute ed ancora poco frequentate, dovendo sottostare alla concorrenza di cime famose come quelle delle vicine Dolomiti di Brenta. Sono montagne plasmate dall’intervento umano che le ha punteggiate di numerosissime malghe, trasformando terreni impervi in pascoli. Molte di queste malghe sono ormai abbandonate, mentre altre sono ancora in attività; è il caso della Malga Val, che dispone anche di un locale adibito a bivacco.
Ci avviamo, lasciando alle spalle il paese, costeggiando prati e fienili, belli e curati, che formano una scenografia perfetta per film tipo Haidi o l’Imperatrice Sissi. Procediamo con calma lungo strade sterrate per fermarci quando, raggiunto un punto panoramico, vediamo tutta la Val di Non con il lago di S. Giustina. Giunti a un bivio, dopo una breve sosta, riprendiamo la marcia in silenzio. La pendenza del percorso ora è molto ripida e il fiatone si fa subito sentire; colpa sicuramente del poco allenamento, ma anche, purtroppo, per via del fatto che non siamo più ventenni.
Il gruppo delle Maddalene, visto da lontano, non sembra per nulla impegnativo. In realtà invece le piccole valli che vi s’insinuano, come le cime che lo formano, non scherzano in fatto di pendenze e chiedono un buon tributo di sudore al viandante. In compenso arriviamo ad un tornante da dove abbiamo un bel colpo d’occhio sul Lagorài, le Pale di San Martino, il Latemàr, il Passo di Costalunga, per finire con il Catinaccio e la Roda di Vaèl. Fausto continua imperterrito io, con la scusa di scattare qualche foto, decido di concedere un momento di tregua al mio cuore che, poverino, fa sì il suo dovere, ma non gli riesce gradito lo straordinario.
Una volta nel bivacco passiamo la serata dinanzi al fuoco; osservando l’orgia danzante delle fiamme. Lo spettacolo del fuoco, sempre diverso nelle forme, guizzante e mobile è affascinante, sembra quasi possedere vita propria. Rimango a guardare lo spettacolo coinvolto da emozioni diverse, dentro di me si agitano antichissimi ricordi atavici; dev’essere questa la ragione per cui il fuoco esercita un potere ipnotico, anche sull’uomo moderno.
Fausto interrompe i miei pensieri chiedendomi i fiammiferi per riaccendere la sua pipa. Insieme discutiamo del nostro programma: domani si sale l’Ilmenspitze mentre il giorno seguente rientriamo a Provés, percorrendo un tratto del lungo sentiero Bonacossa. Ormai il fuoco è quasi spento, le fiamme, terminato la loro danza, hanno lasciato il posto ad un leggero bagliore; anche le nostre pipe sono fredde e la notte ormai calata invita al sonno.
Il primo che si sveglia, come il solito, sono io. Resto ancora un poco a poltrire poi decido di scendere a preparare un bel caffè forte. Il profumo che, poco dopo, riempie il nostro bel bivacco, convince anche Fausto a lasciare le coperte. Usciti dalla malga ci si avvia, seguendo prima dei segnavia e poi tracce di sentiero, in direzione del Passo del Termine (Tèrmen de Val); il valico a destra della cresta Ovest dell’Ilmenspitze.
Al Passo c’è ancora lo storico cippo (Tèrmen), risalente ai tempi Napoleonici. Proprio qui, correva la linea di confine tra il Regno d’Italia e quello della Baviera. Sotto di noi c’è la Val d’Ultimo (Ultental), o meglio, la Val Nera una delle tante vallette secondarie che costituiscono il fianco NO della valle madre. Il vecchio cippo reca inciso le lettere I e B, rispettivamente poste sul lato verso la Val di Non e la Val d’Ultimo, ancora perfettamente leggibili. Oggi qui corre il confine amministrativo fra Trento e Bolzano, ed ancora quello culturale e linguistico tra area italiana e tedesca. Non è la prima volta che salgo quassù e tutte le volte, vedendo questo cippo, penso a quanto futili ed aleatori sono i confini degli uomini; linee immaginarie e pietre conficcate nel terreno simbolo di lotte, pene e sofferenze.
Lasciato il Passo ci dirigiamo verso la nostra meta sperando che il tempo, alquanto variabile, non decida di giocarci qualche brutto scherzo. Giunti in vetta scattiamo le solite fotografie, scambiamo alcune chiacchiere con un paio d’altri escursionisti, saliti all’Ilmenspitze da altri versanti. Da quassù, se la giornata è bella, si ha la soddisfazione di un giro d’orizzonte magnifico.
Tornati alla malga la troviamo circondata da alcuni fuoristrada, mentre sui tavoli prospicienti l’ingresso ci sono numerose persone. Salutati gli astanti entriamo nel bivacco, ci liberiamo degli zaini, asciughiamo il sudore, poi mangiamo un boccone con calma. Finito il pasto siamo assaliti dalla sonnolenza dovuta alla digestione ed alla fatica da poco conclusa, decidiamo così di concederci un pisolino ristoratore. Abbiamo scelto di passare un paio di giorni tra questi monti anche per poterci rilassare, godendo di calma e tranquillità, d’aria buona e di silenzi. Tutte cose che la città nega e solo quassù in montagna si possono avere.

Errore!

Giunto a bordo dell’ennesimo fuoristrada, un signore dotato di voce tonante anche se rauca, ha iniziato un’arringa nell’idioma, praticamente incomprensibile, del posto. I suoi compari annuiscono e cercano, inutilmente, di intervenire per esprimere la loro opinione. L’unico risultato che riescono ad ottenere è di far alzare il tono di voce, già abbastanza alto, del nostro indigeno (nel senso di originario del posto). Evidentemente si tratta di una di quelle persone che hanno bisogno, non solo, di sentirsi sempre al centro dell’attenzione, un po’ come i bambini piccoli, ma soprattutto di udire il suono della loro voce, indipendentemente dal contenuto di quanto dicono.
Fausto ed io ci sforziamo di non far caso al vecchio barbogio e, visto che dormire è impossibile, cerchiamo un argomento qualsiasi di conversazione, giusto per passare il tempo, confidando segretamente in un colpo di fortuna. Che so: una laringite fulminante, un violentissimo accesso di tosse, uno splendido colpo apoplettico, una ben diretta saetta di Giove pluvio, una salutare martellata del nordico dio Thor. Niente! La salute del nostro indigeno urlante è perfetta, mentre gli dei sono, per loro fortuna, troppo lontani per udirlo.
Contro la nostra volontà dobbiamo sorbirci una lunga sequela di improperi rivolti agli amministratori pubblici di mezza Val di Non, elaborate chiacchiere da bar sugli interessi personali degli amici degli amici, immancabili concioni inizianti con la fatidica frase: «Se fossi io a comandare …». Passata la prima ora drizziamo le orecchie sperando di ascoltare qualche nota di stanchezza, ma il nostro non cede, anzi, adesso anche gli altri suoi compari si danno da fare per competere con lui. Evidentemente l’oggetto della discussione ha scaldato gli animi.
Fausto mi chiede: «Cosa facciamo?». Con aria pensosa, rispondo: «Potrei provare ad usare quella grossa, pesante, padella di buon vecchio ferro in dotazione al bivacco. Sventolandola a dovere almeno tre dovrei riuscire a stenderli». Fausto mi dice di non fare il guascone e suggerire qualcosa di serio. Gli rispondo che non abbiamo molte alternative oltre alla padella: o aspettiamo stoicamente o andiamo via, come già hanno fatto altri escursionisti. Cerchiamo di pazientare studiando qualche soluzione, io provo la tecnica dello struzzo cacciando la testa sotto un cuscino ma senza fortuna. Passata un’altra ora la nostra sopportazione è al limite, scendiamo da basso, prepariamo gli zaini, quindi ci allontaniamo di gran carriera verso valle, lanciando bestemmie e maledizioni alla tribù degli urlanti. Questi ultimi, vedendo i nostri cipigli scuri e sentendo le imprecazioni azzittiscono. Chissà che, finalmente, non si siano resi conto del fastidio provocato ad altri. Naturalmente no! Dopo pochi secondi ricominciano la loro stridente contesa; ospitalità ed ignoranza sono cose inconciliabili.


Torniamo a Provés dopo esserci concessi una lunga pausa in mezzo al bosco. Qui solo il cinguettio di un solitario volatile ha cercato di alleviare il nervosismo che ancora ci pervade, senza ferire le nostre povere e provate orecchie."
(Luigi Faggiani, "Racconti minimi",  Euredit, Trento, 2003)

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