venerdì 30 maggio 2014

La batteria dei GPS Android: piccoli progressi

Sì, qualche passo in avanti per chi usa un telefonino Android come tracciatore GPS c'è stato.
Ora, dopo gli aggiornamenti sia del sistema operativo che del software
Two Nav, la durata in registrazione nel bosco e con cielo coperto è
aumentata a 4:15 ore col telefonino acceso, che salgono a ore 5:00
col telefonino in modalità aereo.
I miglioramenti, non decisivi ma importanti, si sono susseguiti anche se poco documentati sia dai produttori che dalla rete.
Nell'autunno del 2012, quindi un'anno e mezzo fa, avevo fatto delle prove di durata della batteria impiegando il mio Samsung S2 per registrare tracce GPS con il software cartografico TwoNav.
I risultati erano stati poco incoraggianti: con la batteria di serie la durata non superava le due ore e mezza, magari tre mettendo il telefono in modalità aereo.

mercoledì 28 maggio 2014

Non si uccidono così anche i cavalli?

Ancora con 'sto Giro d'Italia! A scadenze fisse mi passa davanti casa, e ogni volta è una conferma.
Pedalata rotonda senza fatica apparente, eppure viaggiano a una velocità
folle, alla rotonda piegano come Valentino Rossi e imboccano come nulla
fosse il rettilineo in salita per Roncegno.
Lo fanno senza perdere velocità e senza produrre una sola goccia di su-
dore. Ma come diavolo fanno?
Non sembrano esseri umani ma macchine, perfetti automi, ma siccome i
superuomini non esistono, la risposta sorge spontanea ed è molto molto
semplice, anche se imbarazzante: non si tratta di sport ma di spettacolo.
E sul palcoscenico, come si sa, "l'aiutino è permesso".
In fondo è piuttosto semplice: è spettacolo, mica sport, e quindi faccia-
mocene una ragione.
Abitare lungo la strada che porta al Passo del Manghen, con una siepe che tiene lontani tifosi e giornalisti e consente di "gettare l'occhio" da vicinissimo e senza testimoni nel gruppo compatto dei girini è istruttivo.
Colori diversi ma facce uguali, giovani e concentrate, di sicuro non stanche o affaticate anche se viaggiano a 40 all'ora e hanno già alle spalle 100 km con altri 100 che sono lì davanti ad aspettarli, scale di Primolano comprese.
Come mi diceva un alunno che, in predicato per entrare nella nazionale di pista, andava tutte le settimane al velodromo di Bassano del Grappa: se non ti dopi non ti prendono, perchè se non ti fai non puoi fare i tempi. Alla faccia di De Coubertin, questi sono fatti come cavalli. E il loro eroe (lo strafatto "pirata" Marco Pantani) è morto da solo in una stanza di motel a Rimini per overdose.

lunedì 26 maggio 2014

Rastenbachklamm (Bassa Atesina)

Le scarne acque del rio Rastenbach si fanno strada nel porfido e scendono dall'antica chiesa di San Pietro fino al Lago di Caldaro.
Il belvedere posto lungo il sentiero attrezzato che risale la gola del rio Rastenbach, sopra il Lago di Caldaro.
Il belvedere con vista sul lago, dove sbuca il sentiero della Rastenbach Klamm.
Vedi le altre foto in Google Foto.
La gola del rio Rastenbach è nascosta dalle pieghe del terreno e dai boschi che coprono il terreno sopra il lago di Caldaro; in questo giro circolare la si risale dal lago (anzi, da un maso sopra il lago) con una piacevole passeggiata di mezza stagione che raggiunge, favorita da scale e aiutini vari l'antico, storico insediamento di San Pietro, dove ci sono i resti di una delle prime chiese di questo pezzo di Alpi.
Scarica la traccia GPS.
👉Il sentiero si snoda nel bosco e utilizza diverse passerelle e scalini in legno che risalgono un ambiente selvaggio che i viaggiatori inglesi dell'Ottocento avrebbero definito "pittoresco".
Le rovine di San Pietro sono a 589 metri d’altitudine, e sorgono accanto ai ruderi del medievale castello Altenburg/Castelvecchio.
Poco più sopra il percorso sbuca all'interno del nucleo abitato di Altenburg, con la bella chiesa di San Vigilio, appollaiata su uno spuntone che dai suoi 614 metri di quota s'affaccia con bella vista sulle coltivazioni a vite della Bassa Atesina. Il percorso si chiude circolarmente scendendo dal sentiero che

venerdì 23 maggio 2014

Fotografare il cielo azzurro II°

La nitidezza delle rocce e la pulizia del cielo possono essere migliorate (di molto) con un po' di pazienza.

 Fotoshop Elements12
Il file Raw è stato aperto in Photoshop Elements 12 applicando un fattore
di nitidezza impostato a  25, raggio 1 pixel, dettagli a 25 e mascheratura al
33%, proprio come descritto nel post precedente (click per ingrandire).
La cattura a schermo è stata fatta mentre era zoomato al 200% e la foto
proviene da una Panasomic Lumix G2 sensibilità 100 ISO, lunghezza focale
equivalente 400 mm, tempo 1/1300, diaframma 8).
Il modo più veloce per eliminare l'effetto-grana che colpisce i cieli azzurri si riduce ad intervenire sulla nitidezza dell'immagine: spostare a zero il cursore della scheda Dettagli/Nitidezza/Mascheratura all'apertura del file Raw, una cosa già vista in un post precedente.
 Photoshop Elements 12
Qui invece il file Raw è stato aperto con la nitidezza automatica esclusa, e poi
è stata applicata una maschera di contrasto avendo però cura di escludere il
cielo, che viceversa è stato leggermente sfuocato. La procedura è divisa in due
passi come descritto a lato (click per ingrandire).
Ma se si preferisce un lavoro più "di fino" seppur più lungo, allora sarà bene che Photoshop non applichi alcun default all'apertura del file Raw, cosa che si ottiene al volo azzerando tutti i cursori dalla schermata iniziale (dalla terza icona da destra della barra in alto, che accede alla finestra di dialogo "Preferenze").
In tal modo i files arriveranno sulla schermata principale di Photoshop un po' meno nitidi ma più ricchi di dati grezzi su cui intervenire. In realtà il flusso di lavoro è semplice:
● si seleziona il cielo azzurro e lo si sfoca leggermente. Poi si inverte la selezione;
● il comando che daremo ora è "Maschera di contrasto", raggiungibile dalla voce di menù "Migliora". E' bene non esagerare con i parametri, un fattore di 200 con un raggio d'azione di 1 pixel sono, per i miei gusti, già un po' eccessivi. E' la seconda immagine qui a lato, grezza come mamma l'ha fatta.

domenica 18 maggio 2014

Perchè mangiare al Cavallino Bianco di Bolzano

Quando trovo scritto "hosteria" con la "H" davanti scappo a gambe levate, di finzioni plasticose ne ho piene le tasche (e non me ne vogliano nè Slow Food nè i sacerdoti del "bio").
Una delle sale interne del Cavallino Bianco, con tanto di cervo dal grande palco.
Eh sì, i sacerdoti del trend&brand mi hanno veramente snervato.
Anche per questo quando trovo un posto che non solo non inalbera la "H" ma addirittura si mimetizza dietro la dicitura "albergo", allora mi incuriosisco.
I canederli, grossi al punto giusto e impiattati coi cappucci tagliati fini (la
cameriera si assicura che io abbia compreso la differenza fra cappucci e
crauti) sono da manuale, cioè semplici ma senza difetti. Ma anche il gulasch
(completo di nervetti) non scherza. L'insalata mista di contorno è ordinaria
ma non siamo in Italia, la patria del pomodoro, e dobbiamo ricordarcelo.
👉E se proprio qui, in Via Bottai, nel centro storico di Bolzano, all'ora di pranzo i commessi, gli impiegati e gli artigiani del posto entrano ed escono come al supermercato, allora è meglio dare un'occhiata.
Ce n'è abbastanza per spingermi ad entrare, quei cento passi di distanza dai localini prediletti della borghesia trendy sanno quasi di mezza garanzia.
Il posto nasconde un'anima antica, lontana dal fronte strada e annidata all'interno di quel "modulo gotico" che si ripeteva in ogni centro medioevale con i suoi bravi portici sul fronte-strada e la striscia di terra dedicata all'orto all'interno.
Non è un'info da cercare in Internet, dove certe dritte non si trovano, ma ora che l'ho scovato, ci torno di sicuro perchè, come dicono a Firenze, "merita".

Alla fine, e senza contare il plus costituito dall'ambiente interno, che confina con la cucina e che da solo merita una visita, non veniamo spennati: paghiamo quasi la metà dei corrispondenti locali più trendy dei dintorni. Finchè dura...

martedì 13 maggio 2014

La Cugola del Corno Nero

Poco frequentata sia d'inverno che d'estate "perchè tanto vale salire sul Corno Nero" è una passeggiata tranquilla particolarmente adatta alle mezze stagioni.
Dalla Cugola verso il vicino Corno Bianco, dove hanno inizio (geologicamente parlando) le Dolomiti.
Verso la Val d'Adige, con la catena Mendola-Penegal-Roen coperta dalle nuvole.
Vedi le altre foto in PicasaWeb Album.
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
E' una piccola cima del tutto trascurabile e infatti trascurata, che non gode di molta audience e che si raggiunge con una semplice escursione lungo un facile sentiero che sale nel bosco dal Passo di Oclini e risale con un ampio giro quasi orizzontale la dorsale occidendale del Corno Nero.
Offre un panorama aperto sui Lagorai a sud e sulla Val d'Adige, compreso lo Sciliar che corona la conca bolzanina a nord. Ma, soprattutto, non è mai affollata.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 1.989 (Passo di Oclini)
Quota massima raggiunta: m 2.077 (Cima La Cugola)
Dislivello assoluto: m 88
Dislivello cumulativo in salita: m 533
Dislivello cumulativo in discesa: m 501
Lunghezza con altitudini: km 11,3
Tempo totale netto: ore 3:45
Difficoltà: T

Descrizione del percorso:

sabato 3 maggio 2014

L'appartato Monte Totoga (Lagorai)

Il piccolo e periferico sperone roccioso che guarda dall'alto la confluenza del Vanoi nel Cismon è oggi invaso dalla vegetazione.
E' l'estremo avamposto dei Lagorai orientali e guarda dall'alto la Valle del Vanoi, una delle più solitarie del Trentino.
Dal Totoga (m 1.705) si ha una visione completa del Monte Coppolo, (m 2.069),
la montagna di Lamon, che con la sua cresta frastagliata segnala la fine delle
grandi cime dei Lagorai e nasconde alla vista i monti della Valsugana.
E' stato il campo di gioco di Maurizio Zanolla, in arte Manolo, uno che negli anni Ottanta faceva l'acrobata appeso ai polpastrelli, come altri della sua generazione: Heinz Mariacher, Luisa Jovine, Patrick Berhault, Catherine Destivelle e i tanti grandi protagonisti di una stagione trascorsa.
La traccia in Google Earth.
La sommità è tondeggiante e si affaccia sul solco del Vanoi, sul suo esuberante torrente che scivola giù dal Passo di Cinque Croci e separa il massiccio di Cima d'Asta dalla lunga e articolata catena di Lagorai.
Per salirlo bisogna prima arrivare al Passo Gobbera, l'antico transito che univa il Tesino, l'isolato Vanoi e la ricca, mineraria conca del Primiero.
La zona è avvolta da una rete di percorsi stratificati nel tempo, antiche vie di comunicazione medioevali, strade militari della WW1, sentieri della SAT, scorciatoie e sentieri d'uso locale e infine strade forestali di recente ideazione, che passano sopra a tutto il resto. Il tutto accompagnato da una segnaletica altrettanto varia e stratificata. La salita si svolge nel bosco e non è difficile ma, viste le premesse, sconta qualche problema di orientamento.