giovedì 29 gennaio 2015

La croce di Ceniga (Valle dei Laghi)

Giro invernale che approfitta del clima mite della Valle dei Laghi.
Croce di Ceniga
Il percorso che si snoda lungo la dorsale rocciosa che va da Ceniga di Dro fino al castello di Arco si fa largo nell bosco di macchia mediterranea e la roccia carsica del Monte Colt. Da lì la vista si spinge fino alla Paganella (sx) e il Monte Stivo (dx). Le verticali pareti rocciose rivolte a est ospitano una notissima zona di arrampicata (sulla parete del Colodri nel 1987 si disputò il primo Rock Master).

Croce di Ceniga
La Croce di Ceniga, dove inizia il tratto pianeggiante che percorre la dorsale del
Monte Colt fino alla chiesetta di Santa Maria di Laghèl, sopra Arco.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.

Questo giro ad anello ripete (in senso inverso) il battutissimo percorso che dal castello di Arco sale al Monte Colodri e al Monte Colt.
In questo caso è fatto alla rovescia, in contromano, partendo da Ceniga, la piccola e tranquilla frazione posta fra Arco e Dro.
E' una gita che si può fare nelle mezze stagioni oppure quando il meteo sconsiglia di portarsi troppo in alto o troppo lontano.
GPS Croce di Ceniga
Scarica la traccia GPS da Every Trail.
Il percorso è tutto a bassa quota, e si svolge al centro della Valle dei Laghi, nota per il suo clima mediterraneo.
Siamo bassi, ma all'inizio, per raggiungere la croce, il sentiero si fa strada a fatica fra roccette taglienti e supera qualche breve salto esposto che può diventare scivoloso in caso di pioggia.
Una volta raggiunta la croce si spiana e diventa una tranquilla passeggiata panoramica; dalla chiesetta del Laghèl in poi si trasforma in una piacevole Promenade urbana che porta

sabato 24 gennaio 2015

La microscopica birreria Forst di Venezia

Si trova in Calle delle Rasse, angusto passaggio giusto dietro l'Hotel Danieli e in realtà è un bàcaro, cichéti compresi.
Assomiglia più a un bàcaro che a una birreria Forst. Alla tradizione del cichèto che accompagna l'ombra de vin si accompagna la mescita delle birre Forst. Bisogna tenere gli occhi aperti perchè l'insegna è minuscola ed è facile passarci davanti senza vederla.
Birreria Forst
Per i nostri standard è veramente minuscola, sei piccoli tavolini concentrati in
pochi metri quadrati, eppure per lo standard del bàcaro veneziano, dove di
solito si beve in piedi, è più che confortevole. Del resto questa è una città di
mare dove tutto, dai vicoli ai gabinetti, è minuscolo e quindi perchè stupirsi?
Più che una birreria, la Forst di Venezia è un vero è proprio bàcaro, una di quelle piccole osterie della tradizione veneziana, ed è infatti nel corso di un "giro di bacari" che l'ho scoperta.
I bàcari erano i vignaioli che venivano a Venezia con un barile di vino per venderlo in piazza assieme a qualche spuntino. Il bicchiere di vino si chiamava ombre perchè i vignaioli si spostavano con l'ombra del campanile per tenere il vino più fresco. Poi diventarono stanziali, piazzandosi in piccoli magazzini che fungevano anche da mescita.
Birreria Forst
Per un elenco dei principali bacari/trattoria vedi in www.agrodolce.it. C'è anche
una mappa completa degli orari di apertura.
Non erano dei ritrovi di buona nomèa ben visti dalla gente dabbene, tant'è vero che anche oggi quando si vuol definire un bar scadente lo si definisce "bàcaro".
👉La vecchia osteria malandata e generalmente vista male perché considerata un ritrovo per alcolizzati, si è oggi "rinnovata" diventando uno degli elementi caratteristici della città che spesso non offre soltanto
cicheti e ombre più o meno di qualità, ma anche portate complete.
Birreria Forst
Le pareti sono coperte da fotografie, quadri, immagini o citazioni, come questo
omaggio allo storico LP "Welcome to the canteen" dei Traffic.
👉Oggi i bàcari sono veri e propri ristorantini finto stazzonato, dal look finto grezzo, in realtà curato nei minimi dettagli per dare l'impressione della tradizionale osteria, trappoloni che nascondono prezzi alti e prodotti standardizzati di piatti presentati come tipici veneziani.
👉Col tempo i cicheti stessi si sono fatti sempre più stuzzicanti e invitanti, quasi a sostituire un
pasto che si consuma in compagnia al banco, o seduti ad un tavolo di legno circondati da un clima informale.
Alcuni esempi di cicheti da provare: mezi òvi (mezzo uovo sodo con acciughe sotto sale); folpeti (polipetti bolliti); spiensa (milza); sepoine (seppie bollite); òvi de sepa (uova di seppia); bovoeti (chioccioline di mare); schìe (gamberetti piccolini); castraùre (carciofi della laguna); rumegàl (interiora di vitello); canòce (cicale di mare); masanete o moleche (granchi molli); museto (cotechino); frito de minuagia (fritto di piccoli pesciolini); garusoi (piccole lumache di mare); peoci gratinai (mitili gratinati); nervetti con cipolla.

mercoledì 21 gennaio 2015

L'Ape scovato nel web

Un libro "minimo" che guarda nel buco della serratura della storia novecentesca.
associazione APE
Due parole sulla storia dell'APE e un flash sui difficili
rapporti fra sport e socialismo all'alba del Novecento

Questo libro dal titolo curioso, "Sentieri Proletari", è la breve storia dell’Associazione Proletari Escursionisti (APE) e si presenta anche come "il libro che racconta i primi cento anni dell’alpinismo popolare ed operaio".
Lo fa attraverso le vicende dell’APE , nata a Lecco nel 1919, associazione "d’ispirazione antialcolica e di matrice socialista" che ebbe vita breve ma fu ricostituita nel secondo dopoguerra ed ebbe negli anni sessanta e settanta la sua maggiore espansione.
Il libro, scritto da Alberto “Abo” Di Monte e pubblicato da Ugo Mursia editore, si propone di offrire la prima ricostruzione della trama dell'escursionismo coscientemente antisistema nei primi anni del Novecento (poi spazzato via dal fascismo) e della sua successiva evoluzione.
Il libro viene Presentato questa sera a Milano presso il centro sociale "Piano Terra" in via F. Confalonieri 3 a Milano, nel quartiere Isola.
Per maggiori info si può contattare l’autore (o l’APE).
Non l'ho ancora letto, ma spero che valga la pena di recensirlo e nel frattempo mi è sembrato giusto segnalarne l'esistenza.

lunedì 19 gennaio 2015

Madonna della Corona (Monte Baldo)

Inconsueta escursione completata dalla salita al vicino Monte Cimo, da dove il panorama si apre sulla catena del Baldo e sull'altipiano dei Lessini.
Madonna della Corona
Il santuario visto dal vicino Monte Cimo (meta ultima dell'escursione). Oltre che in Wikipedia, le vicende storiche di questo strano posto sono efficacemente riassunte nel sito www.magicoveneto.it e richiamate nel sito ufficiale del santuario.
Madonna della Corona
L'ultimo tratto della salita al santuario consiste in una serie di rampe realizzate a
partire dagli anni Sessanta e terminate da pochi anni. Il santuario è raggiungibile
anche scendendo dal soprastante nucleo abitato di Spiazzi in un quarto d'ora.
Vedi le altre foto in Picasa Web Album.
Non fosse per il dislivello (sono pur sempre ottocento metri) si potrebbe considerarla una passeggiata divisa in due parti. La prima, affascinante e sorprendente, segue il percorso devozionale che porta i pellegrini dal fondovalle al santuario; la seconda che risale fino al paesino di Spiazzi e per spingersi poi al mammellone al vicino Monte Cimo, un mammellone erboso affacciato sulla pianura.
Madonna della Corona
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
👉Sono millecinquecento i gradini che collegano Brentino, il paesino che sta in destra Adige, con il santuario appollaiato nella - più che sulla - roccia della parete verticale del Monte Baldo, 600 metri più in alto.
Si sale lungo un percorso scalinato molto ardito e molto ben realizzato che lo unisce al nucleo storico di Brentino, una via battuta dai fedeli e dotata di parapetti in pietra lungo le rampe e di corde metalliche nei punti dove d'inverno può crearsi qualche lastra di ghiaccio.
👉Fin dall'inizio si sale ripidamente seguendo la bella scalinata che inizia di fronte alla grande fontana-lavatoio in pietra. Si sale

lunedì 12 gennaio 2015

Il Sentiero delle Scale a Torbole

Passeggiata invernale a mezza costa sopra il lago di Garda, fra Torbole e Tempesta.
sentiero delle scale a Torbole
Il sentiero corre nella macchia mediterranea che ricopre le pendici del Monte Altissimo di Nago. La vista si apre sulla sponda occiden-tale. Qui siamo sopra Tempesta e abbiamo davanti i monti di Pregasina e il gruppo della Rocchetta di Riva. L'intaglio della Val di Ledro si incunea fra i due complessi montuosi.
sentiero delle scale a Torbole
Le scalinate sono state realizzate interamente in metallo e sono piuttosto lunghe.
Imbullonate alla roccia e dipinte di verde, rendono il percorso perfettamente sicu-
ro, a prova di bambino, ma ovviamente non possono curare chi soffre di vertigini.
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
Tre lunghe scalinate di ferro letteralmente imbullonate alla roccia sopra la Spiaggia delle Lucertole. Il sentiero alterna facili tratti orizzontali (e inghiaiati) a lunghe scalinate metalliche sospese sul lago. Sono ben tre e sono state realizzate con cura, il colore verde ne riduce l'impatto visivo e mostra quanto poco basti, a volte, per non suscitare un senso di orrore nell'escursionista attento al quadro ambientale.
Il percorso inizierebbe dal parco delle Busatte (50 metri più in
sentiero delle scale a Torbole
Il percorso visto in Google Earth
alto) ma noi preferiamo partire direttamente dal lungolago di Torbole e seguire una scala in pietra (tabella) prende quota rapidamente, incuneandosi fra la discutibile edilizia che circonda il vecchio centro lacustre sovrapponendo alla macchia mediterranea una crosta di cemento. Non c'è nulla da aggiungere, se non che è fortemente da sconsigliare a chi soffre di vertigini.

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 65 (parcheggio)
Quota massima raggiunta: m 360

martedì 6 gennaio 2015

Prima e dopo il ponte sul Rio Nero

Ad Aldein/Aldino il tempo si misura dalla costruzione del ponte. C'è un prima e un dopo, e dopo tutto è cambiato molto in fretta.
L'attuale strada per Aldino venne aperta solo nel 1958. Poi, una volta costruito anche l'ardito ponte ad arco che scavalca il Rio Nero, venne asfaltata e migliorata, ma per una decina d'anni rimase bianca, stretta e ripida tanto che per la discesa al paesino di Olmi (24% di pendenza, d'inverno si montavano le catene per evitare di finire nel torrente) si ricorse ad una piccola corriera 4x4 su telaio Fiat-OM che venne (penso) realizzata ad hoc carrozzando un camioncino della classe Leoncino. Fino al 1970 l'aspetto era quello di questa foto (scattata nel 1914) .
Zoom sul paese dalla vetta del Weisshorn/Corno Bianco. In bianco e nero la sua
estensione prima che venisse costruito il ponte. La nuova strada ha figliato una
colata di edifici senza costrutto.
Prima dell'apertura della strada, ad Aldino ci si arrivava solo a piedi, risalendo la mulattiera (1000 metri di dislivello) che partiva da Bronzolo, in Val d'Adige. L'isolamento era com-pletato dall'assenza di collegamento con Monte San Pietro e Nova Ponente. Perfino Redagno (che pure era una frazione del Comune di Aldino) era collegato solo via mulattiera.
Il sindaco (al centro e nel riquadro), il segretario comunale, il prete e i carabinieri
con i contadini interessati dal passaggio della nuova strada.
Prima della costruzione del ponte, la nuova strada di Olmi aveva portato qualche
sporadica automobile. Con gli anni Settanta fu chiaro che dietro le auto si era
però infilata la speculazione edilizia: in breve arrivarono il cemento, il mattone,
il turista, i finanziamenti pubblici e il delirio edilizio. Nella foto: l'antica locanda
Stern prima e dopo la cura.
Il paese, antico e minuscolo, era tutto raccolto sul cucuzzolo erboso che sbucava dai boschi sull'altopiano boscoso tra il Corno Bianco e la Bassa Atesina. Una collinetta completata dal profilo della chiesa, d'origine medioevale, che svettava alta sulle croci in ferro battuto del cimitero e che nei giorni sereni era visibile fin dalla periferia di Merano.
Il posto era isolato almeno quanto il Santuario di Pietralba, entrambi si raggiungevano a piedi e tra i due non esisteva nemmeno una strada forestale. Solo mulattiere. Ma essendo il baricentro dell'altipiano, era uno snodo importante, vitale punto di riferimento per i masi che punteggiavano l'altopiano.
Nella manciata di case si contavano ben tre alberghi perchè chi saliva sin lì per motivi di affari o altro, non poteva certo tornare a valle in giornata.
Il più antico, quello della Rosele, era il riferimento per i contadini che la domenica, scesi dai masi per la messa delle undici, si trattenevano poi fino a sera per trattare gli affari e mangiare nelle due Stube a piano terra e per bere e giocare ai birilli sotto la tettoia di legno.
Mogli e figliolanza, fatta qualche spesa nel negozio in piazza, risalivano in fretta al maso, gli uomini si fermavano e bevevano quantità industriali di una