giovedì 30 aprile 2015

Finalmente ritorna la stagione del barbecue

Sono ancora incerti e un po' troppo freschi, ma i giorni del mangiare all'aperto stanno finalmente tornando...
mangiare in montagna
L'insalata di tarassaco ben si accompagna alle patate incartate nell'alluminio e lasciate tra le braci mentre würstel "servelade" e salsiccia cuociono a puntino.
Le patate cotte nella cenere e la luganega arrostita sullo stecco.
L'erba è già stata falciata una prima volta ma l'orto non è ancora ripartito, oltre al verde c'è solo il giallo del tarassaco e delle forsizie, per gli altri colori bisogna aspettare.
Per ora vale ancora la formula cuocere all'aperto e mangiare al coperto, cioè in casa.
E che quest'anno l'estate si faccia davvero sentire e che non si ripetano le piogge continue dell'anno scorso. Intanto le prime patate cotte al cartoccio sono riuscite bene...

sabato 25 aprile 2015

"La ballata del Gherlenda"

Il Battaglione Gherlenda cantato e musicato da un piccolo ma sorprendente gruppo locale.
ballata del gherlenda
Niente seggiole per una memoria in piedi, nei piccoli spazi della "Libreria al Ponte"
di Borgo Valsugana. Alla presenza dell'autore del più bel libro sulla resistenza in
Trentino, quel Giuseppe "Bepi" Sittoni che bisogna ringraziare per aver dato alle
stampe "Uomini e fatti del Gherlenda", un testo che ha salvato dall'oblio i protago-
nisti e le cronache della resistenza antifscista nel Tesino. (Testi e musiche di Sergio
Balestra e Gianfranco Tomio, voce di Morena Roat).
Eh già, trovare qualcuno che si occupi di Resistenza non è poi così facile, specialmente oggi, specialmente in Trentino e specialmente in Valsugana. Però succede, e con risultati inaspettati.
👉Due chitarre stagionate e vitali più una voce che arriva dalla Valle dei Mocheni, autorevole e squillante.
Tra gli uomini del Gherlenda c'erano comunisti ma anche paesani cattolici e, più semplicemente, uomini dalla coscienza pulita e dalla schiena dritta, poco propensi a seguire le sirene collaborazioniste del prefetto De Bertolini, nominato dai nazisti.

giovedì 23 aprile 2015

Partigia

Ebrei in fuga, renitenti alla leva, studenti ribelli, anarchici insofferenti, militari sbandati, antifascisti di vecchia data, azionisti, trotzisti, semplici balordi e qualche comunista doc.
Il titolo del libro di Sergio Luzzatto riprende quello di
una poesia di Primo Levi, che fu catturato dai fascisti
proprio al Col de Joux. L'ho utilizzato per costruirmi
una mappa di appunti per un eventuale giro estivo nella
valle che porta alla Testa Grigia.
Sono i partigiani della prima ondata, quelli fuggiti in montagna subito dopo l'otto settembre, carichi di rivolta e paure ma ben decisi a non farsi prendere, più ribelli che idealisti, più vitali che riflessivi, più incazzati che duri e puri, ingenui quanto basta per lasciarsi infiltrare fin dai primi giorni dalle spie fasciste di Salò. Fra loro anche quelli che avevano "deragliato dall'etica partigiana rendendosi responsabili di estorsioni ai danni dei valligiani".
Sono i "partigia", che Sergio Luzzatto vorrebbe descrivere senza retorica, attraverso un minuto lavoro di ricostruzione storica, nella loro evoluzione da ribelli a partigiani, senza nascondere nulla, neanche i "deragliamenti dall'etica partigiana" di chi s'era reso responsabile di estorsioni ai danni dei valligiani.
Siamo in Val d'Aosta e all'inizio l'oggetto del libro sembra riguardare le due bande salite dalla pianura sui prati alti di qua e di là del Col de Joux, una specie di "studio di caso", insomma.
👉Ma poi, quando allarga la visuale, Luzzatto sembra imboccare il sentiero scivoloso dell'"equidistanza" fra simpatie resistenziali e attrazioni fatali per le sirene revisioniste alla Pansa (che pure cita). E anche se l'equilibrismo - talvolta acrobatico - sembra più un dazio pagato alle mode qualunquiste fiorite nell'ultimo ventennio che frutto di riflessioni profonde, lo sconcerto rimane. Ma tant'è: prendere o lasciare, questo è quanto passa il convento della storiografia più recente. Peccato, perchè il titolo sembrava suggerire un taglio capace di mordere l'argomento, ma se tutto si riduce a un "anche fra i partigiani c'era qualche coglione" allora tanto vale leggere l'originale, cioè Pansa. Pur con tutto ciò, il libro merita comunque d'esser letto, se non altro per capire come il disincanto e il culto del "distacco" possa fare velo al riconoscimento delle responsabilità storiche. Così,  le parti più interessanti rimangono quelle dove, finita la guerra,  l'autore ricostruisce le singole vicende personali di quel gruppo di ebrei torinesi ch'era salito in montagna nell'autunno del '43. (e quelle dell'infiltrato fascista Egidio Cagni, che la fece franca e che col prefetto saloino Cranazzi attrae le simpatie di Luttazzo).

La banda di Arcesaz era acquartierata nelle baite presso il Castello di Graines e quella di Amay faceva base alle casupole della malga di Frumy.

sabato 18 aprile 2015

La Birreria Pedavena di Trento

Col tempo la Birreria Pedavena è diventata un riferimento assoluto, un punto fermo toponomastico della "città del Concilio".
birreria pedavena trento
Ai tempi ha esercitato coi nomi di "Speranza" e albergo "Alle Due Chiavi". E'
ospitata in un edificio settecentesco che, come molte cose in questa città, con-
fina con una proprietà immobiliare della Curia vescovile trentina. E' situata di
di fronte alla trattoria "Al Volt", un altro locale radicato nella storia cittadina.
Sembra impossibile ma una borghesia trentina laica, a-democristiana e non clericale è effettivamente esistita anche qui, nella capitale della controriforma.
La birreria "fuori le mura" ne faceva parte, ne era parte cospicua.
birreria pedavena trento
La birreria trentina è stata a lungo una "filiale" del blasonato stabilimento che
i fratelli Luciani realizzarono nel 1896 a Pedavena, ai piedi delle Vette Feltrine,
praticamente a Feltre. Gli interni sono da vedere per gli spazi, gli arredi, l'atmo-
sfera e il carattere che sopravvivono alle recenti e non felici aggiunte.
👉A partire dal 1924 il cortile della "Pedavena" ospitò il teatro del "Club Armonia", tutt'ora attivo, che fu una gloriosa istituzione laica cittadina ispirata alla cultura irredentistica al pari di molte altre, quali la "Lega Nazionale, la "Società corale", la "Pro cultura", il "Veloce Club", la "Società del pallone", la "S.A.T.", l'"Unione ginnastica", la "Società degli studenti trentini", la "Società Regnicola" (che riuniva gli immigrati italiani), la "Società d'igiene", eccetera.
👉Oggi, dopo il fallimento dello stabilimento-madre e il suo rilevamento da parte della multinazionale Heineken, a Trento si produce in loco una birra artigianale e il cortile è stato fagocitato da una nuova grande sala coperta, il portico settecentesco ha perso ogni funzione e insomma molto è cambiato. Tuttavia andare al Pedavena a magnar luganeghète col sugo continua ad essere un'idea. Non ottima, forse, ma buona. Sì, insomma, diciamo accettabile. C'è tutto quel che serve per mantenere la tradizione: i Würstel con i crauti, il gulasch, lo stinco di maiale, i canederli, la carne salada e il carrè di maiale...

lunedì 13 aprile 2015

Monte Castelberto (Lessini)

Ciaspolata di primavera tra le ampie praterie pianeggianti dell'alta Lessinia, in un paesaggio di malghe, sole e pietra rosa.
monte castelberto
Dal margine settentrionale dell'altipiano si gode di un panorama circolare completamente aperto sui quattro lati. Qui una inquadratura verso occidente, con al centro la lunga catena del Monte Baldo. Sulla sinistra si inravvedono la pianura veronese e uno spicchio di Lago di Garda, con le gibbosità erbose del Corno d'Aquilio in primo piano. Sulla destra primeggia il Monte Altissimo di Nago con la propaggine del basso Monte Vignole. Le vette innevate sullo sfondo si estendono dai monti dell'Adamello alle Dolomiti di Brenta.
monte castelberto
Dal Castelberto verso la Val d'Adige. L'omonimo rifugio è stato costruito sui resti
di una casermetta miltare della prima guerra mondiale e si trova proprio sulla pia-
noro sommitale. E' stato realizzato con cura e attenzione usando pietra chiara
della Lessinia, con buon senso e aderenza alle forme e tecniche costruttive tradi-
zionali (l'interno, invece, scimmiotta le stubi tirolesi).
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
L'arioso paesaggio della Lessinia è fatto di grandi pascoli ondulati e malghe tutte in pietra poggiate su un suolo carsico dove il legno è raro e l'acqua un bene prezioso.
monte castelberto
Il tracciato visto in Google Earth.
Qui i pochi alberi esistenti si riuniscono a ciuffi attorno ai massi affioranti che trattengono nelle loro ombre l'umidità.
Tutti i manuffatti sono di pietra, i lastroni di calcare lavorati a mano sostituiscono il legno e il mattone in tutti gli usi, sono utilizzati fin dai tempi più antichi perfino come forma di recinzione. Terre alte aspre e povere, che sembrano scivolare lentamente verso sulla pianura veronese e non fanno parte del mondo alpino più conosciuto. Abitate da genti povere che le contendevano alla miseria, discendenti dagli antichi Cimbri, ma meno fortunati dei loro parenti dell'altipiano d'Asiago.
Il rifugio è interamente nuovo ma è stato costruito nel rispetto delle forme antiche, usando i lastroni della pietra locale ed è a mio avviso un buon esempio di regionalismo architettonico.
La nuova costruzione è dotata di
una pala eolica, una serie di pannelli solari distribuiti sul tetto e un tradizionale generatore a scoppio.

giovedì 9 aprile 2015

Naturno, il peggio dell'Alto Adige

In Sudtirolo il ventennio berlusconiano ha picchiato duro, ha sfregiato in profondità paesaggio e luoghi, ha lasciato ematomi difficili da riassorbire.
brutture di montagna
La spinta iniziale all'affarismo e al cupio dissolvi di un'identità storica è partita dalla
sede comunale, insomma proprio da chi avrebbe dovuto avere cura del paese.
Praticamente non è rimasto nulla, la crosta edilizia si è così gonfiata che per riuscire
a vedere il castello di Nautrno bisogna spingersi alla (brutta) periferia del paese.
Tra i posti più saccagnati c'è sicuramente Naturno. Il centro del burgraviato venostano ha tagliato i ponti con sè stesso e si è trasformato in un lindo, ordinato e asettico incubo cementizio senza identità e senz'anima.
Nel centro storico gli edifici sopravvissuti sono forse tre, un antico albergo e due abitazioni; il resto è stato spazzato via dal cemento armato, metri cubi di periferia urbana presi e spostati quassù, in nome della modernità e della "crescita".

domenica 5 aprile 2015

Al simpatico laghetto di Nembia (Molveno) da Ranzo (Valle dei Laghi)

Fino al laghetto di Nembia e poi a quello di Molveno, con ritorno dal sentiero di San Vili, passando dal piccolo nucleo abitato di Deggia.
lago di nembia
Il ritorno si svolge lungo un tratto del percorso chiamato "sentiero di San Vili," così battezzato dopo la sua riscoperta degli anni Ottanta. Il tracciato deve il suo nome al vescovo e martire del cristianesimo trentino San Vigilio di Trento. Il vescovo era in realtà un esattore delle imposte e finì ucciso dai rendenesi, dopo che i suoi inviati in anaunia erano stati bruciati vivi dai nonesi.  Non sappiamo come sia morto Vigilio: un tardo racconto, che parla di martirio, non convince gli studiosi. Non si conoscono i dettagli della sua morte: una leggenda narra che venne ucciso a zoccolate in Val Rendena; altre versioni dicono che la sua lapidazione prese il via da una zoccolata datagli da una donna.
lago di nembia
Tra i due laghi si estende, defilata e invisibile dalla strada statale, un suggestivo
mondo minore fatto di vecchi coltivi punteggiati da casette addossate a grossi
massi erratici.
Vedi altre foto in Picasa Web Album.
Tra il Lago di Toblino e quello di Molveno corrono, alti sulle pendici del Monte Gazza, antichi tratturi e sentieri di collegamento fra il Banale e Trento, che si muovono sempre in quota e fanno parte di una più ampia rete di antichi collegamenti locali.
Per questi antichi transiti ci si muoveva a piedi su lunghe distanze, senza mai perdere quota e sempre per la via più breve. I collegamenti pedonali dalle Giudicarie a Trento si tenevano
lago di nembia
Il percorso in Google Earth.
alla larga dal fondovalle: niente Gola del Limarò e niente Lago di Toblino. Lungo questi passaggi alti aleggia un'atmosfera distesa e antica, ricca di presenze umane oggi attentamente recuperate.
👉L'unico sfregio (ormai semplice curiosità storica e "memento" per gli amministratori "lungimiranti") è il tracciato di una strada progettata negli Settanta, e bloccata in extremis, che avrebbe dovuto collegare il piccolo paese di Ranzo con Molveno e che avrebbe spostato il traffico turistico e commerciale dal fondovalle alle
terre alte (ma che bella pensata!).

Quote e dislivelli:
Quota di partenza/arrivo: m 820 (parcheggio)