domenica 10 maggio 2020

Un giro fra i baiti di Gardonè (Latemar)

Giro facile e vario, assistito dalla funivia e quindi da fare in una giornata feriale. Inizia e termina alla stazione intermedia della funivia di Passo Feudo, in Val di Fiemme.
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Dalla località Vardàbe (stazione intermedia della funivia), tocca i baiti Baiti delle Prese, il Bait dei Sügadoi, del Pian de Paura.
Dati e descrizioni sono di Gigi, che ci è stato nel 2019.

Gruppo: Latemàr
Partenza e arrivo: Gardonè (1° Tronco funivia del Passo Feudo)
Difficoltà: E
Dislivello: 710 m

Tempi.
Stazione funivia–Bivio sent. per Vardàbe: h 0.10
Bivio–ardàbe: h 0,15
Vardàbe – Baito delle Prese: h 0,45
Baito delle Prese–Baito de Sügadoi: h 1,40
Cartina in scala 1:25.000 del percorso ad anello. Si lascia l'auto al parcheggio a valle.
Baito de Sügadoi–Bivio Baito Pian della Paura: h 0,30
Bivio–Baito Pian della Paura: h 0,10
Baito Pian della paura–Gardonè: h 0,50
Totale : h 4,30

Quote.
Staz. di arrivo Gardonè: m 1650
Bivio Vardàbè: m 1580
Villaggio Vardàbè: m 1498
Bivio per Gardonè e Valsorda: m 1700
Bivio per Baito delle Prese: m 1750
Baito delle Prese: m 1796
Baito de Sügadoi: m 2196
Quota m 2200 circa
Bivio Passo Feudo – Gardonè: m 2100
Baito Pian della Paura: m 2068

Note.
Dal Bivio di quota 2100 si può saltare la, fin troppo, ripida discesa a Gardonè evitando di scendere al Baito del Pian della Paura e proseguendo verso il Passo Feudo che si raggiunge in circa h 0,45. Dal Passo, in pochi minuti, si risale alla seggiovia per il rientro a valle.
Dei tre baiti visitati, i più utili sono senza dubbio quello delle Prese e dei Sügadoi. Il primo come eventuale punto di partenza per una traversata in Valsorda; il secondo in caso di maltempo. Il Bait del Pian della Paura merita una visita più che altro per i dintorni ma non certo per il pernottamento, anche per la sua vicinanza alla funivia di Gardonè.

Relazione.
Parto da Trento alle 7 del mattino con il termometro, fuori dalla finestra della cucina, che segna già 30°; figurarsi a mezzogiorno. È l’ultima settimana di luglio e siamo in piena ondata di caldo africano, non vedo l’ora di alzarmi di quota.
Arrivo alla cabinovia del Latemàr, subito dopo Predazzo, poco dopo le 8,30; metto lo zaino in spalla e via. La cabinovia mi lascia a Gardonè, bel posto turistico e “valorizzato” a go-go. Uscito dall’impianto, scendo lungo l’ampia sterrata che sale dal fondovalle; arrivato a un tornante destrorso, un cartello indica il sentiero per Vardàbe. Sentiero comodo, con qualche su e giù, che mi conduce al piccolo villaggio alpino. Scendo a visitare le varie costruzioni grandi e piccole; nel frattempo arriva un’auto a bordo un signore e una giovane che, suscitando tutta la mia invidia, entrano in uno dei bellissimi fabbricati.
Lascio Vardàbe e il suo magnifico panorama sul Lagorài ai fortunati proprietari di casa e salgo fino a ritrovare un largo sentiero che mi porta a entrare nel bosco. Non faccio in tempo a pensare come all’ombra del bosco si sia meglio che il sentiero si trasforma in una ripida rampa, che sale impietosa mostrando alcuni residui dell’antica pavimentazione di una mulattiera.
Finalmente, raggiunta q.1750, trovo il bivio per il Baito delle Prese che raggiungo in breve. Il posto è bello e arioso una strada sterrata sale dalla Valsorda, permettendo il collegamento sia con la Baita Praconè sia con il Paese di Forno.
Il Baito delle Prese ottimo ricovero è molto spartano all’interno e ospita solo una branda a doghe che fa già venire il mal di schiena a strisce solo a guardarla.
Torno sui miei passi e riprendo il sentiero (n° 50, segnavia su un albero) ancora in salita che, fortunatamente per il sottoscritto, riduce un po’ la sua pendenza. Continuo a salire con parecchie soste tutte le volte che gli alberi ora diradati mi offrono sollievo dal caldo. Nonostante la quota c’è un caldo mica da poco, infatti, non sono sudato bensì zuppo di sudore; per fortuna ogni tanto arriva un po’ d’aria a darmi sollievo, una boccata d’ossigeno per questo ansimante vecchietto!
Salendo mi fermo spesso a scattare foto perché ora, uscito dalla vegetazione d’alto fusto, i panorami si sono ampliati divenendo sempre più godibili.
Finalmente arrivo a un recinto con un tornello, mi viene da ridere perché mi ricorda un ex ministro (un tipo che invidiava molto Fanfani per la sua altezza), che aveva fatto dei tornelli un suo pony da battaglia!
Proseguo il cammino sovrastato dalle pareti rocciose dei Mus, la salita intanto termina e poco dopo avvisto il minuscolo Bait de Sügadoi. Appena arrivo al Baito, con grande soddisfazione tolgo lo zaino e mi accascio su una panca. All’esterno del Baito ci sono un piccolo tavolo e la panca dei miei desideri. Posso riposare, bere una sorsata d’acqua, asciugarmi il sudore, poi buttarmi un po’ d’acqua in testa. Visto l’interno del Baito che è dotato di un tavolo con panca e un'altra specie di panca che vorrebbe darsi arie da branda. Al soffitto del piccolo baito ci sono appesi due materassi e in un angolo una stufa a misura di baito cioè minuscola anch’essa. Mi sento come Gulliver in una casetta di nani, anche se sono più largo che alto.
Tirando un respiro di sollievo perché non sono costretto a usufruire del Baito per la notte, ottimo ricovero comunque in caso di maltempo, riprendo il cammino sul filo dei 2200 m tra pascoli sassosi e mucche. Seguendo sempre il sent. 50, che in questo tratto tende a confondersi un po’ sul terreno, inizio a scendere e arrivo a un bivio, sono ormai sulla verticale del visibile Baito del Pian della Paura, dove un cartello indica in un’ora il tempo per scendere a Gardonè e in 45 minuti quello per arrivare al Passo Feudo anch’esso visibile.
Sono curioso di visitare la zona sottostante, quindi inizio la ripida discesa passando tra una piccola mandria di vacche che mi osservano con i loro grandi occhi; chissà cosa penseranno di questo bipede sudato e incespicante, mah meglio non indagare.
Finalmente arrivo al Baito del Pian della Paura. A guardarlo da vicino non ispira paura ma un certo timore sì, visto che sembra un po’ sbilenco e con seri problemi di equilibrio. Comunque mi fermo a riposare e butto un’occhiata all’interno. Scopro un rozzo tavolo in un angolo, poi una stufa carica di anni e di ruggine, infine guardo con interesse un tavolato coperto da quello che, ai tempi dell’Impero Austro-Ungarico doveva essere fieno fresco e profumato, mentre ora sembra più un basso strato di polvere che altro. Sarà la stanchezza ma mi sembra che quella specie di paglia viva di moto proprio; forse legioni di minuscoli insetti stanno aspettando speranzosi malcapitati. Non indago oltre e mi siedo all’esterno e all’ombra. Di fronte a me c’è un pascolo disseminato di grossi cumuli a cono. Sono il risultato di bonifica di quello che è diventato ora un pascolo erboso e non più sassoso, ma anche i testimoni di una fatica mica da poco!
Intanto il tempo passa e mi tocca ripartire, infatti, la cabinovia di Gardonè chiude alle 17,45 e sarà meglio che mi dia una mossa. Scendo a raggiungere un largo sentiero che passa accanto ai cumuli sassosi, poi attraversa un pascolo diventa una sterrata e precipita, senza mezzi termini, verso il basso con una pendenza che definirla ripida è un gradevole eufemismo. Piantando i bastoncini con foga, qui è roba da ramponi, e costringendo i miei menischi a lanciare stridenti urla di dolore arrivo velocemente, per via della ripidità mica per mia volontà, nei pressi di una grande prato che ospita un paio di belle baite. Qui mi fermo un attimo ancora intimamente scosso per la discesa, riprendo fiato poi riparto e in breve raggiungo la strada che sale al Passo Feudo e la corrispondente pista da sci.
Ora ci sono due possibilità: o seguire la sassosa strada, o la pista da sci dal fondo erboso ma anch’esso duro come i sassi. Bella scelta: o la padella o la brace. Decido di seguire la pista da sci solo perché sul lato sinistro ci sono zone d’ombra. Arrivare fino a Gardonè si rivela essere una vera e propria tortura per le mie gambe, ormai ridotte a due appendici quasi insensibili a parte le ginocchia che fanno un male cane.
Riesco ad arrivare alla cabinovia con estrema cautela per evitare di stramazzare a terra, i turisti che gironzolano nei pressi mi guardano quasi con sorpresa; mi sa che ho una faccia stravolta che non ti dico. Nonostante tutto riesco a montare nella cabinovia e scendere a valle; sono sudato, stanco morto e stravolto. Quando raggiungo l’auto, mi libero dello zaino, cavo gli scarponi con un gemito di sollievo, prendo un asciugamano e una maglietta pulita e vado ai bagli. Apro un rubinetto, pregustando la sensazione del fresco getto e invece … Viene fuori ACQUA CALDA!
Ma che è sto’ scherzo, siamo in luglio, ci sono 30° a 2000 metri e passa, e qui il rubinetto butta acqua calda; mi viene da piangere!
Mi sciacquo velocemente, poi monto in auto e vado a trovare una coppia di amici al Miola di Predazzo che, forse commossi dalle mie condizioni, si offrono di ospitarmi per la notte nel loro grande divano letto nuovo di pacca: non ringrazierò mai abbastanza.

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