martedì 30 aprile 2013

Il bar "da l'Ugo" a Trento

E' passato un anno dalla scomparsa del vecchio Ughetto, il mitico conduttore del Bar Zocca, che stava in Via della Roggia e i cui spazi sono oggi inglobati in un anonimo localino di qualche pretesa e poca scorza.
Il vecchio Ughetto in uno scatto d'epoca, quando ci teneva a bada ricordandoci
che oltre certi eccessi, per noi non ci sarebbe stato altro da fare che "il ricovero".
L'anima del bar era proprio e solo lui, Ugo Dallapellegrina, padre padovano e madre trentina, arrivato in città nel 1925 con già una carriera alle spalle.
Qui a Trento aveva lavorato a lungo in diversi esercizi ma mi piace ricordarlo nei suoi anni ruggenti, nel baretto buio del centro storico, tre gradini sotto il piano strada in Via della Roggia, negli anni '70, quattro tavoli e un bancone, il gabinetto col telefono che usavamo per organizzare i nostri randez vous quando ancora non c'erano i cellulari ("chiamami dall'Ugo").
👉Un pomeriggio ci fu qualche carica della polizia fra le viuzze del centro, qualche lacrimogeno e qualche sanpietrino (c'era un comizio dei fascisti in Piazza Italia); dapprincipio m'ero rifugiato nel giroscale di un quotidiano locale ma poi ripiegai nel vicino Ugo, già strapieno.
Udendo i botti  che s'avvicinavano, l'Ughetto abbassò la serranda, atto che ci poneva sotto la sua protezione. Venne la pula, e picchiò alla serranda, ci presero i documenti anche se l'Ugo, cinto il grembiule blu, aveva garantito ad alta voce: "Tutti i presenti sono miei clienti". Il povero che era al comandò indicò la porta del cesso e sbraitò: "controllate anche tutti quelli che stanno al piano di sopra!". Il tapino non si capacitava del silenzio che era sceso dopo quest'ordine, ma gli avventori sogghignavano, sapevano tutti che dietro quella porta non esisteva alcun piano di sopra ma c'era solo un piccolo cesso alla turca (con telefono).

"TRENTO. A novantasei anni ha detto o pensato per l’ultima volta, “signorsì”. E se n’è andato. Ughetto Dallapellegrina è morto dopo una vita per cinquant’anni da cameriere in città (se si esclude la guerra in Albania e Grecia) sempre in giacca bianca, sempre compunto, impeccabile nel servizio. I suoi coetanei e gli attuali sessantenni lo ricorderanno sicuramente al Savoia, al Dopolavoro in via Roggia Grande, all’albergo Bologna, al Pavone, alla stazione dei treni, al bar dell’Hotel Trento, con Marietto Bort ai grandi balli che si tenevano al teatro Sociale e forse anche in qualche altro bar. Il suo libretto di lavoro è lunghissimo. Ugo era arrivato a Trento da Padova nel 1925. Suo padre era padovano e sua madre trentina. Aveva cominciato come lift all’albergo Savoia a 11 anni, vestito di verde, verde come la sua tenera età. Eseguiva i piccoli compiti e favori chiestigli dai clienti: portare una lettera, un mazzo di fiori, un biglietto. Correre e faticare, ma sempre senza darlo a vedere, è stato costantemente il suo modo di lavorare. Quando l’età e l’esperienza gli hanno consentito di fare il cameriere in tutto e per tutto, allora Ughetto ha acquisito il suo inconfondibile aplomb intrecciando in misura così stretta carattere e professionalità da non riuscire più a distinguere l’Ughetto cameriere e l’Ughetto uomo. Ecco, forse soltanto come tifoso del Calcio Trento, al Briamasco, Ughetto smarriva per un po’ il suo elegante contegno. Il Trento giocava nella allora serie “d” con memorabili derby contro il Bolzano e il Rovereto. Lì si poteva sentire il suo memorabile urlo-invito ai giocatori (gli aquilotti) “Forza Trento ché l’è ora” (di impegnarsi e fare gol, ndr) incoraggiamento che assieme a un suo amico e tifoso, aggrappati entrambi alle rete metallica di protezione, indirizzava ai giocatori beniamini.

L’ultima sua vera ultima fatica, se si esclude l’aiuto del tutto sporadico e casuale che dieci anni fa ha dato alla figlia Gabriella nel suo bar in via Manci, è stata quella di gestore del “da Ughetto” in via Roggia Grande (non poteva chiamarsi diversamente) nei locali che poi sarebbero diventati l’Old Bar. Lui che ha sempre vissuto tra la gente, lui che in cinquant’anni ha servito quattro generazioni di trentini e, nelle grandi occasioni, illustri fascisti e democratici, portaborse e boiardi di stato, industrialotti, attori di gran lombi, lui, rimasto vedovo venti anni fa, ha dovuto combattere con la solitudine, il suo grande male. Eppure, nonostante ciò, era vestito sempre di tutto punto, pettinatissimo, baffetti grigi inappuntabili abito blu, camicia bianca con cravatta. Il passo, quello sì, era un po’ appesantito. Chissà quante centinaia di chilometri ha percorso con piatti e bicchieri da portare ai commensali. Chissà con quale scrigno di ricordi, che la deontologia gli ha reso inconfessabili, se n’è andato. Mai ha voluto raccontarne uno, mai ha mandato a quel paese un cliente. Ha sempre detto “signorsì”. Ma una volta commentò: “Ho sempre ubbidito. Molto meglio, però ubbidire e fare contento un cliente, anche se molto maleducato, piuttosto che ubbidire ad un ufficiale in guerra che ti ordina di sparare”. I funerali domani alle 15 al cimitero di Trento."  (dal quotidiano "Trentino", 1 maggio 2012)

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