lunedì 11 marzo 2024

Il mercato del pesce fresco nella vecchia Bolzano

Il pesce fresco si vendeva ai Fischbänke, i banchi del pesce, in pietra e situati all'aperto; qui si trovava il pesce vivo appena tolto dall'acqua.
Si trovano dove termina la Piazza delle Erbe, all'imbocco di Via Streiter. Per quanto riguarda la merce, si trattava di pesci d'acqua dolce, in primis di trote (Forellen in tedesco) e di carpe (Karpfen). Che venivano comprate praticamente vive, per essere poi cucinate in casa. Oggi questi banchi del pesce sono insidiati dall'invadenza dei mercatini di natale e dal kitsch dei localini trendy.

La raffinata vasca in pietra alimentata con acqua corrente è situata in fondo
alla serie dei quattro banchi di vendita. 
Il Fischkalter (letteralmente "pesce freddo", pesce fresco) veniva venduto ai Fischbänke (i banchi del pesce) del mercato all'aperto cittadino da secoli e secoli, almeno fin dalla seconda metà del '400.
Nel suo aspetto attuale questa sezione del mercato pubblico risale però agli inizi dell'800.
La vasca con fontana è del 1830, decorata con pesci intrecciati, era destinata allo stoccaggio dei pesci vivi per poterli conservare dopo la cattura e fino al momento della vendita, che avveniva sui vicini banchi di vendita in pietra viva (Fischbänke).
👉Questi banconi di vendita in pietra sono rimasti attivi fino agli anni Settanta del Novecento. Erano funzionali e igienici, anche considerato che lavoravano in stretta unione con la Fischkalter, la grande vasca con fontana dove i pesci venivano conservati vivi e in acqua corrente. La pietra viva dei banchi di vendita sopportava senza scomporsi, estate e inverno, le più energiche lavature e pulizie sotto ogni condizione meteo.

Endlich bist tu im Urlaub, e la perla urbanistica viene ingoiata da un localino trendy, un trappolone per turisti, chi se ne frega di tutto il resto: fare cassa qui, ora, subito, adesso. I banchi in pietra non si vedono neppure più? Per questo l'assessore si gira dall'altra parte...

martedì 5 marzo 2024

Il confine di Martincelli in Valsugana (1866-1918)

Restò lì 52 anni: dal 1866 (III guerra di indipendenza, quando l'Austria perse il Lombardo-Veneto) al 1918 (WW1, quando perse il Trentino).
Il confine di Martincelli guardando in direzione Trento in una cartolina del 1918 ed oggi (Google View). In entrambe le foto si distingue la vecchia targa che l'impero austroungarico poneva ai suoi confini. Martincelli si trova tra Tezze e Primolano, in sinistra Brenta. La cartolina è del 1918 e  vi compare anche la ferrovia, che in questo tratto venne ultimata ed entrò in servizio nel 1910.
La barra confinaria austriaca, situata lungo la strada risalente all'epoca napoleoni-
ca (poi S.S. 47 della Valsugana ed infine, dopo l'apertura dei nuovi tratti allargati,
declassata a strada provinciale). Il luogo è ancora perfettamente riconoscibile.
Dopo la perdita del Veneto da parte dell'impero austriaco (1866) in Valsugana comparve un nuova linea di confine che tagliava in due la valle separando la parte trentina (che rimaneva austriaca) dal quella veneta (passata al giovane Regno d'Italia).
👉Nel fondovalle il nuovo confine incrociava la strada della Valsugana in una località minore che si trovava presso Primolano e che si chiama Martincelli, che divenne così l'ultimo nucleo abitato in territorio austriaco, mentre Primolano diventò l'ultimo centro importante in territorio italiano.
La tabella confinaria in uso nell'impero austroungarico di Cecco Beppe è stata ripristinata nel 2015. In basso vediamo i binari della ferrovia della Valsugana, che ovviamente nel 1866 non c'erano ancora.


venerdì 1 marzo 2024

La trattoria di Anonimo Veneziano a Dorsoduro

Si chiama "Antica Locanda Montin" e il suo ingresso si affaccia sulla stretta Fondamenta de Borgo, che è fiancheggiata dal Rio de le Romite.
L'ingresso è al civico 1147 ed è abbastanza modesto da sfuggire ai distratti. Il canale prende il nome dal dirimpettaio convento delle Eremite Agostiniane. Conosciuta e frequentata da una multiforme clientela di artisti, intellettuali e politici del Novecento.


Il giardino interno è diventato famoso perché vi è stata girata una scena del film "Anonimo veneziano"  con Florinda Bolkan e Toni Musante ed è indubbio che si tratta di una location piena di fascino.


L'interno col colpo di luce dell'ingresso affacciato sul Rio de le Romite.
Ecco il cortile interno, spazioso e profondo eppur raccolto. Un raffinato dandy de-
cadente quale era Gabriele D'Annunzio non poteva non notarla, ed infatti nel suo
articolo "Un itinerario bacchico" scrive: "Cerca su la Fondamenta dietro l'Acca-
demia il giardino del Montin ornato di pergole..."
.
L'interno è scuro e profondo,  si spinge in avanti facendosi largo nel compatto tessuto edilizio veneziano per sboccare in un altrettanto profondo cortile interno che sa di misterioso ed di intimo, protetto da discreti pergolati che schermano la frenesia cittadina e lo trasformano in un'isola davvero fuori dal tempo, dove si respira un'atmosfera rilassata e silenziosa, molto veneziana.
Ancor oggi la Locanda Montìn rimane fedele al suo nome: non è una semplice trattoria, ma dispone anche di stanze da letto. Proprio come le locande di un tempo.
Il banco-bar posto all'ingresso.
👉La locanda compare anche in quella che sembra essere stata la prima guida enogastronomico europea, quella "Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Venezia a Capri” scritta dal tedesco Hans Barth, che la enciclopedia Treccani così inquadra: “piacevole causeur, amabilmente epicureo, buongustaio nato a cui era cara ogni buona mensa non meno che ogni ornato e ameno conversare, peregrinò giulivamente per le città e i borghi d'Italia, raccogliendo ricordi e bevendo un sorso a ogni insegna, e, a consumata esperienza, ne trasse un ghiotto libro...". Lo scrittore tedesco dedicò ben due pagine alla Locanda, "L'osteria sbocca in un delizioso giardino con vecchie colonnine, pergolati, giuoco di bocce. Dinnanzi alla luna e al sole splendono le ramerie della cucina governata da Anzola, una rotondità di cuoca inabbraciabile". Gabriele D'Annunzio ne scrisse poi la prefazione alla prima edizione italiana, che uscì nel 1910 (la guida era stata edita in tedesco a Stoccarda nel 1908).

lunedì 26 febbraio 2024

I vinacci "tappo corona" del dopoguerra erano di casa nei rifugi e nelle osterie, bacari e trani a gogò

Le città del nord consumavano una quantità di vini pugliesi "da taglio": nelle osterie, nei bacari, nei trani a gogò (e nei rifugi dell'epoca).
In basso a destra l'inconfondibile dentellatura del tappo-corona. Negli anni del boom economico divenne sinonimo di basso costo e bassa qualità, una cattiva fama che si porta dietro ancora oggi.
La documentazione per il brevetto del 1892 presentato da William Painter.
Ai tempi (quando in montagna ci si andava a piedi) i vini nel rifugio erano grossolani. Sempre tagliati e spesso adulterati, erano accumunati dal famigerato "tappo corona".
La tendenza al "taglio" o - peggio - alla semplice aggiunta di zucchero era risalita lungo le vallate alpine e si era arrampicata fino ai rifugi. Chi non ricorda le bottiglie chiuse dal "tappo corona", quello che oggi si usa solo per le birre, dopo che era diventato sinonimo di bassa qualità nel mondo del vino?
Sotto al tappo e dentro la bottiglia il contenuto era sempre lo stesso: approssimativo, industriale, spesso gaglioffo e sempre a poco prezzo. Era lui che alimentava i ritrovi popolari nell'Italia della ricostruzione post-WW2.
Hanno fatto epoca. Ora si dedicano soprattutto a Coca Cola e birre in bottiglia.
👉Una curiosità storica: fra i precursori di queste mescite popolari a base "pugliese" figurano i bacari veneziani. I tanto celebrati bàcari hanno in realtà poco a che vedere con la mitica Repubblica di Venezia, visto che il primo bàcaro fu aperto a Venezia nel 1850, durante la dominazione austriaca, in Calle de la Dogana da Tera, zona Rialto, da un certo Pantaleo Fabiano, intraprendente venditore di vino pugliese, con il nome di Bàcaro Grande. Vi si mescevano vini di ogni sorta ma in prevalenza un rosso pugliese che sembrava essere particolarmente gradito ai veneziani.
👉La faccenda del vino rosso di puglia, ricco di gradi, si ripetè negli anni del boom economico italiano, quando a Milano comparvero i "trani", osterie e rivendite popolari dove i vini di buon comando erano frutto di importazioni e "tagli" resi possibili dai focosi vini meridionali. La qualità non ne guadagnò, e non fu colpa della Puglia. "Trani a Gogò" é il titolo di una celebre canzone di Giorgio Gaber. Il nome "trani" viene da Trani, centro vinicolo pugliese.
👉A fine Ottocento la Rivoluzione Industriale aveva toccato anche le botti, le damigiane e le bottiglie. Il nuovo tappo brevettato dall'Ing. Painter nel 1892 era semplice e poco caro da produrre. Una base di metallo, un dischetto di sughero per garantire ermeticità ed evitare la fuoriuscita del liquido e una pellicola che a sua volta ricopriva il dischetto per sigillare il tutto. Gli strati di materiale servivano a far sì che la bevanda non entrasse in contatto con il metallo.

mercoledì 21 febbraio 2024

Strudelone salato imbottito con bietole e ricotta

In Friuli si chiamerebbe "strucolo": pasta sfoglia (della Coop) spalmata di bietole lesse, ricotta e grana; avvolta su sè stessa e messa nel forno.
strucolo biete e ricotta
E' un semplice arrotolato di pasta sfoglia imbottita con un mix di bietole lesse, ricotta e grana grattugiato. Può sembrare una grossa e "chiatta" palacinca salata ma a casa sua è percepito e descritto come uno strudelone salato avvolto nella pasta sfoglia.
strucolo
La pasta sfoglia viene arrotolata su sé stessa dopo essere stata cosparsa con lo
spesso strato di imbottitura.
E' più uno strudel che una palacinca. Infatti non è confezionato con la pastella semiliquida fritta in padella come avviene con le palacinche, ma con una pasta foglia cotta al forno. Fa dunque parte della tribù degli strucoli.
biete e ricotta
Il ripieno composto di bietole bollite, ricotta e grana grattugiato.
👉L'impasto: la base non è una pastella di latte-farina-uova e non viene cotta friggendola in padella come succede per le palacinche, ma è fatta con la pasta sfoglia della Coop, che poi viene passata al forno dopo essere stata imbottita con un mix di bietole e ricotta.
👉Il ripieno: le bietole congelate vanno bollite in acqua e sminuzzate con la forchetta. Per ogni 250 grammi di bietole bollite e smazzate aggiungere 250 grammi di ricotta e una bella spolverata di formaggio grana grattugiato. Mescolare con cura.
La pasta con il ripieno va arrotolata su sé stessa e messa nel forno elettrico ventilato a 180°. Controllare la cottura a occhio: quando la superficie è dorata ma non scottata vuol dire che il rotolo è pronto.
Ancora lo strucolo di biete lesse e ricotta, ma questa è una piccola variante perché le biete lesse e la ricotta sono state stese a strati, anzichè mescolate fra loro. Prima la ricotta e sopra le biete lesse. E senza il grana grattugiato.


venerdì 16 febbraio 2024

Trento 1890: e arrivarono i lampioni elettrici...

Grazie alla nuova centrale di Ponte Cornicchio (dove la Fersina sbocca in città) la luce elettrica soppiantò il gas nell'illuminazione pubblica...
Trento, che faceva parte dell'Austria-Ungheria, fu la prima città della penisola ad avere la portentosa innovazione. New York era stata la prima al mondo nel 1882, la rumena Timisoara giunse nel 1884 e fu la prima in Europa. Qui sopra la statua di Dante con la vecchia stazione ferroviaria e il vecchio Hotel Trento illuminati dalle nuove lampadine elettriche ad incandescenza in una cartolina dell'epoca.



Il torrente Fersina al suo ingresso in città, in località La Busa. Sulla destra le opere
idrauliche di servizio alla centrale elettrica i cui macchinari si trovano dentro l'edifi-
cio con la bassa torretta. Foto presa dal Ponte Cornicchio.
Nel 1886 il Consiglio comunale di Trento aveva deciso, dopo molte polemiche, di costruire una innovativa centrale idroelettrica destinata ad alimentare la rete di illuminazione pubblica e ne affidò la progettazione ai propri uffici tecnici, diretti dall'ing. Annibale Apollonio (1848-1915). I lavori iniziarono nel 1887 e durarono tre anni.
👉La centrale di Ponte Cornicchio entrò in servizio il 1° giugno 1890 e quella sera Trento ebbe l'illuminazione pubblica elettrica: fu la prima città italiana a godere di questa realizzazione.
La X rossa indica il cortile della centrale. Oggi fa parte della rete elettrica nazionale.
👉La centrale era alimentata da un canale lungo 750 metri che derivava
l'acqua del torrente Fersina poco distante da Ponte Alto e la convogliava in un serbatoio a San Donà, da dove precipitava in una condotta forzata fino alla centrale realizzata accanto al Ponte Cornicchio. Nell'edifico della centrale, tutt'ora esistente, venne installato un generatore di corrente continua della potenza di 600 cavalli vapore circa. La centrale è stata più volte rifatta e riammodernata. Nota: non era stata ancora definitivamente risolta

sabato 10 febbraio 2024

Un hamburger di pasta da luganega e "pan onto"

L'impasto da salsiccia spadellato e infilato nel pan onto valsuganotto.
Mangiare in montagna
Dopo aver scottato in padella i medaglioni di pasta da luganega, si riscaldano nella piastra elettrica le due metà di un pan onto e poi si aggiunge la senape dolce, che è poi l'unica che uso, perchè la tanto celebrata senape di Digione mi sembra davvero troppo focosa.

I medaglioni di pasta da luganega (pastìn in Veneto) li ho scottati in padella per pu-
ra pigrizia e cioè per evitare il freddo e l'umido del barbecue all'aperto. Perchè in o-
gni caso bisognava liberarsi dell'eccesso di grasso.

Prima di tutto i medaglioni di pasta da luganega vanno ripassati sul fondo di una padella antiaderente e lì "ripassati" brevemente scottati finché non la piantano di spurgare grasso.👉Un paio di minuti prima della fine del ripasso in padella ho poi tagliato a metà i panini e li ho sistemati a riscaldarsi fra le due ganasce della comoda piastra elettrica, così non fanno unto, e poco o quasi niente fumo (il che è un buon modo per levarsi del barbecue nei freddi mesi invernali).
Mangiare in montagna
La pasta da luganega sistemata fra le due metà di un pan onto veneto, con qualche visibile traccia di senape dopo i primi morsi.