giovedì 23 aprile 2015

Partigia

Ebrei in fuga, renitenti alla leva, studenti ribelli, anarchici insofferenti, militari sbandati, antifascisti di vecchia data, azionisti, trotzisti, semplici balordi e qualche comunista doc.
Il titolo del libro di Sergio Luzzatto riprende quello di
una poesia di Primo Levi, che fu catturato dai fascisti
proprio al Col de Joux. L'ho utilizzato per costruirmi
una mappa di appunti per un eventuale giro estivo nella
valle che porta alla Testa Grigia.
Sono i partigiani della prima ondata, quelli fuggiti in montagna subito dopo l'otto settembre, carichi di rivolta e paure ma ben decisi a non farsi prendere, più ribelli che idealisti, più vitali che riflessivi, più incazzati che duri e puri, ingenui quanto basta per lasciarsi infiltrare fin dai primi giorni dalle spie fasciste di Salò. Fra loro anche quelli che avevano "deragliato dall'etica partigiana rendendosi responsabili di estorsioni ai danni dei valligiani".
Sono i "partigia", che Sergio Luzzatto vorrebbe descrivere senza retorica, attraverso un minuto lavoro di ricostruzione storica, nella loro evoluzione da ribelli a partigiani, senza nascondere nulla, neanche i "deragliamenti dall'etica partigiana" di chi s'era reso responsabile di estorsioni ai danni dei valligiani.
Siamo in Val d'Aosta e all'inizio l'oggetto del libro sembra riguardare le due bande salite dalla pianura sui prati alti di qua e di là del Col de Joux, una specie di "studio di caso", insomma.
👉Ma poi, quando allarga la visuale, Luzzatto sembra imboccare il sentiero scivoloso dell'"equidistanza" fra simpatie resistenziali e attrazioni fatali per le sirene revisioniste alla Pansa (che pure cita). E anche se l'equilibrismo - talvolta acrobatico - sembra più un dazio pagato alle mode qualunquiste fiorite nell'ultimo ventennio che frutto di riflessioni profonde, lo sconcerto rimane. Ma tant'è: prendere o lasciare, questo è quanto passa il convento della storiografia più recente. Peccato, perchè il titolo sembrava suggerire un taglio capace di mordere l'argomento, ma se tutto si riduce a un "anche fra i partigiani c'era qualche coglione" allora tanto vale leggere l'originale, cioè Pansa. Pur con tutto ciò, il libro merita comunque d'esser letto, se non altro per capire come il disincanto e il culto del "distacco" possa fare velo al riconoscimento delle responsabilità storiche. Così,  le parti più interessanti rimangono quelle dove, finita la guerra,  l'autore ricostruisce le singole vicende personali di quel gruppo di ebrei torinesi ch'era salito in montagna nell'autunno del '43. (e quelle dell'infiltrato fascista Egidio Cagni, che la fece franca e che col prefetto saloino Cranazzi attrae le simpatie di Luttazzo).

La banda di Arcesaz era acquartierata nelle baite presso il Castello di Graines e quella di Amay faceva base alle casupole della malga di Frumy.

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