Da qui austriaci e italiani monitoravano le prime linee di fondovalle in quel cruciale autunno del 1917, ai tempi del "fatto di Carzano", cioè un anno dopo la Strafexpedition e appena un mese prima di Caporetto.
Tra i due edifici si indovina la piccola elevazione boscata che ospita le caverne di guerra del Sasso Gambarile. Più indietro, il proibitivo orlo dell'Altipiano di Asiago. |
👉Dopo qualche sospetto, i primi allarmi verso le linee austriache partirono dal vicino Monte Civerone e dalle sue fotoelettriche, i potenti fari capaci di illuminare a giorno la terra di nessuno tra i torrenti Maso e Chieppena, che andava da Carzano fino alla confluenza dei due corsi d'acqua nel fiume Brenta.
👉Di contro, grande deve essere stata invece la preoccupazione diffusasi tra gli avamposti italiani, praticamente vis-a-vis con l'Austriaco, ormai messo in allarme.
👉Di contro, grande deve essere stata invece la preoccupazione diffusasi tra gli avamposti italiani, praticamente vis-a-vis con l'Austriaco, ormai messo in allarme.
Al momento del "fatto di Carzano" il Sasso Gambarile si trovava nella primissima linea del fronte, giusto di fronte al Monte Lefre e con vista completa sul teatro del tentativo di sfondamento notturno concertato fra il tenente austriaco Pivko e il co- lonnello dei servizi italiani Pettorelli Lalatta, un personaggio che due anni più tar- di ritroveremo a Fiume implicato nel tentativo eversivo capitanato da D'Annunzio.
Vedi le altre foto in Google Foto.
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Panoramica verso i Lagorai dal belvedere del Sasso Gambarile, che si trova giusto di fronte all'osservatorio italiano del Monte Lefre. Strigno e i centri abitati attorno a Castel Ivano erano in mano italiana, così come l'abitato di Spera. Nella piana alluvionale compresa fra il torrente Maso (che scende dalla Val Calamento) e il torrente Chieppena (che scende da Bieno) correvano le primissime linee contrapposte, con le loro postazioni di sentinelle avanzate. Carzano era già in mano austriaca. |
Per arrivare occorre passare sotto a un paio di conifere abbattute, ma è questione da poco.
Visitato le gallerie basse (facendo attenzione a procedere
curvi, perché l’altezza delle stesse non è gran cosa: meglio usare un elmetto
da roccia o da cantiere per evitare fastidiosi mal di testa – indispensabile
una pila), torniamo sui nostri passi fino al bivio e saliamo alla Sella del
Sasso dove troviamo le gallerie alte e, sopra di esse un Belvedere degno di
tale nome. Per raggiungerlo, arrivando in coppa al Sasso direbbe un napoletano,
si segue un ripido sentierino (pochi metri) munito di robusto cordino metallico
utilissimo, specie in discesa. La vista sulla valle val bene la fatica e comprende
una bella fetta di Lagorài fino alle propaggini del Sottogruppo delle Cime di
Rava con davanti il M. Lefre per concludersi con il paese di Ospedaletto
sovrastato dalle verticali pareti di Cima la Presa, del M. Mezza e del M.
Cismon.
Alle spalle del Sasso c’è una selletta (segnavia Prà dei
Pezi) con un paio di robuste panchine, un sentierino che precipita verso il
basso a zig-zag e un’altra galleria di guerra che si può visitare.
In teoria si potrebbe scendere sull’altro fianco del costone
con il sentiero a stretti tornanti, raggiungendo una strada forestale che
scende all’agritur Prà dei Pezi. Qui poi bisogna proseguire con un buon tratto
d’asfalto fino in Oltrebrenta e quindi all’auto. Chi scrive ha deciso di
tornare con il tragitto fatto in precedenza (mai lasciar la vecchia via per la
nuova, meditate gente meditate), infatti, scendere correndo il rischio di
trovare il percorso impercorribile a causa degli alberi schiantati e quindi
esser costretto a risalire, non mi è sembrato una grande idea. Infine la mia
voglia d’avventura, ormai usurata dagli anni e da un fisico boccheggiante, era
ai minimi storici per cui ho volentieri ceduto alla prudenza tornando a valle
con il comodo percorso dell’andata."
Note storiche
Il Sasso Gambarile, situato sulla destra idrografica del fiume Brenta, è un roccione isolato, un tempo denominato “il Dito” a causa della sua forma. Il nome attuale è quello dell’ufficiale del Regio esercito Italiano che, durante la 1ª guerra mondiale diresse i lavori di fortificazione.
Il Sasso Gambarile, situato sulla destra idrografica del fiume Brenta, è un roccione isolato, un tempo denominato “il Dito” a causa della sua forma. Il nome attuale è quello dell’ufficiale del Regio esercito Italiano che, durante la 1ª guerra mondiale diresse i lavori di fortificazione.
Il Sasso Gambarile ebbe un importante ruolo dopo la
Strafexpedition, infatti, la prima linea italiana, si distese lungo il costone
che finisce su quest’altura, che divenne il caposaldo principale del sistema
difensivo in destra Brenta. Furono costruiti caverne per il ricovero delle
truppe e il deposito di materiali, postazioni per mitragliatrici e artiglierie,
una stazione per riflettori e delle trincee. Si era anche fornito il caposaldo
di due generatori per la corrente elettrica, un impianto idraulico, e un centralino
telefonico per le indispensabili comunicazioni. Il caposaldo inoltre ospitava
la sede del comando del battaglione che presidiava il settore. Infine un
camminamento coperto permetteva il collegamento con il trincerone di
Ospedaletto, mentre nel bosco, a est della prima linea, sorsero baraccamenti
per cucine, dormitori e magazzini, nascosti alla vista del nemico dalla
vegetazione.
Quando l’Italia entra in guerra, il 24 maggio del 1915,
l’esercito Austro-Ungarico era già impegnato da un anno di conflitto con Serbia
e Russia. A causa di ciò le forze imperiali nel Trentino avevano serie
difficoltà a contrastare un’avanzata italiana e quindi preferirono arretrare su
posizioni che offrissero più possibilità di difesa e minor numero di soldati. Fu
così che in Valsugana si scelse uno schieramento che passava dai laghi di
Caldonazzo e Levico per poi salire lungo la linea di cresta del Gruppo del
Lagorài arrivando fino al Passo Rolle.
L’avanzata dell’esercito Italiano in Valsugana avvenne con
tale lentezza da permettere agli Austro-Ungarici non solo di migliorare le loro
difese, ma anche di rioccupare delle posizioni strategiche già abbandonate e
fermare l’avanzata pochi chilometri a ovest di Borgo Valsugana.
Un anno dopo, maggio 1916, l’esercito
imperiale sferrò l’Offensiva di Primavera (passata alla storia come
“Strafexpedition”, Spedizione punitiva) cercando di sfondare la fronte degli
Altipiani per dilagare poi nella pianura veneta. In Valsugana furono condotte
dagli austriaci solo azioni di disturbo per impedire l’afflusso di rinforzi
sull’Altopiano. L’effetto di queste azioni, che gli austriaci non si
aspettavano, fu un forte arretramento dell’esercito italiano che si distese da
Ospedaletto su alle Cime di Rava. Tale situazione rimase pressoché invariata
fino all’autunno del 1917 quando, dopo Caporetto, l’esercito italiano dovette
ritirarsi sul Monte Grappa e sul fiume Piave. In seguito a ciò la Valsugana
rimase sotto il controllo degli austriaci fino alla conclusione del conflitto
nel 1918.
Queste in breve le vicende
militari ma la Valsugana visse anche il dramma della popolazione civile,
infatti, furono circa 100.000 gli abitanti che dovettero abbandonare le loro
abitazioni.
70.000 persone circa furono i
profughi verso l’Austria, una parte di questi fu spostata addirittura in Boemia
e Moravia, altri finirono in campi di baracche (le cosiddette “città di legno”)
come a Mittemdorf e Braunau. Nel 1916 i Valsuganotti rimasti nelle zone
occupate dagli italiani, furono a loro volta spostati in varie regioni
dell’allora Regno d’Italia.
Finita la guerra chi riuscì a
tornare trovo solo la devastazione lasciate dai bombardamenti e dagli incendi.
Per tornare a una vita diciamo normale ci vorranno molti anni di duri sacrifici
e pericolose attività: come quella dei cosiddetti “recuperanti”. Uomini che
tornavano sui campi di battaglia appunto a recuperare tutto il possibile, come
il metallo dei proiettili d’artiglieria compresi quelli inesplosi che spesso
causavano incidenti spesso mortali tra i “recuperanti”.
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