Giro facile e vario, assistito dalla funivia e quindi da fare in una giornata feriale. Inizia e termina alla stazione intermedia della funivia di Passo Feudo, in Val di Fiemme.
Vedi le altre foto in Google Foto. |
Dati e descrizioni sono di Gigi, che ci è stato nel 2019.
Gruppo: Latemàr
Partenza e arrivo: Gardonè (1°
Tronco funivia del Passo Feudo)
Difficoltà: E
Dislivello: 710 m
Tempi.
Stazione
funivia–Bivio sent. per Vardàbe: h 0.10
Bivio–ardàbe: h
0,15
Vardàbe –
Baito delle Prese: h
0,45
Baito delle Prese–Baito de Sügadoi: h
1,40
Cartina in scala 1:25.000 del percorso ad anello. Si lascia l'auto al parcheggio a valle. |
Bivio–Baito Pian della Paura: h
0,10
Baito Pian
della paura–Gardonè: h 0,50
Totale : h
4,30
Quote.
Staz. di arrivo Gardonè: m
1650
Bivio Vardàbè: m 1580
Villaggio Vardàbè: m 1498
Bivio per Gardonè e Valsorda: m 1700
Bivio per Baito delle Prese: m 1750
Baito delle Prese: m 1796
Baito de Sügadoi: m 2196
Quota m
2200 circa
Bivio Passo Feudo – Gardonè: m 2100
Baito Pian della Paura: m
2068
Note.
Dal Bivio di quota 2100 si può saltare la, fin troppo, ripida discesa a
Gardonè evitando di scendere al Baito del Pian della Paura e proseguendo verso
il Passo Feudo che si raggiunge in circa h 0,45. Dal Passo, in pochi minuti, si
risale alla seggiovia per il rientro a valle.
Dei tre baiti visitati, i più utili sono senza dubbio quello delle
Prese e dei Sügadoi. Il
primo come eventuale punto di partenza per una traversata in Valsorda; il
secondo in caso di maltempo. Il Bait del Pian della Paura merita una visita più
che altro per i dintorni ma non certo per il pernottamento, anche per la sua
vicinanza alla funivia di Gardonè.
Relazione.
Parto da Trento alle 7 del mattino con il termometro, fuori dalla
finestra della cucina, che segna già 30°; figurarsi a mezzogiorno. È l’ultima settimana di luglio e siamo in
piena ondata di caldo africano, non vedo l’ora di alzarmi di quota.
Arrivo alla cabinovia del Latemàr, subito dopo Predazzo, poco dopo le
8,30; metto lo zaino in spalla e via. La cabinovia mi lascia a Gardonè, bel
posto turistico e “valorizzato” a go-go. Uscito dall’impianto, scendo lungo
l’ampia sterrata che sale dal fondovalle; arrivato a un tornante destrorso, un
cartello indica il sentiero per Vardàbe. Sentiero comodo, con qualche su e giù,
che mi conduce al piccolo villaggio alpino. Scendo a visitare le varie
costruzioni grandi e piccole; nel frattempo arriva un’auto a bordo un signore e
una giovane che, suscitando tutta la mia invidia, entrano in uno dei bellissimi
fabbricati.
Lascio Vardàbe e il suo magnifico panorama sul Lagorài ai fortunati
proprietari di casa e salgo fino a ritrovare un largo sentiero che mi porta a
entrare nel bosco. Non faccio in tempo a pensare come all’ombra del bosco si
sia meglio che il sentiero si trasforma in una ripida rampa, che sale impietosa
mostrando alcuni residui dell’antica pavimentazione di una mulattiera.
Finalmente, raggiunta q.1750, trovo il bivio per il Baito delle Prese
che raggiungo in breve. Il posto è bello e arioso una strada sterrata sale
dalla Valsorda, permettendo il collegamento sia con la Baita Praconè sia con il
Paese di Forno.
Il Baito delle Prese ottimo ricovero è molto spartano all’interno e
ospita solo una branda a doghe che fa già venire il mal di schiena a strisce
solo a guardarla.
Torno sui miei passi e riprendo il sentiero (n° 50, segnavia su un
albero) ancora in salita che, fortunatamente per il sottoscritto, riduce un po’
la sua pendenza. Continuo a salire con parecchie soste tutte le volte che gli
alberi ora diradati mi offrono sollievo dal caldo. Nonostante la quota c’è un
caldo mica da poco, infatti, non sono sudato bensì zuppo di sudore; per fortuna
ogni tanto arriva un po’ d’aria a darmi sollievo, una boccata d’ossigeno per
questo ansimante vecchietto!
Salendo mi fermo spesso a scattare foto perché ora, uscito dalla
vegetazione d’alto fusto, i panorami si sono ampliati divenendo sempre più
godibili.
Finalmente arrivo a un recinto con un tornello, mi viene da ridere
perché mi ricorda un ex ministro (un tipo che invidiava molto Fanfani per la
sua altezza), che aveva fatto dei tornelli un suo pony da battaglia!
Proseguo il cammino sovrastato dalle pareti rocciose dei Mus, la salita
intanto termina e poco dopo avvisto il minuscolo Bait de Sügadoi. Appena arrivo al Baito, con grande
soddisfazione tolgo lo zaino e mi accascio su una panca. All’esterno del Baito ci
sono un piccolo tavolo e la panca dei miei desideri. Posso riposare, bere una
sorsata d’acqua, asciugarmi il sudore, poi buttarmi un po’ d’acqua in testa. Visto
l’interno del Baito che è dotato di un tavolo con panca e un'altra specie di
panca che vorrebbe darsi arie da branda. Al soffitto del piccolo baito ci sono
appesi due materassi e in un angolo una stufa a misura di baito cioè minuscola
anch’essa. Mi sento come Gulliver in una casetta di nani, anche se sono più
largo che alto.
Tirando un respiro di sollievo perché non sono costretto a usufruire
del Baito per la notte, ottimo ricovero comunque in caso di maltempo, riprendo
il cammino sul filo dei 2200 m tra pascoli sassosi e mucche. Seguendo sempre il
sent. 50, che in questo tratto tende a confondersi un po’ sul terreno, inizio a
scendere e arrivo a un bivio, sono ormai sulla verticale del visibile Baito del
Pian della Paura, dove un cartello indica in un’ora il tempo per scendere a
Gardonè e in 45 minuti quello per arrivare al Passo Feudo anch’esso visibile.
Sono curioso di visitare la zona sottostante, quindi inizio la ripida
discesa passando tra una piccola mandria di vacche che mi osservano con i loro
grandi occhi; chissà cosa penseranno di questo bipede sudato e incespicante,
mah meglio non indagare.
Finalmente arrivo al Baito del Pian della Paura. A guardarlo da vicino
non ispira paura ma un certo timore sì, visto che sembra un po’ sbilenco e con
seri problemi di equilibrio. Comunque mi fermo a riposare e butto un’occhiata
all’interno. Scopro un rozzo tavolo in un angolo, poi una stufa carica di anni
e di ruggine, infine guardo con interesse un tavolato coperto da quello che, ai
tempi dell’Impero Austro-Ungarico doveva essere fieno fresco e profumato,
mentre ora sembra più un basso strato di polvere che altro. Sarà la stanchezza
ma mi sembra che quella specie di paglia viva di moto proprio; forse legioni di
minuscoli insetti stanno aspettando speranzosi malcapitati. Non indago oltre e
mi siedo all’esterno e all’ombra. Di fronte a me c’è un pascolo disseminato di
grossi cumuli a cono. Sono il risultato di bonifica di quello che è diventato
ora un pascolo erboso e non più sassoso, ma anche i testimoni di una fatica
mica da poco!
Intanto il tempo passa e mi tocca ripartire, infatti, la cabinovia di
Gardonè chiude alle 17,45 e sarà meglio che mi dia una mossa. Scendo a raggiungere
un largo sentiero che passa accanto ai cumuli sassosi, poi attraversa un
pascolo diventa una sterrata e precipita, senza mezzi termini, verso il basso
con una pendenza che definirla ripida è un gradevole eufemismo. Piantando i
bastoncini con foga, qui è roba da ramponi, e costringendo i miei menischi a
lanciare stridenti urla di dolore arrivo velocemente, per via della ripidità
mica per mia volontà, nei pressi di una grande prato che ospita un paio di
belle baite. Qui mi fermo un attimo ancora intimamente scosso per la discesa,
riprendo fiato poi riparto e in breve raggiungo la strada che sale al Passo
Feudo e la corrispondente pista da sci.
Ora ci sono due possibilità: o seguire la sassosa strada, o la pista da
sci dal fondo erboso ma anch’esso duro come i sassi. Bella scelta: o la padella
o la brace. Decido di seguire la pista da sci solo perché sul lato sinistro ci
sono zone d’ombra. Arrivare fino a Gardonè si rivela essere una vera e propria
tortura per le mie gambe, ormai ridotte a due appendici quasi insensibili a
parte le ginocchia che fanno un male cane.
Riesco ad arrivare alla cabinovia con estrema cautela per evitare di
stramazzare a terra, i turisti che gironzolano nei pressi mi guardano quasi con
sorpresa; mi sa che ho una faccia stravolta che non ti dico. Nonostante tutto
riesco a montare nella cabinovia e scendere a valle; sono sudato, stanco morto
e stravolto. Quando raggiungo l’auto, mi libero dello zaino, cavo gli scarponi
con un gemito di sollievo, prendo un asciugamano e una maglietta pulita e vado
ai bagli. Apro un rubinetto, pregustando la sensazione del fresco getto e
invece … Viene fuori ACQUA CALDA!
Ma che è sto’ scherzo, siamo in luglio, ci sono 30° a 2000 metri e
passa, e qui il rubinetto butta acqua calda; mi viene da piangere!
Mi sciacquo velocemente, poi monto in auto e
vado a trovare una coppia di amici al Miola di Predazzo che, forse commossi
dalle mie condizioni, si offrono di ospitarmi per la notte nel loro grande
divano letto nuovo di pacca: non ringrazierò mai abbastanza.
Nessun commento:
Posta un commento