giovedì 14 maggio 2020

Italia-Germania 4-3 (la partita del secolo vista da un Catinaccio appena uscito dalle nevi invernali)

Fu uno spettacolo al cardiopalma la partita dei mondiali di Città del Messico che si disputò il 17 giugno 1970: si concluse con la vittoria dell'Italia sul filo di lana per 4 a 3, dopo i tempi supplementari.
La conca del Gardeccia in una cartolina d'epoca: "In questo gruppo dolomitico ci
sono più rifugi che pulci su di un cane randagio; non solo, spesso sono costruiti a
ciuffi come al Ciampedìe, o nella conca di Gardéccia"
scriveva l'autore.
Gigi, che è tutto tranne che appassionato di calcio, ne fu solo casualmente sfiorato, ma se la ricorda ancora. Così ce l'ha raccontata nella sua antologia di storie montagnine "Racconti minimi":
"Eccomi a Vigo di Fassa, appena sceso dalla corriera. Salutato il simpatico autista, con il quale ho conversato piacevolmente, raggiungo la funivia. Sbarcato al Ciampedìe mi allontano il più velocemente possibile; il posto è molto bello ma invaso da orde di turisti, molti con radiolina incorporata. Par quasi d’essere a Milano Marittima!
Un fotogramma della partita in questione (nel 1970 la TV era in bianco e nero).
Racconto breve tratto da: Luigi Faggiani, "Racconti minimi", Euredit, Trento 2003.
Lascio la zona scendendo lungo
una specie d'autostrada sterrata, una pista da sci. Giunto ad un bivio prendo a sinistra passando in uno squarcio della montagna, in questo modo stuprata per permettere all’homo turisticus i suoi bambineschi giochi invernali. Proseguo ancora per un tratto sulla ferita causata dalla pista da sci, poi arrivo, finalmente, dove comincia il sentiero. Costeggio una parete di roccia friabile sotto le Pale Rabbiose ammirando la caratteristica Torre Finestra (in lingua Ladina: Crep de Sènt’Uiana).
Attraverso dei pascoli, punteggiati qua e là da placide vacche, attacco la salita ed arrivo davanti al rifugio Roda di Vaèl, posto in posizione veramente stupenda, con una bellissima vista sul gruppo della Marmolada.
Un paio d’anni fa un’altra costruzione, il rifugio Pederiva, è stato costruito a poche decine di metri. In questo gruppo dolomitico ci sono più rifugi che pulci su di un cane randagio; non solo, spesso sono costruiti a ciuffi come al Ciampedìe, o nella conca di Gardéccia. Per un onesto bevitore di birra come il sottoscritto tutto ciò è molto comodo, ma mi pare anche eccessivo.
Proseguo il cammino con il panoramico sentiero del Masarè, passo sopra al rifugio Paolina, costeggio la Roda di Vaèl con la sua fantastica parete verticale, infine arrivo al rifugio Fronza.
La camera che mi ospita è molto piccola, completamente rivestita di legno ormai scurito dal tempo, con una finestrella aperta verso il Latemàr. È bellissima, mi sento al sicuro come in un bozzolo. Ci vorrebbe un bel temporale con lampi e tuoni questa notte; stare al caldo sotto le coperte, mentre fuori c’è il finimondo è una cosa fantastica, almeno per me.
Sistemato le mie cose, scendo da basso aspettando l’ora di cena. Intorno a me una ventina di biondi teutonici ride e scherza; a parte il gestore ed i suoi tre collaboratori sono l’unico italiano. Per mia sfortuna non capisco quasi niente di tedesco, perciò non mi rimane che estraniarmi nella contemplazione delle ultime luci sul Latemàr, uno spettacolo bello e romantico. Finita la cena sorseggio una grappa leggendo, senza troppo interesse, un giornale locale. Non sono per nulla stanco e l’idea di andare a dormire con le galline non mi attira proprio. Intanto noto segni d’agitazione tra i ragazzi tedeschi ed il personale del rifugio senza riuscire a comprenderne il motivo. La cosa sulle prime m’incuriosisce, ma poi riprendo la mia solitaria lettura senza badare agli altri.
Dopo non molto arriva il gestore del rifugio e mi chiede se anch’io voglio vedere la partita. «Partita, quale partita?» domando sorpreso. Il gestore mi guarda come se fossi un marziano e, come se non credesse alle sue orecchie, sbotta: «Ma come quale partita, ma Italia-Germania, quale sennò». Ricordo allora che, in Messico, sono in corso non so bene quali campionati ai quali partecipa anche la nazionale italiana. La cosa sinceramente mi è del tutto indifferente, ma giacché sembra essere cosa di capitale importanza e non ho sonno accetto l’invito.
Siamo tutti assiepati in cucina, davanti ad un piccolo televisore in bianco e nero. Seduti in prima fila il gestore con i suoi collaboratori, quindi tutti i vocianti tedeschi, buon ultimo il sottoscritto che si ritaglia un angolo, sedendo sopra ad un tremolante tavolino, accanto alla porta.
La partita ha inizio e lo spettacolo deve essere appassionante, almeno a giudicare da come si comportano tutti quanti. L’unico tranquillo, ed ovviamente fuori posto, sono io che di calcio non capisco un accidente. Naturalmente nessuno s'interessa di me, quindi posso osservare il comportamento degli astanti con tutto comodo. È veramente divertente devo dire: il gestore, passandosi in continuazione una mano nei capelli, si dimena sulla sedia come sui carboni ardenti, un ragazzo sposta il didietro mimando le mosse dei calciatori, una ragazza saltella impaziente e lo spettacolo dei suoi seni sodi, appena velati da una leggera maglietta di cotone, magnetizzano il mio sguardo per un bel po’. Saprei ben io come passare in modo più piacevole la serata, altro che partita! L’appassionante spettacolo, quello delle tette intendo, s’interrompe quando la bella nordica s’incunea tra i suoi amici per meglio vedere la TV. Con un sospiro riprendo le mie tranquille osservazioni.
Improvvisamente i tedeschi sembrano letteralmente saltare in aria urlando come pazzi, mentre il gestore, alzando mani ed occhi al cielo, sbraita qualcosa che non sento bene ma indovino essere una frase non molto gentile, anzi! È tutto proprio molto divertente, secondo cosa succede alla TV i corpi si protendono, si contorcono in pose quasi plastiche, intanto un’intera enciclopedia di gesti osceni passa sotto i miei occhi attenti. Anche in parolacce, democraticamente alternate in italiano e tedesco, si abbonda senza alcuna remora. Il bello è che sono proprio le ragazze ad uscirsene con battute colorite, tanto per usare un eufemismo. I ragazzi in confronto hanno ancora da imparare parecchio; dovrebbero lavorare con più fantasia.
Passa il tempo e comincio ad annoiarmi, allungo il collo e seguo la partita. Devo dire che pur non capendo nulla del gioco, le alterne fortune delle due squadre cominciano ad incuriosirmi, ma poi sono nuovamente distratto dal riapparire della bella valchiria dai seni ballerini.
Improvvisamente cala il silenzio, nell’aria s’avverte una tensione a dir poco spasmodica, tutti gli sguardi sono magneticamente fissi sul piccolo schermo, il radiocronista sta tirando fuori l’ultimo filo di voce; mi sa che se continua così gli prende un colpo secco! Infine la prima fila si lancia verso l’alto e un paio di seggiole cadono a terra; il personale del rifugio sembra impazzito, mentre il gestore continua a ripetere ossessivamente: « 4 a 3 – 4 a 3 – 4 a 3». Al contrario i tedeschi borbottano sottovoce o sono assolutamente zitti, molti hanno espressioni cupe, qualcuno truce. Faccio un rapido conto accorgendomi che loro, i tedeschi, sono quattro volte più di noi; speriamo che siano veri sportivi. In ogni caso mi accosto alla porta; così se la discussione si facesse troppo animata avrò modo di attenermi al vecchio detto: «Quando infuria la battaglia, il più dritto se la squaglia!». Naturalmente non succede nulla e i ragazzi lasciano la cucina mugugnando mentre gli altri, i “vincitori”, almeno credo si sentano così, rimettono in ordine il locale con allegria. Mah! Il mondo è bello perché è vario.
Il giorno dopo, di prima mattina, mi avvio lestamente salendo al rifugio Santner dove mi fermo a bere un caffè, chissà perché tutti parlano della partita di ieri. Inizio la discesa ammirando torri e pareti ed arrivo al rifugio Vaiolét. Il tempo di scattare qualche foto, un po’ di riposo e poi via di nuovo: Passo Principe – Passo Antermóia – rifugio Antermóia. Qui mi fermo a mangiare un panino e bere una birra; uscendo per rimettermi in marcia colgo qualche frase del dialogo di un paio di clienti: « un 4 a 3 fantastico ».
Alla testata della piccola Val di Dona, una vera perla, incontro dei pastori con i quali scambio due chiacchiere, poi raggiungo un vicino crinale da dove ammiro estasiato la grande Val Durón, dominata dal gruppo del Sassolungo. Calo velocemente di quota e, giunto a fondovalle, continuo fino al rifugio Micheluzzi. Le mie gambe ormai si rifiutano di continuare per questo decido di fermarmi per la notte, dopotutto ho impiegato dieci ore per arrivare qua. La giornata è stata splendida ed intensa, ho visitato posti nuovi però adesso sono stanco ed ho fame. Durante la cena ascolto le chiacchiere provenienti dalla cucina: « 4 a 3 ». Mamma mia! Parlano ancora della partita, sta diventando un incubo.
La mattina seguente mi alzo con comodo, faccio colazione e mi rimetto in cammino scendendo con calma a Campitello di Fassa. Arrivo giusto in tempo per contemplare la corriera allontanarsi, ormai irraggiungibile. Bel colpo! Adesso non posso far altro che provare con l’autostop o attendere il torpedone successivo. La prima ipotesi l'elimino subito, mai avuto fortuna con l’autostop. La corriera successiva passa solo dopo molto tempo ed allora entro in un bar: tutti parlano della partita.
Esco subito e mi avvio a piedi raggiungendo la fermata dopo. Così di fermata in fermata, arrivo nuovamente a Vigo di Fassa dove prendo la corriera, ovviamente anche qui si discute della partita!
Finalmente eccomi a casa, sono solo. Splendida situazione che, poco alla volta, fa sparire dalla mia testa quell’ossessivo: «4 a 3 – 4 a 3 – 4 a 3»".

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