lunedì 24 maggio 2021

Notte di tuoni e fulmini ma dentro al sacco a pelo

"Temporale – Anni ’70", dentro il bivacco Roberti, in Presanella...
Il racconto di Gigi é ambientato al bivacco "Vittorio Roberti di Castelvero" lungo la via di salita a Cima Presanella per chi viene dal versante della Val di Genova. La foto é degli anni Ottanta, come i colori lasciano ben intendere.

Il bivacco Roberti, che nacque come rifugio alpino, in una foto d'epoca.
"Sono partito da Trento con l’intenzione di passare una giornata distante dal rumore, dai gas di scarico e quant’altro. Ho bisogno di silenzio, d’aria, di profumo d’erba, di scorgere il camoscio vigile e scattante, ma soprattutto di solitudine.
Percorro la Val Rendena imbocco la Val di Genova e, poco prima delle famose cascate di Nardìs, lasciata l’auto inizio a salire nel bosco. Procedo tra conifere, faggi e qualche betulla, pensando al fascino tutto suo di questa valle, in specie fuori stagione; non ancora invasa da schiere urlanti ed auto puzzolenti sembra un altro mondo. Salgo con fatica, ma felice nel sentire gli scarponi fare presa sul terreno. Intanto l’odore del bosco impregna le narici, suoni vitali e sconosciuti mi accompagnano, mentre le acque invisibili del torrente corrono, balzano, spumeggiano, cantano allegre per me, facendomi compagnia. Continuo a salire, passando tra grossi massi ed antiche frane, ascoltando il rumoreggiare del torrente Nardìs che scorre poco distante.
Giunto a Malga Nardìs mi fermo a riposare osservando i dintorni; abbondanti chiazze di neve ricoprono il terreno circostante. Per qualche strana associazione mentale ricordo le lenzuola stese ad asciugare sui prati in un tempo ormai lontano. Il sole va e viene, parzialmente oscurato dal veloce passaggio di nuvole. Mi scopro intento a fissare quelle forme in movimento; indago la possibile somiglianza con visi umani, figure astratte oppure animali fantastici. Belle le nuvole! Disegnano ombre sul terreno e rendono le chiazze di neve quasi grigie, sembra vogliano rendere tutto più vivo e mobile.
Un po’ controvoglia rimetto lo zaino in spalla e mi avvio. Il sentiero si snoda verso l’alto, lo seguo incontrando alcuni alberi, che recano sui loro tronchi la traccia scura della violenta azione del fulmine. Supero dei ruscelli gorgoglianti, rimango sempre stupito dalla ricchezza d’acqua di queste montagne, poi riesco a scorgere lassù in alto la mia meta. Il cielo intanto si è coperto di spesse nuvole scure che non promettono nulla di buono e, inconsapevolmente, allungo il passo. Infine mi affretto, infatti, ho notato come i peli delle braccia si rizzano carichi d’elettricità; segno inequivocabile del temporale, violento, ormai vicino. Finalmente, con il fiatone, arrivo al sicuro e mi abbandono su di una panca.
Quando il respiro torna normale esco ad osservare i dintorni ma non c’è molto da vedere, ormai le basse nuvole hanno già inghiottito tutto. Solo per poche centinaia di metri, intorno al bivacco, si distingue il terreno ancora ricoperto da un candido manto, più in là nebbia e neve si uniscono formando una coltre impenetrabile e silenziosa.
Rientro infreddolito e comincio ad armeggiare con la stufa, per fortuna c’è della legna tagliata in pezzi grossolani. Salendo ho raccolto una fascina di legna minuta che, poco per volta, si è ingrossata fino a pesare un po’ troppo. Per mia fortuna sono riuscito a non cedere alla tentazione di alleggerire il carico; credo proprio che avrò bisogno d’ogni fuscello. Accesa la stufa scaldo le coperte e mi preparo una branda, quindi mi dedico alla preparazione della sontuosa cena che mi sono portato: una borraccia d’ottimo vino, un bel pezzo di pane casereccio, una gran porzione di frittata alle cipolle ed infine delle splendide, rosee, profumate fette di mortadella.
Il tempo, pur rimanendo brutto, è cambiato: non più atmosfera carica d’ozono e d’elettricità, ma folate di vento e qualche piccolo fiocco di neve. Incredibile come cambiano le condizioni atmosferiche in montagna, poco prima sembrava si dovesse scatenare il diluvio universale con tuoni e fulmini, ora invece c’è vento e neve. Un forte rumore improvviso mi scuote: un tuono, forte e prolungato, rotola verso valle rimbalzando tra le cime, subito dopo ecco il fragore del fulmine, secco, potente e vicino, molto vicino. Guardo fuori della piccola finestra ma il buio è totale, in compenso ecco farsi avanti il sibilo del vento ed il tamburellare della pioggia. Una bufera in piena regola, il tempo è proprio un gran pazzerellone! Chiudo la porta ed assicuro le imposte della finestra, lasciandone una parzialmente aperta per vedere la luce saettante dei fulmini. Carico la stufa e mi ficco in branda sotto le coperte, al sicuro, godendomi l’infuriare degli elementi. È fantastico starsene al calduccio mentre fuori la sarabanda di tuoni, fulmini, vento e pioggia sembra voler percuotere il mondo. Ascolto lo scrosciare della pioggia; è un suono martellante ma con un ritmo che tiene compagnia, aspetto l’assordante rombo del tuono preparandomi poi alla tremenda scarica del fulmine che, per un istante, illumina il bivacco. Tutto ciò mentre la stufa spande tranquilla il suo calore ed il colore rosso delle braci attira lo sguardo; ho lasciato apposta lo sportello del fornello mezzo aperto, per godere della danza del Dio fuoco. È un Dio assai potente, le sue schiere fiammeggianti salgono vibranti, cambiando forma e colore, tutto bruciano e distruggono regalando a noi mortali la sopravvivenza.
Sono felice nel mio bozzolo di coperte, mi sento sicuro e caldo mentre all’esterno infuriano gli elementi, aspetto con ansia il rimbombo del tuono ed immagino sia il potente martello del nordico Thor lanciato contro il malvagio Loki, la vergogna degli Dei. I fulmini si susseguono con il loro rabbioso urlo sfrigolante, ed ecco, all’interno del bivacco, per un breve attimo, luci ed ombre, nitide eppur confuse, creare forme fantastiche e sfuggenti. Lo scroscio della pioggia è continuo, quasi monotono, intervallato solo dal cambiamento di tono causato dal vento che s’infrange, violento e rabbioso, contro la piccola ma robusta costruzione eretta da quello strano essere chiamato uomo. Sibila, urla, cerca spiragli, vie solo a lui praticabili per entrare, spalancare, spazzare via quel piccolo ammasso di sassi ben squadrati, quel tenero tetto di lamiera tenacemente incatenato dall’arte dell’uomo. Ma a nulla servono i suoi sforzi, solo le urla ed i sibili indicano la sua gelida ira. Mentre fuori tutto questo si sussegue prima cedo alla sonnolenza, piccolo essere appallottolato nel sicuro rifugio, poi scivolo nel sonno sognando tremende tempeste ed epiche imprese.
Al mattino una luce fastidiosa mi desta da un sonno profondo, la selvaggia cavalcata degli elementi mi ha tenuto sveglio molto a lungo ed ho voglia di dormire. Vorrei scendere, aprire la finestra, chiudere l’imposta e tornare sotto le coperte, ma la sola idea è così sconvolgente da farmi rabbrividire, così mi giro su di un fianco tirando le coperte sul viso. Poco alla volta i miei sensi si mettano in ascolto, le mie palpebre rifiutano di aprirsi ma ormai sono sveglio ed ascolto. Cerco di sentire un rumore, un rumore qualsiasi, che mi permetta d’incuriosirmi facendomi abbandonare il tepore della mia cuccia, ma tutto tace. Silenzio, solo silenzio, sono frastornato da questa totale assenza di rumore! Ostinatamente immobile comincio ad udire il mio respiro, leggero e regolare, poi il pulsare del mio cuore in una tempia, quella appoggiata al cuscino, infine, la mia testa sente dell’altro. È una sensazione strana, ascolto una cacofonia riempirmi il cervello, è quello che io definisco “il rumore che esce”, è come se i rumori della vita di tutti i giorni, urlanti, fastidiosi, stridenti che ingolfano il mio cervello finalmente venissero scacciati.
Decido di alzarmi ed uscire; sulla soglia sono accolto da un cielo limpido, da un sole sfolgorante, dall’aria frizzante e cristallina. Aspiro con soddisfazione l’aria inebriante, chiudo gli occhi e finalmente riesco a sentirlo. È qualcosa estremamente difficile da descrivere, un insieme di sensazioni emotive e suoni tra il reale e l’immaginario. Seduto su un sasso, gli occhi chiusi, il viso rivolto al sole, completamente solo, lo sento e ne rimango rapito: finalmente riesco ad udire la voce del silenzio!"
(Luigi Faggiani, "Racconti minimi", Euredit, Trento, 2003, pag. 30)

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