venerdì 17 novembre 2017

La guerra, le valli e i traffichini. Pecunia non olet, soprattutto in questi anni senza memoria.

Certe fortune del dopoguerra e degli "anni del boom" hanno avuto una dubbia origine. E' il caso - ma è solo un esempio - di una grande catena di supermercati trentina. Tutto iniziò dal nonno borsanerista che batteva le valli... La Val di Cembra soprattutto...
borsaneristi
"La campagna era piena di sfollati: le stalle, i fienili, le capanne, ospitavano le famiglie
degli impiegati, degli operai, dei borghesi, e i contadini accrescevano il loro guadagno
trafficando con le uova, la farina, il lardo, il latte, il vino, le patate, la carne dei vitelli
di proprietà padronale, accusando poi i tedeschi di averli razziati."

(AA.VV, "Storie della Resistenza", Sellerio
Editore, Palermo, 2013, pag. 71)
Nelle valli oltre ai contadini c'erano i borsaneristi. Proliferavano gli avvoltoi che approfittavano della situazione, gente che anticipava i tempi nostri, popolati da ridanciani affaristi che (per esempio) quando sanno del terremoto dell'Aquila sghignazzano sui morti e si fregano le mani in vista degli affari imminenti.
I furbetti di valle e di paese replicano in piccolo la grande storia di Ferdinand Porsche, l'entusiasta socio industriale di Hitler che oggi nessuno si sogna di associare ai campi di concentramento. O degli eredi del dott. Mengele, la cui fabbrica di trattori messa su nel dopoguerra alla periferia di Lana (Merano) non è mai stata contestata. Pecunia non olet, e figuriamoci se non è stato così nel nostro Trentino, patria della Controriforma, dove il confessionale ripulisce ogni colpa molto più che altrove.

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