domenica 21 luglio 2019

Puntata storica fra le basse grotte di guerra del Sasso Gambarile (nel fondovalle valsuganotto)

Da qui austriaci e italiani monitoravano le prime linee di fondovalle in quel cruciale autunno del 1917, ai tempi del "fatto di Carzano", cioè un anno dopo la Strafexpedition e appena un mese prima di Caporetto.
Sasso Gambarile
Tra i due edifici si indovina la piccola elevazione boscata che ospita le caverne di
guerra del Sasso Gambarile. Più indietro, il proibitivo orlo dell'Altipiano di Asiago.
👉Dopo qualche sospetto, i primi allarmi verso le linee austriache partirono dal vicino Monte Civerone e dalle sue fotoelettriche, i potenti fari capaci di illuminare a giorno la terra di nessuno tra i torrenti Maso e Chieppena, che andava da Carzano fino alla confluenza dei due corsi d'acqua nel fiume Brenta.
👉Di contro, grande deve essere stata invece la preoccupazione diffusasi tra  gli avamposti italiani, praticamente vis-a-vis con l'Austriaco, ormai messo in allarme.
Sasso Gambarile
Il Sasso Gambarile è una modesta elevazione (m 556 di quota) che fa parte del-
le Fratte di San Marco, uno dei tanti speroni o contrafforti che si trovano alla ba-
se della ciglione Nord dell'altipiano. Ci si arriva in meno di un'ora di cammino
dal parcheggio in località Brustolae. Dislivello circa 250 metri.
Il vecchio Gigi ha curiosato fra le caverne di guerra del Sasso Gambarile, e ne ha ricavato questa relazione:
Sasso Gambarile
Al momento del "fatto di Carzano" il Sasso Gambarile si trovava nella primissima
linea del fronte, giusto di fronte al Monte Lefre e con vista completa sul teatro del
tentativo di sfondamento notturno concertato fra il tenente austriaco Pivko e il co-
lonnello dei servizi italiani Pettorelli Lalatta
, un personaggio che due anni più tar-
di ritroveremo a Fiume implicato nel tentativo eversivo capitanato da D'Annunzio.
Vedi le altre foto in Google Foto.
"Salendo da Trento si percorre la Valsugana fino a poco dopo la stazione di Strigno, dove a dx troviamo le indicazioni per la località Oltrebrenta di Villa Agnedo. Si prosegue verso la loc. Brustolae superando l’incrocio, a destra, con la strada per l’agritur Prà dei Pezi, per poi proseguire trovando un segnavia per il Sasso Gambarile e, dopo breve, uno slargo dove parcheggiare. Si prosegue a piedi, purtroppo sull’asfalto, per svoltare poi nella prima strada a destra (località Brustolae). Si cammina ancora sull’asfalto per un tratto poi su di una curva a sinistra ecco un largo su sterrato. Proseguiamo il cammino senza problemi d’orientamento grazie ai segnavia.
Dal Sasso Gambarile
Panoramica verso i Lagorai dal belvedere del Sasso Gambarile, che si trova giusto di fronte all'osservatorio italiano del Monte Lefre. Strigno e i centri abitati attorno a Castel Ivano erano in mano italiana, così come l'abitato di Spera. Nella piana alluvionale compresa fra il torrente Maso (che scende dalla Val Calamento) e il torrente Chieppena (che scende da Bieno) correvano le primissime linee contrapposte, con le loro postazioni di sentinelle avanzate. Carzano era già in mano austriaca.
La tempesta Vaia del 2018 ha lasciato i suoi segni anche qui e i danni riportati dai boschi sono un po’ dappertutto. Arrivati a un divieto di transito per le auto, la strada prende a scendere perdendo una decina di metri di quota arrivando dove un tempo c’era un bivio senza cartelli: ora gli alberi abbattuti hanno completamente fatto sparire il ramo di sinistra risolvendo il problema alla “radice”, infatti, ora non c’è più alcun bivio e comincia una ripida salita, che dopo qualche decina di metri diminuisce la sua pendenza. Il cammino procede sempre in salita, con variazioni di pendenza, traversi, curve e qualche tornante per terminare in uno slargo con un bivio, ormai tra la vegetazione si vede s’intravede il Sasso Gambarile. Al bivio c’è un segnavia (Prà dei Pezi) a sinistra che indica un sentiero che sale mentre noi proseguiamo con un largo sentiero a destra che, in breve, ci porta nei pressi delle gallerie basse del Sasso.
Per arrivare occorre passare sotto a un paio di conifere abbattute, ma è questione da poco.
Visitato le gallerie basse (facendo attenzione a procedere curvi, perché l’altezza delle stesse non è gran cosa: meglio usare un elmetto da roccia o da cantiere per evitare fastidiosi mal di testa – indispensabile una pila), torniamo sui nostri passi fino al bivio e saliamo alla Sella del Sasso dove troviamo le gallerie alte e, sopra di esse un Belvedere degno di tale nome. Per raggiungerlo, arrivando in coppa al Sasso direbbe un napoletano, si segue un ripido sentierino (pochi metri) munito di robusto cordino metallico utilissimo, specie in discesa. La vista sulla valle val bene la fatica e comprende una bella fetta di Lagorài fino alle propaggini del Sottogruppo delle Cime di Rava con davanti il M. Lefre per concludersi con il paese di Ospedaletto sovrastato dalle verticali pareti di Cima la Presa, del M. Mezza e del M. Cismon.
Alle spalle del Sasso c’è una selletta (segnavia Prà dei Pezi) con un paio di robuste panchine, un sentierino che precipita verso il basso a zig-zag e un’altra galleria di guerra che si può visitare.
In teoria si potrebbe scendere sull’altro fianco del costone con il sentiero a stretti tornanti, raggiungendo una strada forestale che scende all’agritur Prà dei Pezi. Qui poi bisogna proseguire con un buon tratto d’asfalto fino in Oltrebrenta e quindi all’auto. Chi scrive ha deciso di tornare con il tragitto fatto in precedenza (mai lasciar la vecchia via per la nuova, meditate gente meditate), infatti, scendere correndo il rischio di trovare il percorso impercorribile a causa degli alberi schiantati e quindi esser costretto a risalire, non mi è sembrato una grande idea. Infine la mia voglia d’avventura, ormai usurata dagli anni e da un fisico boccheggiante, era ai minimi storici per cui ho volentieri ceduto alla prudenza tornando a valle con il comodo percorso dell’andata."


Note storiche
Il Sasso Gambarile, situato sulla destra idrografica del fiume Brenta, è un roccione isolato, un tempo denominato “il Dito” a causa della sua forma. Il nome attuale è quello dell’ufficiale del Regio esercito Italiano che, durante la 1ª guerra mondiale diresse i lavori di fortificazione.
Il Sasso Gambarile ebbe un importante ruolo dopo la Strafexpedition, infatti, la prima linea italiana, si distese lungo il costone che finisce su quest’altura, che divenne il caposaldo principale del sistema difensivo in destra Brenta. Furono costruiti caverne per il ricovero delle truppe e il deposito di materiali, postazioni per mitragliatrici e artiglierie, una stazione per riflettori e delle trincee. Si era anche fornito il caposaldo di due generatori per la corrente elettrica, un impianto idraulico, e un centralino telefonico per le indispensabili comunicazioni. Il caposaldo inoltre ospitava la sede del comando del battaglione che presidiava il settore. Infine un camminamento coperto permetteva il collegamento con il trincerone di Ospedaletto, mentre nel bosco, a est della prima linea, sorsero baraccamenti per cucine, dormitori e magazzini, nascosti alla vista del nemico dalla vegetazione.

Quando l’Italia entra in guerra, il 24 maggio del 1915, l’esercito Austro-Ungarico era già impegnato da un anno di conflitto con Serbia e Russia. A causa di ciò le forze imperiali nel Trentino avevano serie difficoltà a contrastare un’avanzata italiana e quindi preferirono arretrare su posizioni che offrissero più possibilità di difesa e minor numero di soldati. Fu così che in Valsugana si scelse uno schieramento che passava dai laghi di Caldonazzo e Levico per poi salire lungo la linea di cresta del Gruppo del Lagorài arrivando fino al Passo Rolle.
L’avanzata dell’esercito Italiano in Valsugana avvenne con tale lentezza da permettere agli Austro-Ungarici non solo di migliorare le loro difese, ma anche di rioccupare delle posizioni strategiche già abbandonate e fermare l’avanzata pochi chilometri a ovest di Borgo Valsugana.

Un anno dopo, maggio 1916, l’esercito imperiale sferrò l’Offensiva di Primavera (passata alla storia come “Strafexpedition”, Spedizione punitiva) cercando di sfondare la fronte degli Altipiani per dilagare poi nella pianura veneta. In Valsugana furono condotte dagli austriaci solo azioni di disturbo per impedire l’afflusso di rinforzi sull’Altopiano. L’effetto di queste azioni, che gli austriaci non si aspettavano, fu un forte arretramento dell’esercito italiano che si distese da Ospedaletto su alle Cime di Rava. Tale situazione rimase pressoché invariata fino all’autunno del 1917 quando, dopo Caporetto, l’esercito italiano dovette ritirarsi sul Monte Grappa e sul fiume Piave. In seguito a ciò la Valsugana rimase sotto il controllo degli austriaci fino alla conclusione del conflitto nel 1918.

Queste in breve le vicende militari ma la Valsugana visse anche il dramma della popolazione civile, infatti, furono circa 100.000 gli abitanti che dovettero abbandonare le loro abitazioni.
70.000 persone circa furono i profughi verso l’Austria, una parte di questi fu spostata addirittura in Boemia e Moravia, altri finirono in campi di baracche (le cosiddette “città di legno”) come a Mittemdorf e Braunau. Nel 1916 i Valsuganotti rimasti nelle zone occupate dagli italiani, furono a loro volta spostati in varie regioni dell’allora Regno d’Italia.
Finita la guerra chi riuscì a tornare trovo solo la devastazione lasciate dai bombardamenti e dagli incendi. Per tornare a una vita diciamo normale ci vorranno molti anni di duri sacrifici e pericolose attività: come quella dei cosiddetti “recuperanti”. Uomini che tornavano sui campi di battaglia appunto a recuperare tutto il possibile, come il metallo dei proiettili d’artiglieria compresi quelli inesplosi che spesso causavano incidenti spesso mortali tra i “recuperanti”.

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