sabato 6 gennaio 2024

Gli impoveriti Karrner della Val Venosta, che non erano zingari balcanici ma tedeschi di Svevia

I Karrner non erano di etnia zingara però venivano identificati con loro. Impersonano ancora oggi uno spinoso e irrisolto capitolo della storia della valle, strano "effetto collaterale" dell'abbazia di Burgusio.
Il castello Fürstenburg di Burgusio (XIII secolo) con la soprastante mole dell'abbazia benedettina di Marienberg/Monte Maria. La sua fondazione (XII secolo) si accompagnò all'arrivo di coloni che erano stati chiamati dalla Svevia (alemanna) per ripopolare la Val Venosta. Rimasero vittime del "diritto latino" che nel fondovalle regolava l'eredità famigliare spezzettandola fra i vari figli.

La miseria Karrner  in una stampa di Wolftraud de Concini.
I Karrner sono stati dei piccoli contadini impoveriti dallo spezzettamento della proprietà della terra.
I Karrner  in un'altra stampa di Wolftraud de Concini.
👉Al contrario delle altre vallate sudtirolesi, dove vigeva il diritto di lascito ad un erede unico (da qui il «maso chiuso»), in Val Venosta entrò in uso la divisione della eredità. E’ una forma di diritto di successione portata dai coloni alemanni provenienti dal sud-ovest della Germania che, dopo la fondazione dell'abbazia benedettina di Monte Maria nel XII secolo, erano stati chiamati dalla Svevia (alemanna) per popolare la valle. La proprietà fondiaria, già poco redditizia per l’asperità del terreno, venne col tempo frammentata e spezzettata all’inverosimile. La popolazione continuava ad aumentare, le possibilità di lavoro e di guadagno diminuivano, guerre, carestie e l’abbandono dell’attività mineraria fecero il resto. Per sopravvivere, molti venostani dovettero cercare altre vie: é un "effetto collaterale" del diritto latino tra i contadini poveri.
👉Nacquero così, come conseguenza di povertà estrema, i Karrner. Molti autori tirolesi dell’Ottocento li hanno descritti, spesso con spocchiosa arroganza e anche la curiosità che il borghese, sedentario e benestante, mostra verso gli «altri»: famiglie numerose, con tanti bambini cenciosi ed allegri attorno ad un carro che veniva trainato dal padre, dalla madre, dai ragazzi più grandi, seguiti dal cane, raramente da un asino o un mulo. Erano carri a due ruote, chiusi da rami di salice piegati e coperti da un telone: carri simili a quelli dei pionieri del far west che erano la casa, la stanza da letto e la bottega dei Karrner.
👉Erano, infatti, anche venditori ambulanti. Sui loro carri, pieni zeppi di ogni tipo di merce, trasportavano cesti intrecciati e scope fabbricate durante le soste invernali, grasso per carri e crema da scarpe di propria produzione, e poi frutta, formaggio, aceto e sale, pietre per affilare e chiodi, spazzole e fiammiferi, sapone, bottoni ed elastici, rustiche ceramiche da Brunico («Brauneggergeschirr») e colorate stampe. Smerciavano pure uccelli, raccoglievano e arrostivano castagne e i più fortunati commerciavano in cavalli, frequentando i grandi mercati. Il commercio girovago non era tuttavia l’unica fonte di guadagno. Le donne, esperte in erboristeria, erano ricercate per le loro capacità guaritrici, donne e bambini chiedevano vestiti e cibi in carità, mentre gli uomini erano richiesti come musicisti, con la fisarmonica come strumento principe.
👉Sulle strade del Sudtirolo si potevano incontrare fino negli anni dopo la seconda guerra mondiale i caratteristici carri dei Karrner.
Essi venivano prevalentemente dall’alta Val Venosta, soprattutto dai paesi di Laces, Tarces, Prato e Stelvio, e si chiamavano Federspiel, Wilhelm, Kuen e Höfer. Di loro rimangono qualche tomba nel cimitero di Laces, alcune opere letterarie sul tema (notevoli i «Korrnrliadr» di Luis Stefan Stecher) e un sottile disagio di non pochi sudtirolesi per questi «zingari di casa nostra». Nel 16° secolo i Karrner si spostavano di villaggio in villaggio, vendendo o scambiando con i contadini le loro merci, come cestini impagliati, ramazze, creme da scarpe, stoviglie.
Per certi versi ricordano gli stagionali venditori ambulanti di stampe di Asiago e del Tesino o i venditori girovaghi del Val dei Mocheni, i cròmeri, quei contadini poveri che nei mesi di stasi agricola si trasformavano in piccoli mercanti girovaghi stagionali "col negozio in spalla", un fenomeno che in forme analoghe seppur con nomi diversi era presente in tutto il nord-est alpino.

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