Non sono le cime più importanti che rimangono nella memoria. A lasciare il segno sono piuttosto piccoli episodi, momenti minori che si fanno ricordare anche dopo anni.
Il Bivacco Val si trova nelle Maddalene, sul versante noneso della Cima dei Olmi, che sarebbe poi la tedesca Ilmenspitze. La sera prima della salita, mentre fumiamo tabacco Amphora davanti al fuoco. |
Ci ripenso dopo aver ricevuto una mail che parla del Bivacco Val, nelle Maddalene. Dice che ora, dopo la ristrutturazione del 2008, non c'è più la stufa, quella che faceva compagnia nelle serate invernali...
Della stufa non ho memoria, ricordo invece il camino dove abbiamo passato una notte invernale fumando la pipa.
Ciaspando nell'archivio ritrovo una vecchia foto scattata proprio davanti a quel camino. Ricordo distintamente il fuoco, la luce, gli odori e tutto il resto, compresa
la brutta sorpresa del pomeriggio successivo.
Ciaspando nell'archivio ritrovo una vecchia foto scattata proprio davanti a quel camino. Ricordo distintamente il fuoco, la luce, gli odori e tutto il resto, compresa
la brutta sorpresa del pomeriggio successivo.
Su questi episodi che restano impigliati nella memoria Gigi ha costruito una piccola antologia di racconti, "Racconti minimi", ormai introvabile, dalla quale ho ripescato quello che riguarda proprio il Bivacco Val. Eccolo:
"Con l’amico
Fausto arriviamo a Provés nell’alta Val di Non, un lindo ed ordinato paesino
tirolese
in provincia di Bolzano. Per la nostra escursione abbiamo scelto il gruppo delle Maddalene. Sono queste delle montagne meno conosciute ed ancora poco frequentate, dovendo sottostare alla concorrenza di cime famose come quelle delle vicine Dolomiti di Brenta. Sono montagne plasmate dall’intervento umano che le ha punteggiate di numerosissime malghe, trasformando terreni impervi in pascoli. Molte di queste malghe sono ormai abbandonate, mentre altre sono ancora in attività; è il caso della Malga Val, che dispone anche di un locale adibito a bivacco.
in provincia di Bolzano. Per la nostra escursione abbiamo scelto il gruppo delle Maddalene. Sono queste delle montagne meno conosciute ed ancora poco frequentate, dovendo sottostare alla concorrenza di cime famose come quelle delle vicine Dolomiti di Brenta. Sono montagne plasmate dall’intervento umano che le ha punteggiate di numerosissime malghe, trasformando terreni impervi in pascoli. Molte di queste malghe sono ormai abbandonate, mentre altre sono ancora in attività; è il caso della Malga Val, che dispone anche di un locale adibito a bivacco.
Ci avviamo,
lasciando alle spalle il paese, costeggiando prati e fienili, belli e curati,
che formano una scenografia perfetta per film tipo Haidi o l’Imperatrice Sissi.
Procediamo con calma lungo strade sterrate per fermarci quando, raggiunto un
punto panoramico, vediamo tutta la Val di Non con il lago di S. Giustina.
Giunti a un bivio, dopo una breve sosta, riprendiamo la marcia in silenzio. La
pendenza del percorso ora è molto ripida e il fiatone si fa subito sentire;
colpa sicuramente del poco allenamento, ma anche, purtroppo, per via del fatto
che non siamo più ventenni.
Il gruppo
delle Maddalene, visto da lontano, non sembra per nulla impegnativo. In realtà
invece le piccole valli che vi s’insinuano, come le cime che lo formano, non
scherzano in fatto di pendenze e chiedono un buon tributo di sudore al
viandante. In compenso arriviamo ad un tornante da dove abbiamo un bel colpo
d’occhio sul Lagorài, le Pale di San Martino, il Latemàr, il Passo di
Costalunga, per finire con il Catinaccio e la Roda di Vaèl. Fausto continua imperterrito
io, con la scusa di scattare qualche foto, decido di concedere un momento di
tregua al mio cuore che, poverino, fa sì il suo dovere, ma non gli riesce
gradito lo straordinario.
Una volta nel
bivacco passiamo la serata dinanzi al fuoco; osservando l’orgia danzante delle
fiamme. Lo spettacolo del fuoco, sempre diverso nelle forme, guizzante e mobile
è affascinante, sembra quasi possedere vita propria. Rimango a guardare lo
spettacolo coinvolto da emozioni diverse, dentro di me si agitano antichissimi
ricordi atavici; dev’essere questa la ragione per cui il fuoco esercita un
potere ipnotico, anche sull’uomo moderno.
Fausto
interrompe i miei pensieri chiedendomi i fiammiferi per riaccendere la sua
pipa. Insieme discutiamo del nostro programma: domani si sale l’Ilmenspitze
mentre il giorno seguente rientriamo a Provés, percorrendo un tratto del lungo
sentiero Bonacossa. Ormai il fuoco è quasi spento, le fiamme, terminato la loro
danza, hanno lasciato il posto ad un leggero bagliore; anche le nostre pipe
sono fredde e la notte ormai calata invita al sonno.
Il primo che
si sveglia, come il solito, sono io. Resto ancora un poco a poltrire poi decido
di scendere a preparare un bel caffè forte. Il profumo che, poco dopo, riempie
il nostro bel bivacco, convince anche Fausto a lasciare le coperte. Usciti
dalla malga ci si avvia, seguendo prima dei segnavia e poi tracce di sentiero,
in direzione del Passo del Termine (Tèrmen de Val); il valico a destra della
cresta Ovest dell’Ilmenspitze.
Al Passo c’è
ancora lo storico cippo (Tèrmen), risalente ai tempi Napoleonici. Proprio qui,
correva la linea di confine tra il Regno d’Italia e quello della Baviera. Sotto
di noi c’è la Val d’Ultimo (Ultental), o meglio, la Val Nera una delle tante
vallette secondarie che costituiscono il fianco NO della valle madre. Il
vecchio cippo reca inciso le lettere I e B, rispettivamente poste sul lato
verso la Val di Non e la Val d’Ultimo, ancora perfettamente leggibili. Oggi qui
corre il confine amministrativo fra Trento e Bolzano, ed ancora quello
culturale e linguistico tra area italiana e tedesca. Non è la prima volta che
salgo quassù e tutte le volte, vedendo questo cippo, penso a quanto futili ed
aleatori sono i confini degli uomini; linee immaginarie e pietre conficcate nel
terreno simbolo di lotte, pene e sofferenze.
Lasciato il
Passo ci dirigiamo verso la nostra meta sperando che il tempo, alquanto
variabile, non decida di giocarci qualche brutto scherzo. Giunti in vetta
scattiamo le solite fotografie, scambiamo alcune chiacchiere con un paio
d’altri escursionisti, saliti all’Ilmenspitze da altri versanti. Da quassù, se
la giornata è bella, si ha la soddisfazione di un giro d’orizzonte magnifico.
Tornati alla
malga la troviamo circondata da alcuni fuoristrada, mentre sui tavoli prospicienti
l’ingresso ci sono numerose persone. Salutati gli astanti entriamo nel bivacco,
ci liberiamo degli zaini, asciughiamo il sudore, poi mangiamo un boccone con
calma. Finito il pasto siamo assaliti dalla sonnolenza dovuta alla digestione
ed alla fatica da poco conclusa, decidiamo così di concederci un pisolino
ristoratore. Abbiamo scelto di passare un paio di giorni tra questi monti anche
per poterci rilassare, godendo di calma e tranquillità, d’aria buona e di
silenzi. Tutte cose che la città nega e solo quassù in montagna si possono
avere.
Errore!
Giunto a bordo
dell’ennesimo fuoristrada, un signore dotato di voce tonante anche se rauca, ha
iniziato un’arringa nell’idioma, praticamente incomprensibile, del posto. I
suoi compari annuiscono e cercano, inutilmente, di intervenire per esprimere la
loro opinione. L’unico risultato che riescono ad ottenere è di far alzare il
tono di voce, già abbastanza alto, del nostro indigeno (nel senso di originario
del posto). Evidentemente si tratta di una di quelle persone che hanno bisogno,
non solo, di sentirsi sempre al centro dell’attenzione, un po’ come i bambini
piccoli, ma soprattutto di udire il suono della loro voce, indipendentemente
dal contenuto di quanto dicono.
Fausto ed io
ci sforziamo di non far caso al vecchio barbogio e, visto che dormire è
impossibile, cerchiamo un argomento qualsiasi di conversazione, giusto per
passare il tempo, confidando segretamente in un colpo di fortuna. Che so: una
laringite fulminante, un violentissimo accesso di tosse, uno splendido colpo
apoplettico, una ben diretta saetta di Giove pluvio, una salutare martellata
del nordico dio Thor. Niente! La salute del nostro indigeno urlante è perfetta,
mentre gli dei sono, per loro fortuna, troppo lontani per udirlo.
Contro la nostra
volontà dobbiamo sorbirci una lunga sequela di improperi rivolti agli
amministratori pubblici di mezza Val di Non, elaborate chiacchiere da bar sugli
interessi personali degli amici degli amici, immancabili concioni inizianti con
la fatidica frase: «Se fossi io a comandare …». Passata la prima ora drizziamo
le orecchie sperando di ascoltare qualche nota di stanchezza, ma il nostro non
cede, anzi, adesso anche gli altri suoi compari si danno da fare per competere
con lui. Evidentemente l’oggetto della discussione ha scaldato gli animi.
Fausto mi
chiede: «Cosa facciamo?». Con aria pensosa, rispondo: «Potrei provare ad usare
quella grossa, pesante, padella di buon vecchio ferro in dotazione al bivacco.
Sventolandola a dovere almeno tre dovrei riuscire a stenderli». Fausto mi dice
di non fare il guascone e suggerire qualcosa di serio. Gli rispondo che non
abbiamo molte alternative oltre alla padella: o aspettiamo stoicamente o
andiamo via, come già hanno fatto altri escursionisti. Cerchiamo di pazientare
studiando qualche soluzione, io provo la tecnica dello struzzo cacciando la
testa sotto un cuscino ma senza fortuna. Passata un’altra ora la nostra
sopportazione è al limite, scendiamo da basso, prepariamo gli zaini, quindi ci
allontaniamo di gran carriera verso valle, lanciando bestemmie e maledizioni
alla tribù degli urlanti. Questi ultimi, vedendo i nostri cipigli scuri e
sentendo le imprecazioni azzittiscono. Chissà che, finalmente, non si siano
resi conto del fastidio provocato ad altri. Naturalmente no! Dopo pochi secondi
ricominciano la loro stridente contesa; ospitalità ed ignoranza sono cose
inconciliabili.
Torniamo a
Provés dopo esserci concessi una lunga pausa in mezzo al bosco. Qui solo il
cinguettio di un solitario volatile ha cercato di alleviare il nervosismo che
ancora ci pervade, senza ferire le nostre povere e provate orecchie."
(Luigi Faggiani, "Racconti minimi", Euredit, Trento, 2003)
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