Il doppio roccolo visto dalla forestale che porta al vicino Rif. Sauch.
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I roccoli servivano per la cattura degli uccelli di passo. Si trattava di costruzioni vegetali con i rami abil-mente intrecciati e potati per dare forma alla trappola in cui volatili venivano attirati.
Veniva così creata una galleria pe-donabile con pianta a ferro di ca-vallo e con al centro uno spiazzo erboso.
Il roccolo visto dall'interno di uno dei due "tondi".
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Dopo che un gran numero di volatili si era posato nello spiazzo, dal ca-sello veniva agitato lo spauracchio, preceduto dal fischio dell’uccella-tore.
La fuga in senso orizzontale portava gli uccelli dritti verso una rete pres-soché invisibile tesa tra le nume-rose arcate della galleria vegetale.
Il roccolo è costituito da tre parti fondamentali:
● il casello: torretta in cui staziona l’uccellatore; situata nella parte più alta del roccolo e completamente nascosta dalla vegetazione;
Il tracciato in Google Earth. |
● il tondo: piccolo prato rivolto verso valle su cui si trovano piante potate in forme rotondeggianti da cui spuntano i secchi, rami privi di foglie su cui veniva posti i richiami;
● il colonnato con pergola: circonda il roccolo ed è formato da piante (abeti e faggi) potate in modo ca-ratteristico tra cui erano nascoste le reti di cattura; a ferro di cavallo.
Il roccolo del Sauch è composto da piante di faggio e abete rosso po-tate con cura in modo da creare una galleria a ferro di cavallo, una specie di pergolato forato da una serie di archi. Più precisamente le gallerie sono due: si tratta infatti di un doppio roccolo, con due torrette destinate a due uccellatori.
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Come arrivare: il roccolo si trova al Passo del Saùch (oggi Passo della Croccola) nei pressi dell'omonimo rifugio sul confine tra il Trentino e il Sudtirolo. Dalla Val d'Adige si può raggiungere da San Michele all'Adige oltrepassando Faedo, e parcheggiando l'auto in località Fontanelle (appena dopo la Pineta di Faedo).
Dal parcheggio, il sentiero 409 segue una strada forestale che sale con moderazione, in mezzo al bosco fino al Passo della Croccola ( m. 948) da dove, nell’autunno del 1494, transitò il pittore tedesco Albrecht Dürer diretto a Venezia. Dopo il passo in dieci minuti si è al Roccolo e all'adiacente Rifugio Sauch (m 916, aperto da primavera ad autunno).
Altre informazioni sui roccoli: «I roccoli sono strutture costituite da alberi vivi potati annualment. Fino ad una quarantina di anni fa, essi venivano utilizzati come strumento di caccia ai piccoli uccelli migratori tramite delle reti piazzate nella cinte vegetali ("tondi"), formate da alberi tipici del luogo ove il roccolo è edificato. Per alcune centinaia di anni la caccia gli uccelli con le reti è stata consentita dalla legislazione venatoria, così i roccoli si sono diffusi come tipico strumento di caccia nelle zone collinari dell'area lombardo-veneta. Da quanto si è potuto ricostruire dal contenuto di documenti storici, si ipotizza che i primi roccoli siano stati edificati nel XIV secolo nella provincia di Bergamo, per espandersi successivamente nelle vicine province lombarde, nel triveneto fino ad arrivare addirittura nella zona tedesca più meridionale. In Trentino i primi impianti, opera di uccellatori lombardi, furono probabilmente del XVII secolo. Da allora essi incontrarono un periodo di grande fortuna ed ebbero perciò un'ampia diffusione in tutto il Trentino, tanto che all'inizio del 1900, in un periodo di declino rispetto al secolo precedente, si stimavano in oltre 200 i roccoli presenti in provincia di Trento. Il roccolo è costituito da una struttura ben precisa in cui ciascun elemento ha una funzione specifica. Alcune piante, potate a regola d'arte, nascondono i manufatti in legno o muratura ("caselli") dove l'uccellatore attende gli stormi di uccelli. Altri alberi, potati in modo da costituire degli archi e posizionati in doppia fila, formano un corridoio coperto dalla "pergola" dove vengono tirate le reti a formare una parete verticale. Il tutto deve essere edificato su un pendio con il casello posto nel punto più elevato. Al centro del "tondo" sono situati i "secchi", rami privi di foglie nei dintorni dei quali vengono nascosti i richiami sonori e visivi: gabbiette con uccelli vivi durante l'attività del passato ("canterini" e "zimbelli"), registrazioni e zimbelli artificiali in quella di oggi.»
Schema di funzionamento di un roccolo. |
«I roccoli sono sempre stati utilizzati in autunno in quanto in questo periodo, finita la fase riproduttiva, numerosi migratori si mettono in movimento in grandi stormi costituiti dai nuovi nati e dai loro genitori: la caccia in questa stagione può perciò essere molto più redditizia che non durante la migrazione primaverile. La presenza di richiami all'interno del roccolo induce gli stormi di migratori di passaggio ad abbassarsi di quota e a cercare un posatoio vicino al luogo di provenienza dei richiami. Ecco come si spiega la regolare potatura delle piante che coprono il roccolo: la forma molto tondeggiante assunta dai rami di faggio impedisce agli uccelli di trovare dei comodi punti di appoggio, e perciò essi finiscono per poggiarsi sull'unico punto facilmente disponibile: i "secchi". Questi rami, posti al centro dei "tondi" e sostenuti dalle siepi, sono sistemati con estrema precisione: la scelta di secchi troppo fitti o troppo alti comprometterebbe le catture! Non appena gli uccelli si sono appoggiati sui secchi, l'uccellatore nascosto all'interno del casellao con lo sguardo sempre attento fuori dalle finestrelle, mette in funzione i suoi strumenti. Soffiando in un fischietto di ottone produce un sibilo molto acuto che induce i migratori appoggiati sui secchi a girarsi verso il casello. A questo punto l'uccellatore tira una corda che ribalta in avanti lo "spauracchio". Questo strumento è costituito da un bastone di frassino con degli stracci bianchi e neri legati alle stremità. In situazione di attesa esso rimane sdraiato sul tetto del casello e perciò risulta invisibile agli uccelli. Quando viene tirata la corda a cui è legato, lo spauracchio si ribalta in avanti e il suo movimento spaventa i piccoli migratori, i quali cercano scampo passando tra gli archi del tondo al di sotto della pergola. Qui trovano le reti quasi invisibili a sbarrare loro il passaggio e, non potendo evitarle, finiscono tra le loro maglie.»
«Nella prima metà dell'800 la zona del Sauch, ricadente allora sotto il dominio austriaco, era conosciuta come importante area di caccia. Nella seconda metà dell'800 il signor Carlo Mosaner di Verla acquistò i terreni prativi e boscati in località Sauch e successivamente vi edificò il roccolo. Dai documenti della famiglia Mosaner Brugnara non risulta chiaramente quale sia stata l'annata in cui il roccolo ha iniziato la sua attività, ma certamente essa è anteriore al 1890. Da allora si sono succeduti i discendenti di Carlo: prima Ambrogio e poi Giulio Mosaner. Essi si avvalsero nel corso degli anni di diversi collaboratori: Simon Ambrogio Marchi, Vincenzo Menini, Iginio da Verona, Avv. Vittorio Foradori ed Ermete "Brogetto" Marchi, ancora oggi genius loci al Sauch.
Nei primi del '900, durante il dominio austriaco, furono proibite le catture degli uccelli con le reti, sebbene fosse permesso l'uso di vischio e lacci. Solo dopo il 1913 il roccolo riprese la sua attività più tradizionale. Tra il 1920 e il 1930, a testimonianza del notevole passaggio di uccelli migratori (peppole montani, fringuelli finchi, lucarini lugherini, frosoni frisoni, fanelli fadanei, verdoni taranti, cardellini gardelini, cesene gardene ecc.) nella zona del Sauch operavano altri 4 roccoli, tanto che la zona è indicata nelle cartine dell'IGM come Roccoli Mosaner.
Nel 1968 la caccia con i roccoli fu vietata definitivamente. Fu così che in Trentino la maggior parte dei proprietari smise di curare con regolari potature le piante costituenti i roccoli e oggi non rimane che la presenza del casello a testimoniare la passata esistenza di queste strutture. Al Sauch, invece, le continue cure prima di Giulio Mosaner e poi di Ettore Brugnare, nipote di Giulio e attuale proprietario del roccolo Sauch, hanno consentito a questa splendida struttura di giungere inalterata fino ai nostri giorni.»
(informazioni a cura del Museo
Tridentino di Scienze Naturali)
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