martedì 31 maggio 2011

Tracce GPS: alle tracce di hotKNOTT si aggiunge ora un'estensione turistica...

Si chiama Sentres e non manda in pensione hotKNOTT.
Il noto database di tracce GPS dell'Altoadige/Südtirol hotKNOTT rimane in linea, ma viene affiancato da una "estensione" più turistica che si chiama sentres.
La sezione GPS è tutta nella pagina mostra mappa che si raggiunge dalla home page.
L'usabilità della pagina mostra mappa è ragguardevole, soprattutto per chi è interessato ad informazioni aggiuntive (più turistiche) rispetto a quanto già messo a disposizione da hotKNOTT, sito che comunque rimane attivo.

sabato 28 maggio 2011

Il sentiero dei Granatieri sul Monte Cengio

Il Monte Cengio (m 1.354) si trova sull'orlo meridionale dell'Altopiano di Asiago e domina lo sbocco della Valdastico nella pianura veneta.
Il percorso é stato interamente ricavato nella roccia viva del Monte Cengio.
Il monte è privo di interesse alpinistico ed è oggi conosciuto ed apprezzato a causa della presenza della mulattiera di arroccamento che taglia orizzontalmente gli strapiombi rocciosi sopra Cogollo del Cengio e che venne realizzata dalle truppe italiane ai tempi della prima guerra mondiale. Qui si arenò la "spedizione punitiva" degli austroungarici nel 1916.

Come arrivare: da Piovene Rocchette (Vicenza) si prende in direzione Asiago; dopo aver superato i 10 tornanti della SP349 del "Costo" e la "Barricata" si procede per circa 2 km fino alla località Campiello. Sulla sinistra si trova la strada asfaltata che porta al Monte Cengio.

Un primo parcheggio è situato al Piazzale Principe del Piemonte, da cui parte il sentiero panoramico che taglia orizzontalmente lo strapiombo roccioso fino al Piazzale dei Granatieri e poi alla cima.

Volendo è possibile proseguire in auto fino al Piazzale dei Granatieri, dove si trova il rifugio (privato) Al Granatiere e da qui raccordarsi all'ultimo tratto di sentiero, sempre scavato nella roccia e che prende il nome di "La Granatiera".
Dalla cima e dalla mulattiera sospesa sopra alte pareti rocciose, si gode un vasto panorama sulla sottostante Val d'Astico e sulla dirimpettaia catena dei monti Summano-Novegno-Priaforà. Il sentiero è adatto a tutti, non presenta particolari difficoltà ed è interamente protetto da un corrimano di cordino d'acciaio. Si attraversano cinque gallerie, di cui una lunga: portare la torcia elettrica. I testi sono ripresi dai tabelloni esplicativi disposti lungo il percorso.

● Il 15 maggio 1916, ad un anno dall'inizio della prima guerra mondiale, l'esercito austro-ungarico lanciò un'offensiva sugli altipiani trentini e veneti, meglio conosciuta come Strafexpedition, al fine di invadere la pianura padana e
Vai all'album delle fotografie.
 prendere alle spalle l'esercito italiano schierato sul Carso. Il 28 maggio 1916, dopo aver superato in ripetuti assalti le linee difensive italiane, i fanti imperiali entrarono ad Asiago e si prepararono ad affrontare l'ultimo baluardo montano a guardia della pianura vicentina: il pianoro del Monte Cengio.
Lo stesso giorno il Gen. Cadorna aveva inviato sull'Altopiano dei Sette Comuni la Brigata Granatieri di Sardegna, comandata dal Gen. Pennella, con il compito di fermare l'avanzata austriaca sulle ultime propaggini meridionali del monte.
sentiero dei granatieri
L'ultimo tratto del percorso (che in tutto comprende cinque gallerie) prende il nome di "La Granatiera" e va dal "Piazzale dei Granatieri" sino alla cima del Cengio.
I soldati italiani occuparono alcuni rilievi a nord (corona) del Cengio, Monte Barco, Monte Belmonte, quota 1152 di Cesuna, oltre naturalmente allo stesso sistema montuoso del Cengio. Su queste posizioni combatterono per giorni senza cannoni, con poche munizioni e con scarse riserve di viveri ed acqua.
Il 3 giugno 1916, dopo aver respinto per giorni i furiosi assalti degli austro-ungarici, subendo gravi perdite, i granatieri si trovarono circondati nelle trincee del Monte Cengio. Con un ultimo assalto, l'esercito imperiale conquistò la montagna, catturò ufficiali e semplici granatieri che non erano riusciti a sfuggire all'accerchiamento e che avevano tentato di resistere fino all'ultimo in trincea.
● La strada che dalla ex stazione ferroviaria di Campiello congiunge ancora oggi la Val Canaglia con il Monte Cengio, era allora l'unica via carrozzabile utilizzata per il rifornimento di viveri e munizioni alle truppe in trincea. Il 2 giugno 1916, gli austriaci riuscirono ad attestarsi a ridosso di Monte Barco da dove con delle mitragliatrici opportunamente posizionate impedirono alla corvées di portare i rifornimenti ai granatieri e ai fanti impegnati nei combattimenti, di fatto isolandoli dal resto delle truppe italiane.
● Il 3 giugno, giorno dell'assalto finale, gli imperiali scesero nella Val Barchetto e assalirono l'ala destra della linea italiana, improvvisate trincee scavate sulle alture del Cengio, piegando la resistenza dei soldati del Regio Esercito. Di circa 10.000 uomini che erano giunti ad Asiago, riuscirono a salvarsi in poco più di 1.000. Alla sera del 3 giugno il Monte Cengio era in mano austriaca, ma le perdite furono alte anche per gli imperiali e il sacrificio della Brigata Granatieri di Sardegna era riuscito a fermare per sempre la discesa in pianura dei fanti dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Con i granatieri combatterono i fanti delle Brigate Catanzaro, Novara, Pescara e Modena.

● Al termine della Strafexpedition, gli austriaci si ritirarono dai territori occupati e, il 24 giugno 1916, le truppe italiane ripresero possesso del Monte Cengio e di tutto il pianoro circostante fino alla Val d'Assa. I comandi italiani decisero di predisporre una serie di opere difensive, articolate su tre successive linee: la linea di massima resistenza, la linea di resistenza ad oltranza, la linea di difesa marginale.
La "linea di massima resistenza" era formata da tanti piccoli posti di sorveglianza, situati in posizione avanzata sul ciglio della Val d'Assa, a guardia dei sentieri che dal fondo della valle risalivano gli scoscesi dirupi.
La "linea di resistenza ad oltranza", la più importante, era in realtà un sistema di postazioni difensive, unite tra loro da un unica lunga trincea, costruite proprio sulle quote dove i granatieri avevano combattuto per la difesa dell'Altopiano. Il Monte Cengio, il Monte Barco, il Monte Belmonte, Monte Busibollo, Malga Ciaramella, divennero altrettanti fortini naturali che, supportandosi a vicenda, costituirono un complesso difensivo che, peraltro, non venne più direttamente interessato da vicende belliche. La Val Barchetto fu compresa nel sistema difensivo di Monte Barco e attraversata da un sistema difensivo che collegava il caposaldo di quota 1363 (a sinistra) con le trincee principali dello stesso Barco (a destra), lasciando peraltro libera la rotabile utile per il trasporto del materiale.
Infine, la "linea di difesa marginale", mai ultimata, costituiva l'ultima linea difensiva che, sfruttando le alture che delimitavano a sud l'altopiano di Asiago, doveva servire a fermare eventuali attacchi austriaci, nella probabilità che avessero ceduto le due altre linee di difesa.
Il settore di Monte Cengio, per la sua importanza e per la sua posizione, era compreso nella "linea di resistenza ad oltranza" e a sua volta contava sui suoi capisaldi difensivi delle quote 1363, 1312, 1351, 1356 e 1332, rilievi che si alzano sui dirupi della Val d'Astico. Per collegare tra loro i sistemi difensivi si costruì una mulattiera di arroccamento, in seguito denominata "La Granatiera" in onore del Corpo che qui difese la pianura veneta.

●  La galleria comando, situata alle pendici di quota 1351, costituiva anche l'ingresso alle caverne dove erano situati i pezzi d'artiglieria da 149 mm.
I cannoni qui posizionati avevano il compito di ostacolare l'avanzata austriaca lungo la Val d'Astico e proprio la loro efficace azione costrinse i comandi austriaci a dover conquistare, nel più breve tempo possibile, il Monte Cengio.
Durante la battaglia del giugno 1916, i cannoni vennero portati all'aperto, sul piazzale dinnanzi all'entrata della galleria, da dove contrastarono, anche se solo per poco tempo, gli assalti dei soldati imperiali. Terminate le munizioni, rimasero inutilizzati.
Nella galleria il Cap. Federico Morozzo della Rocca, comandante del IV Battaglione del I Reggimento Granatieri di Sardegna, situò il comando del settore del Cengio. La caverna fungeva anche da posto di primo soccorso sanitario e qui vennero ammassati i feriti durante l'attacco risolutivo del 3 giugno.
Ricordo il Ten. Giacomo Silimbani, Aiutante Maggiore in II del Cap. Morozzo della Rocca: "Venni portato al posto di medicazione situato in caverna, già pieno di feriti e posto in una barella. Fuori il combattimento era accanitamente impegnato ma io non sentivo che il frastuono confuso. Mentre un caporalmaggiore di sanità stava fasciandomi la seconda ferita, irruppero nella caverna gli austriaci ... Semisvenuto venni trasportato dagli stessi granatieri portaferiti, per ordine di un ufficiale austriaco, al poso di medicazione nemico e poi a Pedescala, presso una sezione di sanità".

● La quota 1.351 pur non essendo la cima più alta del sistema montuoso del Cengio, è la cima principale del monte.
Proprio per la sua importanza tattica, era considerata dagli austriaci l'obiettivo principale dell'attacco del Monte Cengio. Ai sui piedi i Granatieri stesero la linea difensiva principale e nelle sue viscere era situato il comando del Monte Cengio. Presa più volte di mira dall'artiglieria austriaca, fu aspramente contesa dai Granatieri nell'assalto finale del 3 giugno 1916, tanto da meritarsi il titolo di "Salto dei Granatieri" o "del Granatiere", a ricordo della disperata difesa.

Scrisse il Gen. Pennella, comandante della Brigata Granatieri di Sardegna: "Si narrava già di aver veduto rotolare per le rocce strapiombanti sull'Astico nel furore dell'ardente lotta, grovigli umani di austriaci e granatieri!".
Questa la testimonianza dell'Asp. Franco Bondi, ufficiale del IV Battaglione del I Reggimento Granatieri di Sardegna: "Improvvisamente poi verso le 2 pomeridiane, il nemico ci assalì alle spalle e contemporaneamente anche di fronte, data la sorpresa e le condizioni disperate in cui mi trovavamo si svilupparono una serie di combattimenti singolari con bombe a mano e fucileria da parte del nemico e all'arma bianca da parte nostra ... Fui testimone oculare di atti di eroismo dei miei granatieri, e di quelli della sezione mitragliatrici che si trovava immediatamente alla mia destra, di cui un caporal maggiore, servente continuò a far fuoco coll'arma fino a che fu ucciso a baionettate sul pezzo e così pure le vedette, sorprese dall'attacco furono finite a baionettate".

● Sul rovescio di quota 1.363 inizia la mulattiera di arroccamento che collegava lo stesso caposaldo con quello di quota 1.351 e che permetteva il controllo della Val Cengiotta e della sottostante Val d'Astico.
La mulattiera, defilata alla vista degli austro-ungarici, permetteva il trasferimento celere e al coperto delle truppe da un settore all'altro del Cengio, pronte ad intervenire in caso di attacco austriaco.
Per questo era provvista di cinque gallerie, con robusta massa coprente e adatte a fungere quale ricovero per le truppe in caso di bombardamento. Infine, per permettere alle truppe un rapido accesso alle linee difensive scavate a monte della mulattiera, erano state predisposte delle scale dalle quali accedere velocemente alle trincee superiori.
Al sentiero a strapiombo sullo scoscendimento marginale roccioso sud del Cengio è stato dato il nome di "Granatiera" a ricordo della Brigata Granatieri di Sardegna, che su queste alture difese le sorti della guerra e dell'Italia. Il tratto di sentiero di quota 1.312 comprende la galleria principale, lunga metri 187 e di sezione metri 3 per 4, dove è stato anche costruito un serbatoio d'acqua in cemento della capacità di m cubi 130.
La mulattiera doveva essere collegata alla Val d'Astico da una teleferica, che però non venne mai ultimata. I lavori in questione furono in gran parte opera del Comando Genio della 12^ Divisione e diretti dal Capitano Ignazio Pace.

● Tra le pieghe della storia: la vicenda dell'irredentista giuliano Carlo Stuparic.
Prima Guerra Mondiale. Uomini, Soldati, Eroi. Carlo Stuparich, Trieste, 3 agosto 1894 – Monte Cengio, 30 maggio 1916
La tomba di Carlo Stupariche con il fratello Gianni.
Scrittore e patriota italiano. Fratello minore del più noto scrittore triestino Giani, scrisse una sola opera: Cose ed Ombre di uno e fu considerato da molti critici una promessa della letteratura italiana, se non fosse scomparso prematuramente. Durante la prima guerra mondiale fu decorato con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
Nacque a Trieste, all'epoca ancora parte dell'Impero austro-ungarico, il 3 agosto 1894 figlio di Marco, originario di Lussino, e di Gisella Gentilli, triestina. Terminati gli studi primari e secondari nella città natale, Carlo si iscrisse nel 1913 all'Istituto di Studi Superiori di Firenze, raggiungendo il fratello Giani e l'amico Scipio Slataper, e partecipando al movimento e alla rivista "La Voce" di Prezzolini.
Irredentista, partì volontario per combattere nella prima guerra mondiale assieme al fratello Giani e all'amico Scipio Slataper, arruolandosi nel 1º Reggimento granatieri del Regio Esercito. Il 2 giugno 1915, dopo aver cambiato sui documenti il suo cognome da Stuparich a Sartori, partì con il suo reparto da Roma per raggiungere Monfalcone, in zona d'operazioni.
Nel maggio 1916 i due fratelli Stuparich partirono con il loro reparto per la Val Sillà sul Monte Cengio (Altopiano di Asiago), non lontano da Tonezza del Cimone posta sul crinale opposto, per prendere parte al tentativo di respingere l'attacco lanciato dal Capo di Stato maggiore austro-ungarico, generale Franz Conrad von Hötzendorf contro le linee tenute dai reparti della 1ª Armata italiana. L'offensiva fu lanciata il 15 maggio, raggiungendo l'Altopiano di Asiago il giorno 20.
Il 21 maggio, dopo un intensissimo bombardamento d'artiglieria gli austro-ungarici tentarono di scendere nella conca attraverso la Val d'Assa, e in quello stesso giorno il comando italiano emanò l'ordine di ripiegamento generale. Al comando del 3º plotone egli rimase isolato vicino al forte Corbin. Il giorno 29 gli austro-ungarici, superiori per numero e armi, occuparono la vicina Punta Corbin, e la mattina del giorno 30 egli fu tra i soldati che tentarono la sua riconquista ma dopo 4 ore di battaglia il suo plotone venne annientato. Dopo aver perduto tutti i suoi uomini, si tolse la vita per non cadere nelle mani del nemico.
Il 23 marzo del 1919, alla memoria del Sottotenente Carlo Stuparich del 1º Reggimento "Granatieri di Sardegna" del XCII battaglione M.T. venne conferita la Medaglia d'oro al valor militare. In sua memoria venne intitolato uno dei 41 Cimiteri di guerra dell'Altopiano dei Sette Comuni.
«Qui, faggi, carpini, noccioli e, sotto gli arbusti, fra il muschio, zone fragranti di mughetti. In questa conca silenziosa, alle pendici del Cengio, su cui passano le nuvole e, dopo uno scroscio di pioggia, appare per un momento il sole, ha vissuto le sue ultime ore mio fratello Carlo. Il pensiero che mi riconduce a quello che Carlo visse in quei momenti è intenso, ma non è cruccioso: cerco intorno e dentro a me stesso, mi raccolgo, rivivo. Tutte le volte sono sceso di lassù con l'animo fatto più semplice e chiaro.» Giani Stuparich
Foto Archivio Storico "Associazione Nazionale Granatieri di Sardegna Presidenza" ritrae Giani Stupirich a fianco della lapide che ricorda il luogo in cui cadde il fratello Carlo

giovedì 26 maggio 2011

Sbatti l'orso in prima pagina (nel '58 come oggi?)

Il disegno di copertina è del celebre illustratore Walter Molino, quello del Corriere della Sera, e la didascalia dice:
"Una singolare avventura. Il commerciante Luciano Stanchina di Malé (Trento) percorreva in auto la strada della Val di Non allorché, al bivio di Scanna, vide una massa scura. Pensò trattarsi di persona rimasta vittima di un investimento. Giunto a breve distanza si accorse che era un orso bruno. Abbagliato dalla luce dei fari non si muoveva. Lo Stanchina spense i fari; l'orso si rizzo in piedi e s'avvicinó minacciosamente alla macchina. Il guidatore riaccese gli abbaglianti e il plantigrado si sdraiò ancora in mezzo alla strada. Fu solo dopo qualche minuto che il bestione si decise a rialzarsi e ad allontanarsi permettendo tosi allo Stanchina di riprendere la corsa".
("La Domenica del Corriere", 16 novembre 1958, nr. 46)

lunedì 23 maggio 2011

Cima Rocca di Riva 2011

A perpendicolo sull'alto Garda, nel corso della prima guerra mondiale Cima Rocca (1.090 metri) faceva parte dello sbarramento “Alto Garda” della linea difensiva austriaca, che correva dalla Tagliata del Ponale fino allo spartiacque Rocchetta-Cima D’Oro.
L'alto Garda visto da Cima Rocca.
La sua salita è interessante perchè in mezza giornata si può visitare il sistema di gallerie austriaco sullo Sperone (la Cima Rocca) completamente ripristinato ed ammirare lo stupendo panorama sul Garda. Solo qualche foto, ma una completa relazione da parte di Gigi. escursioni_estive

● Da Riva del Garda ci rechiamo in Val di Ledro arrivando a Biacésa, m 418. Al primo semaforo, l’unico, svoltiamo a destra, un breve tratto una curva a destra e troviamo un parcheggio presso dei giardini pubblici. Lasciata l’auto e percorsi pochi metri a ritroso giriamo a destra al primo incrocio, arriviamo a una bella fontana e proseguiamo seguendo le indicazioni SAT (Società Alpinisti Trentini, sezione del CAI).
Proseguiamo lasciando il paese alle nostre spalle e giungendo in breve a un bivio. Qui troviamo il segnavia Sat del sent. 417 che seguiamo prendendo a sinistra. Questione di pochi minuti ed eccoci a un secondo bivio (quota 470 - loc. Caregna): a sinistra sale il nostro sentiero 417, a destra si allontana il Sentér del Bèch (segnavia 470) per la Val del Gac e Cima Capi.
In vista della Chiesetta di San Giovanni.
● Continuiamo a salire mentre, in alto a destra, s’intravede la Chiesetta di S. Giovanni in Mòntibus, sembra molto più vicina di quanto non sia in realtà, e la soprastante Cima Rocca. Lasciate anche le ultime abitazioni alle nostre spalle abbandoniamo la zona prativa entrando nel bosco e, dopo breve, ecco un altro bivio (segnavia Sat 417 - 460). Ignorando la biforcazione di sinistra proseguiamo a destra, percorrendo una larga mulattiera che sale ripida fino a circa m 600; qui pochi metri di terreno più favorevole ci permettono di prendere fiato. La salita quindi riprende impietosa, attraversando un bel bosco misto dove primeggiano i faggi, accompagnandoci al bivio dei sent. 417/460 (loc. Dos de le Fratte m 675; Segnaletica Sat).

domenica 22 maggio 2011

Sgombro e cipolla

C'è chi storce il naso e chi si autoconvince che si tratta di una schifezza: sono solo prodotti in scatola, industriali, robaccia da pezzentoni...
mangiare in montagna
Panino con filetti di sgombro in scatola e cipolla.
Quasi tutti i bivacchi hanno qualche stoviglia e in ogni caso possiamo sempre arrangiarci usando la scatola stessa come piatto ed il coltello come forchetta...
mangiare in montagna
Ognuno ha i suoi gusti e se Vasco Rossi si portava a scuola la Coca Cola, io mi porto in bivacco sgombri in scatola e cipolla di Tropea (guai a dimenticare il coltellino Opinel e un'ex boccetta di profumo riempita di aceto buono).
👉Sono stato in bivacchi con gourmet "duri&puri" e perdipiù alternativi, li ho visti scaldare sul fornello indegne pappette grigie chiamate "l'Ortolana". Si trattava di verdure liofilizzate da qualche brand "politically correct". Sarà, ma col peso del fornello non andiamo in pari con i miei sgombretti industriali?
E come la mettiamo con la "qualità", con il "naturale", con le "filiere corte" e, soprattutto, con il sapore?

mercoledì 18 maggio 2011

La spianata alpina slovena

La "spianata alpina" è una salsiccia stagionata da taglio a grana grossa dalle dimensioni generose e dalla forma schiacciata.
spianata alpina slovena
La spianata sembra fatta per il tagliere da merenda alpina, che sia la tirolese
Brettljause o la marenda friulana e slovena. Le sue dimensioni la rendono adat-
ta alle tavolate numerose, dove può agevolmente sostituire i Kaminwurz e la
suha klobasa.
Il salumificio Celjske Mesnine di
Celje (Slovenia) è attivo dal 1899.
Il marchio Z'dežele contraddistingue
gli insaccati della tradizione locale.
Meno blasonata e famosa di altre "salsicce secche" (i salumi da taglio sono chiamati "secchi" in Slovenia) è però di buona qualità, insomma si difende bene e le sue dimensioni la rendono adatta alle numerose tavolate invernali o nelle serate estive all'aperto.
Viene confezionata con carne di maiale, pancetta, spezie miste, sale, destrosio, antiossidanti E316 (eritorbato di sodio) e E300 (acido ascorbico), conservante E250 (nitrito di sodio).
E' compatta, saporita e dura come un mattone, probabilmente farà storcere il naso ai salutisti, ma almeno gli ingredienti vengono tutti dichiarati in etichetta..


venerdì 13 maggio 2011

Una gradita ospite

Fra gli autoinvitati del giardino figura come ospite fissa, assieme ai merli, ai passeri e ai fringuelli.
Appartiene alla grande tribù dei passeriformi ed è ospite fissa del giardino: è la ballerina bianca (Motacilla alba). Attiva, mobile ed irrequieta, sempre in movimento.
Si cosruisce il nido tra aprile ad agosto usando ramoscelli, foglie, radici, muschio, erba, piume, peli e lana.
Il cibo della ballerina bianca è rappresentato esclusivamente da insetti che cattura in volo o, più spesso, spiluccando tra le erbe sul terreno.

martedì 10 maggio 2011

Passeggiata a Monte Vederna

Breve passeggiata dall'Alpe Vederna fino alla cupola prativa del Monte Vederna (m 1.584), piccola cima secondaria delle Vette Feltrine sotto al Monte Pavione, versante Primiero.

Normalmente si sale su sentiero da Imer ma stavolta ho provato a raggiungere il Pian Grande(m 1.324) ed il Rifugio Vederna lungo la strada bianca di undici chilometri che sale dalla centrale idroelettrica dello Schener (località Pontet). Poi altri pochi minuti in auto fino allo spiazzo-parcheggio di quota 1.400 con cartello di divieto di transito. Solo 180 metri di dislivello e siamo sul cupolone verde del Monte Vederna (m 1.584) con ampio panorama verso i Monti del Sole, le Vette Feltrine, i monti della Valsugana-Asiago, il Monte Coppolo e Cima d'Asta.

venerdì 6 maggio 2011

La notte di Carzano

17 settembre 1917, sul fronte della Valsugana: la romanzesca cronaca di un'occasione mancata
ljudevit pivko
Ljudevit Pivko, "Abbiamo vinto l'Austria-Unghe-
ria", Libreria Editrice goriziana, Gorizia, 2011.
L'irredentista sloveno Ljudevit Pivko aveva prestato servizio nell'esercito austroungarico sui fronti di Bosnia, Col di Lana, Isonzo, Valsugana. Nell'ottobre del 1917 comandava, in qualità di tenente anziano decorato sul campo, il battaglione bosniaco che presidiava la prima linea in Valsugana all'altezza di Carzano la quale correva da nord a sud lungo il torrente Maso dividendo così Borgo Valsugana da Strigno.
👉Facendo leva sul malumore antiaustriaco che serpeggiava nel battaglione, Pivko organizzò una efficiente rete cospirativa composta da ufficiali e sottufficiali di prevalente nazionalità cèca, prese contatti con i comandi italiani e organizzò con loro un colpo di mano notturno: sfondare il fronte austriaco all'altezza di Carzano e penetrare rapidamente fino a Trento.
👉Si formò così una "strana coppia" che per mesi s'incontrò nottetempo ai reticolati italiani tra Strigno e Spera: da un lato l'fficiale in divisa austriaca e fez in testa, dall'altra il vice-capo dell'ufficio ITO (Informazione Truppe Operanti) della 1a Armata italiana, Cesare Pettorelli Lalatta.


Il comandante in capo del Regio Esercito, Cadorna, fece suo il piano...
il sogno di carzano
La linea nera segue approssimativamente l'andamento della terra di nessuno com-
presa fra le due linee di reticolati. L'attività di Pivko si concentrava in un tratto di
fronte che era presidiato da un battaglione composto da soldati bosniaci.
...e fornì ingenti forze per attuarlo (vennero ammassate ben tre divisioni fra Castello Tesino e Strigno) ma commise l'errore di affidare il comando al comandante interinale della Sesta Armata Italiana, generale Etna e al suo sottoposto generale Zincone, i quali organizzaronono l'azione senza troppa convinzione.
Zincone affidò poi il comando sul campo al maggiore Ramorino che vi credeva ancor meno.
E a lui Pivko riserva parole di fuoco.


I soldati furono caricati come muli come se si trattasse d'una semplice marcia di trasferimento, anzichè di un assalto...
La stessa zona come appare nella cartografia attuale dell'Istituto Geografico Mili-
tare nella classica scala 1:25.000.
...partirono in forte ritardo e vennero incolonnati in un camminamento largo 80 centimetri, ignorando le strade coperte all'osservazione nemica. Nonostante ciò le vedette autriache e numerose postazioni di prima linea austriache vennero prese in silenzio e senza colpo ferire da piccole unità di arditi: gli uomini di Pivko avevano narcotizzato l'intero battaglione drogando con oppio il rancio serale.
Dalla postazione italiana in vetta al Monte Lefre gli osservatori italiani
godevano di un'ottima vista sull'intera zona del "Fatto di Carzano".
l'azione di carzano
Scorcio della zona interessata all'azione di Carzano, ripresa dalle pendici
del Monte Civerone, che si trovava in mani austriache.
Ma quando, col sopraggiungere dell'alba, gli austriaci subodorarono qualcosa e spararono qualche cannonata a caso, Zincone ordinò subito la ritirata, abbandonando a Carzano il battaglione Bersaglieri del Maggiore Ramorino, che subì passivamente i contrattacchi austriaci. L'insipienza e la mentalità burocratica di Ramorino lo portarono ad ignorare anche gli ultimi consigli degli uomini di Pivko che avrebbero potuto salvare la situazione.
Viceversa, giunse addirittura a considerare come prigionieri Pivko e i suoi.
Alla fine Pivko lo abbandonò al suo destino e  guadagnò le linee italiane in extremis passando il torrente Maso tra le raffiche delle mitragliatrici austriache.
Si trattò di un fallimento su tutta la linea, tanto che gli italiani, paralizzati dall'imbarazzo, misero tutto a tacere.
Lo stesso fecero gli austriaci, spaventati da ciò che sarebbe potuto accadere.
👉E appena un mese più tardi, gli austriaci sfondano il fronte italiano a Caporetto con un'azione di sorpresa attuata anch'essa da un semplice tenente: si trattava di Erwin Rommel, la futura "volpe del deserto".  Il resto è noto.



lunedì 2 maggio 2011

Elogio dell'Ajvar rinforzata

Le scorribande giovanili nell'allora Jugoslavija m'hanno fatto conoscere la salsa ajvar, necessario complemento dei più noti piatti locali, i ražniči e i ćevapčići, molto adatti al barbecue.
ajvar
Spiedini di carne con salsa ajvar e cipolla. Un classico piatto che va arrostito alla
fiamma e che si ispira ai classici ražniči fatti sulle gradele della costa adriatica.
Quando ritorno in quei paesi non manco di farne buona scorta, anche se ormai è reperibile pure nei negozi nostrani.
Oltre che con la carne alla brace, la uso nuda e cruda, spalmata sul pane. Col tempo ho cominciato a considerarla non troppo piccante, anzi quasi leggera.
Ho quindi provato a rinforzarla aggiungendo cipolla bianca tagliata a piccoli tocchetti e siccome l'Ajvar addomestica anche le cipolle più ostiche la cosa si è avviata a diventare un'abitudine.
ajvar e luganega
Luganeghe trentine alla piastra, pane di segale, salsa ajvar e cipolla bianca. Così rinforzata, l'ajvar diventa veramente imbattibile, molto meglio delle varie salse barbecue d'ispirazione messicana ed ospite fissa nell'angolo del barbecue casalingo.