venerdì 11 ottobre 2024

Dalla vetta del Mangart, la cima dei tre confini

Dalla sua cima ci si affaccia sull'Austria, sull'Italia e sulla Slovenia. Come dal Piz Lat fra Italia, Austria e Svizzera (sopra il lago di Curon).
Le poste slovene gli hanno dedicato un francobollo. A destra vediamo il Mangart fotografato dal fondovalle sloveno.
Sulla cima del Mangart, al termine della ferrata slovena, con vista sulle Alpi Giulie. 
Sceso per la ferrata italiana con approdo al parcheggio presso il rifugio, nel 2005.
Insomma anche qui all'estremo Est (siamo dalle parti del Passo del Tarvisio), dove Italia, Austria e Sovenia si toccano) succede un po' come sul Piz Lat (sopra il Passo di Resia): in entrambi i casi ci troviamo su una cima che separa/unisce ben tre diversi paesi, in questo caso Italia, Austraia e Slovenia.
La vetta del Mangart è servita da ben due ferrate: quella che sale dal versante slo-
veno e quella che si arrampica dal versante italiano. Il sito ferrate.it le riunisce sot-
to il nome "Via Ferrata Balze del Mangart". Un'ottima descrizione della via di salita
corredata da diverse fotografie si trova anche nel sito friulano Sentierinatura.
👉La cima del Monte Mangart è servita da due vie ferrate, sicchè è possibile un percorso alpinistico ad anello, con partenza e arrivo dai pressi del rifugio o comunque da dove si può lasciare l'auto.
👉Per giungere al parcheggio vicino al rifugio è necessario un viaggio in auto piuttosto impegnativo, poichè occorre arrivare nei pressi del Passo del Tarvisio, prendere a destra per il Passo di Predil e infine percorrere con prudenza una strada ex-militare della WW1 che si snoda in territorio sloveno con tratti sterrati a bassa manutenzione e nel complesso lunga ben 11 chilometri. Una volta arrivati, però, ci si accorge che ne valeva la pena. Nei pressi della zona parcheggio c'è il rifugio "Koca na Mangartskem". Una chiara cartografia della zona attorno al rifugio è quella del sito web di mapy.cz.
Tra i piatti montagnini che si fanno in questa regione di confine segnalo le frittelle di pane vecchio landize, il dolce arrotolato chiamato putiza, il presnitz sloveno, che noi chiamiamo Gubana Goriziana, ma anche il muset, ossia il cotechino friulano, senza dimenticare che dalla terra slovena viene la luganega de Cragno, regina di tutte le luganeghe slovene da arrostire sul fuoco.

lunedì 7 ottobre 2024

La casetta rossa di D'Annunzio, sul Canal Grande

Si affaccia sul Canal Grande, poco lontano dal Ponte dell'Accademia. E' un piccolo edificio rosso, leggermente arretrato rispetto all'acqua.
casetta rossa
Dalla Casetta Rossa Gabriele D'Annunzio partì verso Ronchi per capitanare la colonna di ammutinati in marcia verso Fiume. Si affaccia sul Canal Grande, a fianco di Palazzo Corner (sede della Provincia e della Prefettura), è vicinissima al Ponte dell'Accademia.
casetta rossa
D'Annunzio aveva visitato Venezia due volte, nel 1887 e nel 1894, ed aveva mani-
festato l'intenzione di abitare nella città lagunare che percepiva così in sintonia con
la sua vena dandy, elitaria, estetizzante e decadente.
Il soggiorno veneziano di Gabriele D'Annunzio nella "casetta rossa" coincise con il periodo della prima guerra mondiale, dal luglio 1915 al novembre 1918.
casetta rossa
Il piano rialzato e quello superiore (che era destinato alla servitù), visti dalla stretta
e breve calle privata che permetteva l'accesso pedonale. Oggi è un esclusivo B&B.
Tre anni costellati di eclatanti azioni belliche e propagandistiche che lo trasformarono nel "poeta soldato" imprese che mise in opera dall'aria con il suo aeroplano SVA 10: le incursioni sul Càttaro e su Pola nel 1917, il volo su Vienna nonchè dal mare: la Beffa di Buccari nel 1918 (su MAS). Nel 1916 D'Annunzio perse l'occhio destro a causa di un ammaraggio forzato nelle acque di Trieste e trascorse 7 lunghi mesi di convalescenza proprio nella "casetta rossa". In questo periodo di riposo obbligato egli compose, nella quasi cecità, il "Notturno".
👉La "casetta rossa" divenne anche oggetto, nel periodo 1915-18, di oltre 50 incursioni aeree austro-ungariche che cercarono, invano, di bombardare la dimora del celebre personaggio. Il poeta abruzzese soggiornava nella "casetta rossa" in compagnia della figlia Renata ed vi incontrò numerosi personalità.
casetta rossa
Il raccolto giardinetto privato che si affaccia direttamente sul Canal Grande.


Storia della "casetta rossa":
casetta rossa
I due livelli residenziali (mentre il terzo era riservato ai domestici).
La storia di questo piccolo edificio inizia alla fine del XIX secolo quando il principe austriaco, nonché antiquario, Fritz Hohenlohe-Waldenburg, appassionato antiquario e tra i maggiori esponenti dell'aristocrazia della Belle Époque, acquistò un piccolo terreno dove c'erano solo una vecchia catapecchia e un giardino, ma che si affacciava sul Canal Grande. Il palazzo venne fatto costruire, perché diventasse dimora dello stesso principe, dall'architetto Domenico Rupolo, Soprintendente all'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti del Veneto fin dal 1892. Il Rupolo si discostò molto, però, dalle sue più celebri realizzazioni come Villa Romanelli e Villa Terapia, contraddistinte da un eclettismo di stampo neo-medievale e neo-romanico.
casetta rossa
Gabriele D'Annunzio appoggiato alla balaustra che dà sul Canal Grande. Nel frat-
tempo la inferriata in ferro è stata sostituita, pur mantenendone lo stile...
👉L'architetto ha seguito i gusti del committente, vista l'impronta austriaca della realizzazione finale. Anche la presenza del piccolo giardino prospiciente il Canal Grande è un'anomalia rispetto alla tradizione veneziana. La Casina aveva un pianterreno e un primo piano per i nobili proprietari e un secondo per ospitare la servitù.
👉Il pianterreno si componeva di due minuscoli anditi e di due salotti che davano sul giardino e di una sala da pranzo: solo alcuni piccole modifiche saranno aggiunte alla struttura nei decenni successivi dai successivi proprietari della piccola villa.
Il principe di Hohenloe, tra i principali esponenti dell'aristocrazia europea della Belle Époque, colto ed erudito antiquario, trasformò dunque un'antica stamberga in un gioiello raffinato e prezioso, ricco di opere d'arte da lui stesso selezionate: un salotto animato dalle più grandi personalità della cultura di quei tempi magici e incantati.
👉Il principe Hohenlohe-Waldenburg e la moglie Zina vi abitarono fino allo scoppio della prima guerra mondiale e furono loro a istruire l'architetto nella costruzione di un edificio che si discostava molto dalle sue opere precedenti ma anche dai palazzi veneziani dell'epoca.
👉Lo scoppio della WW1 costrinse il principe a lasciare l'abitazione e a spostarsi nella neutrale Svizzera. Grazie a D'Annunzio questa casetta divenne rapidamente un punto di riferimento per le personalità di spicco del mondo dell'arte e della cultura di allora, dal barone Giorgio Franchetti, al conte Giuseppe Primoli, al pittore Mariano Fortuny y Madrazo, ai poeti Henri De Regnier, Rainer Maria Rilke, Hugo von Hofmannsthal...

mercoledì 2 ottobre 2024

Trento nella mappa di Matthäus Merian (1649).

Nel 1649 la capitale del principato vescovile era una città rinascimentale. Il gotico era stato abbandonato dopo la rivoluzione urbanistica voluta da Bernardo Clesio in vista del Concilio di Trento.
La legenda della mappa incisa da Matthäus Merian nel 1649 (grazie a M.T. Weber, dal gruppo FB "Trento Strana"). Nello stesso anno il Marian incise anche una pregevole mappa della città di Bolzano.

Trento nella mappa di Matteo Merian del 1649. Allora il fiume scorreva nel suo alveo naturale e lambiva
il centro urbano. Lo spostamento dell'Adige fu effettuato dagli Asburgo nel 1854-58 in vista della costru-
zione della nuova ferrovia del Brennero e sconvolse l'intero assetto urbanistico cittadino.
In sinistra orografica si distinguono bene la Torre Verde e la Torre Vanga, che davano direttamente  sull'acqua.
👉All'epoca tutta l'area compresa fra le Corso Buonarroti e Via Torre Verde faceva parte della Basilica di San Lorenzo, il grande complesso monastico benedettino fondato tra 1166 e il 1183.
Come ben si evince dalla mappa gli "orti urbani" e l'"arboreto" condotti dai monaci benedettini  (nr. 20 in legenda) coprivano tutta la zona allora detta di Centa, la quale in epoca contemporanea (dopo il 1854-58) è diventata parte integrante della città dopo la deviazione del fiume Adige.

sabato 28 settembre 2024

Pomodori verdi in conserva, con soppressa veneta

A fine stagione metto in conserva sotto vetro quei pomodori che non sono giunti a maturazione: messi via d'estate per usarli d'inverno.
In dispensa ho sempre qualche barattolo di "pomodorini verdi" avanzati dall'anno prima o vecchi di due o tre anni; cotti come sono dalla salamoia, si conservano benissimo e nelle mezze stagioni li uso anche per le bruschette da merenda e per i panini da zaino.

La procedura per mettere mettere sotto vetro i pomodori verdi non è difficile e si svol-
ge interamente a freddo: coltello, sale, aglio, prezzemolo, peperoncino.
A fine stagione succede che alcuni pomodori dell'orto vengano sorpresi dal fine estate quando sono ancora verdi, e con l'autunno ormai incombente bisognerebbe gettarli via. E invece:
👉Riduco i pomodori verdi a pezzettini con il coltello e li metto in salamoia speziati con prezzemolo, aglio e peperoncino. In questo modo mi tornano buoni per tanti usi diversi, nelle mezze stagioni e d'inverno.
👉D'inverno condisco gli insipidi pomodori da insalata del supermercato con un paio di cucchiaiate di questi "barattolati", e così riesco a tirarli un po' su; li ho anche usati per imbottire un "panino da zaino": pane di segale, gorgonzola e "pomodorini verdi", oppure e ancora: panino al tonno coi pomodorini verdi.
La soppressa è il salamone "nazionale" veneto: è di maiale, a grana grossa e morbida, viene prodotto secondo una tradizione che risalirebbe ai tempi degli Scaligeri, vale a dire al tredicesimo secolo, e va molto d'accordo con la polenta gialla.


martedì 24 settembre 2024

"Everest alba di sangue", un giallo himalayano

In una ambientazione ricca di riferimenti e di personaggi realmente esistiti, la vicenda ruota attorno al ritrovamento del corpo di Georg Mallory, scomparso con Andrew Irving durante il tentativo inglese all'Everest del 1924. Ma c'è anche un manipolo di scalatori nazisti...
Dan Simmons, "Everest. Alba di sangue", Fabbri Editori, 2013,
Edizione del Kindle.
...comandati da un alpinista germanico, che scompare nello stesso luogo assieme ad un lord inglese solo un paio di giorni dopo. Avvincente e abilmente "sceneggiato" dall'autore Dan Simmons.

Una schematica mappa che illustra la posizione dell'Everest, che
fa parte della catena dell'Himalaya (mentre il K2 fa parte della ca-
tena del Karakorum).
Ecco l'incipit di questo romanzo giallo di insolita ambientazione: "...e la notizia spicca sulla prima pagina di un quotidiano inglese di tre giorni prima che qualcuno, nella piccola locanda di Breuil, ha usato per incartare i nostri panini con roastbeef e rafano. Senza saperlo, ho portato nello zaino questa notizia – che avrebbe presto gravato sui nostri cuori come un macigno – fino alla cima del Cervino, insieme a un otre di vino, due bottiglie d’acqua, tre arance, una trentina di metri di corda e un grosso salame."

Ed ecco un sunto della trama: 
 George Mallory e il suo compagno di scalata Andrew Irvine scomparvero sulla cresta nord-orientale del monte Everest all'inizio di giugno del 1924. Un paio di giorni dopo, un altro inglese, Lord Percival Bromley, non ufficialmente parte della spedizione di Mallory, scomparve dallo stesso luogo insieme a un alpinista tedesco. Richard Deacon Davis, "il diacono" per chi lo conosce, è sulla cima del Cervino quando sente la notizia. Amico della famiglia Bromley, il diacono aveva accompagnato Mallory nelle due precedenti spedizioni all'Everest. Con il sostegno finanziario della famiglia Bromley, Deacon e i suoi amici, la guida francese di Chamonix Jean-Claude Clairoux e l'americano Jacob Perry, organizzano una spedizione segreta sulla montagna nel 1925, apparentemente per trovare il corpo di Percival Bromley e riportarlo in Inghilterra, ma anche per tentare un assalto in stile alpino alla montagna. Quando i loro accampamenti più bassi vengono attaccati da quello che sembra essere il mitico yeti , il diacono e la sua squadra si ritrovano intrappolati sulla montagna, con l'alta quota che si fa sentire più a lungo rimangono sopra i 26.000 piedi. Affrontando un nemico sconosciuto ma mortale sotto e una morte quasi certa sopra, il diacono e i suoi amici si ritrovano in una corsa contro il tempo che non solo garantirà la loro sopravvivenza, ma determinerà il futuro volto dell'Europa.

sabato 21 settembre 2024

La silenziosa sparizione dei fichi dal paesaggio contadino e dalle tavole trentine...

Il fico addossato al muro che guarda a mezzogiorno: tutte le case di campagna ce l'avevano. Alberi e frutti che sono poi scomparsi dagli orizzonti dei fondivalle. Forse perchè i fichi non si conservano in frigo?
Una piatto di fichi provenienti da un'orto di Gardolo. Ormai semisconosciuti, anche se molto versatili. Una sventagliata di stuzzichini: col fico, col prosciutto, col baccalà e il tonno, con la finocchiona, coi formaggi, coi salami piccanti. E poi ci sono anche i fichi secchi.
Fichi secchi in un mercato in Istria, propaggine veneta che si spin-
ge sull'altra sponda, dove i fichi secchi sono ancora conosciuti.
Fateci caso: oggi è molto difficile imbattersi in una pianta di fico, che invece faceva anch'essa parte della tradizione contadina trentina, almeno lungo l'asta dell'Adige. Dove non c'era costruzione rurale il cui muro meridionale non avesse addossato, le radici a confondersi con i muri della casa, la sua brava pianta di fico. Che dava frutti effimeri e da consumare appena colti, ma che chi conosceva l'arte poteva anche conservarli per le feste di Natale: i famosi fichi secchi....
👉Per i frutti: inutile insistere con il frigo, si rischia solo di accelerare il processo di decomposizione. Il fico va colto direttamente dalla pianta, quando è ben bene maturo.
👉Come conservare i fichi: non è difficile: bisogna essiccarli al sole e al vento. Come è regola nei posti che si affacciano sul mediterraneo...

lunedì 16 settembre 2024

Punta delle Redutte e Cima Paloni (Monte Baldo)

Una crestina di mezza costa che passa per due cime secondarie molto panoramiche affacciate sulla Valle dell'Adige e sui Monti Lessini.
Dalla Punta delle Redutte la vista è davvero a 360°. La fotocamera coglie lo spicchio della Piccole Dolomiti, ma l'occhio spazia dalle Dolomiti di Brenta alle Pale di San Martino, passando per i Lagorai. In primo piano le vicine cime del Baldo, con l'Altissimo, il Corno della Paura e poi i Lessini, dal Corno d'Aquilio al Castelberto e al Monte Tomba, sempre con le Piccole Dolomiti sullo sfondo.
Sembra incredibile: si distingue perfino il piccolo edificio del Bivacco Vignolet.
Vedi le altre foto in Google Foto.
Un giro che raccomando per l'autunno perché c'é meno caldo (la quota é piuttosto bassa, siamo sui 1.600 metri) e c'é anche meno affollamento. Ma con il cambiamento climatico non si sa mai.
Scarica la traccia GPS da Wikiloc.
👉Ci muoviamo lungo un percorso che attraversa territori già situati al confine tra l'impero austro-ungarico e il Regno d’Italia. Camminiamo tra le stesse balze che ancora prima avevano già impegnato i geografi austriaci e quelli della la Repubblica di Venezia ne 1753, quando si accordarono con gli "statuti di Rovereto": la linea di confine era  scandita da una serie di cippi scolpiti aventi su un lato l'epigrafe "Tirolo-Austria" e sull'altro "Lombardo Veneto" (fino al 1866) o "Italia" (dopo il 1866). Il tratto che va dal Monte Baldo alla Valle Lagarina, che trova poi completamento col tratto sui Monti Lessini, si estende dal Monte Altissimo di Nago fini a Belluno Veronese ed è lungo circa 25 km.

Quote e dislivelli (dati del GPS):
Quota di partenza/arrivo: m 1.419
Quota massima raggiunta: m 1.598
Dislivello assoluto: m 179
Dislivello cumulativo in salita: m 200